Finalmente è possibile coltivarle, cosa si è ottenuto finora
È di fine luglio 2013 il comunicato stampa con cui la Regione Lombardia sollecitava il Comitato Vite del Mipaaf a recuperare il ritardo nella valutazione di varietà e cloni resistenti ai patogeni fungini quali oidio e peronospora, per poterli finalmente iscrivere al Catalogo nazionale delle varietà di viti. Dal comunicato stampa della Regione risultava infatti che si fossero accumulate “oltre 500 schede di varietà e cloni ancora da valutare”. Un ritardo che non giova certo né al settore vitivinicolo, né alla ricerca italiana che, dalla fine degli anni Novanta, lavora allo sviluppo di varietà di viti resistenti a malattie fungine.
( Divico, vitigno resistente selezionato in Svizzera )
Divico, un traguardo d’oltralpe
Olivier Viret.
Il lavoro di selezione ha visto tempistiche diverse nei vari Paesi europei, con nazioni come la Germania e la Svizzera che hanno molto presto messo a disposizione dei loro viticoltori vitigni resistenti e ufficialmente riconosciuti come idonei per la produzione di vini. E proprio dalla Svizzera arriva una delle ultime novità in fatto di resistenza. Quest’anno, infatti, Agroscope ‒ il centro di competenze nella ricerca agronomica della Confederazione svizzera ‒ ha presentato il suo nuovo vitigno resistente Divico, a bacca nera, incrocio tra la varietà tedesca Bronner ed il vitigno svizzero Gamaret, quest’ultimo registrato ormai nel 1990 e ad oggi per estensione la quarta varietà coltivata nella nazione. I lavori di selezione che hanno portato a Divico durano dal 1996 e il risultato è un vitigno che si differenzia dalle varietà resistenti fino ad ora selezionate: “Con Divico siamo riusciti ad ottenere una vite che mostra buona resistenza a tre malattie contemporaneamente, oidio, botrite e peronospora. Si tratta di una caratteristica mai ottenuta fino ad ora”, spiega Olivier Viret, direttore del dipartimento di Protezione dei vegetali presso Agroscope. I test per la resistenza a queste tre malattie sono stati eseguiti sia con metodi di laboratorio (analisi biochimiche) sia con metodi classici, in campo, ovvero in tre regioni con condizioni climatiche molto differenti: in Canton Ticino, dove si arriva fino a 2.000 mm di pioggia all’anno; in Canton Vaud, dove spesso cadono 1.100 mm di pioggia annui; e infine nel Vallese, che registra circa 500 mm di pioggia all’anno: “Un laboratorio a cielo aperto, che ci permette di testare le piante a diverse pressioni selettive”.
Il lavoro di selezione ha visto sin dall’inizio un forte coinvolgimento di viticoltori ed enologi. Il risultato? “Un vitigno con un’interessante personalità aromatica, che lascia intravedere un futuro promettente per una vinificazione in purezza o per l’uvaggio”.
Resistenti Made in Italy
( Raffaele Testolin )
Il paesaggio delle varietà resistenti e qualitativamente interessanti per la produzione di vino è stato dominato fino ad oggi da vitigni selezionati nel Nord Europa, ovvero idonei a climi più freddi ed estati più corte rispetto a quelle italiane, con maturazione precoce. A maggior ragione, allora, acquista importanza il risultato raggiunto dall’Università di Udine e dal suo Istituto di Genomica Applicata, IGA. A giugno 2013 questa istituzione ha ufficialmente presentato presso i Vivai Cooperativi di Rauscedo 18 nuove selezioni, sia a bacca bianca che a bacca nera, resistenti a peronospora, a oidio o ad entrambi. “Si tratta delle prime varietà italiane di vite resistenti a questi due patogeni, con ciclo più lungo e maturazione più tardiva, quindi idonee anche ai nostri climi più caldi. Ora sono state rilasciate come materiale sperimentale ai viticoltori e dieci di loro sono in attesa dell’inserimento nel registro nazionale del ministero delle Politiche agricole, per poterne consentire la coltivazione a tutti gli effetti”, afferma Raffaele Testolin, presidente dell’IGA. Il loro pedigree è cosmopolita: “Abbiamo scelto le migliori varietà di viti resistenti ottenute da colleghi europei in Ungheria, Serbia, Germania, Austria, Francia, per poi incrociarle con vitigni tradizionali di pregio come Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sangiovese e Friulano”.
Le varietà resistenti selezionate presso l’IGA dell’Università di Udine sono state ottenute con i metodi della selezione genetica assistita (vedere approfondimenti sul web).
Ma cosa significa concretamente per il viticoltore avere in campo queste varietà? “Un esempio concreto: questa primavera per via delle numerose piogge cadute in Friuli i viticoltori a fine maggio erano già intervenuti con 6-7 trattamenti contro le malattie fungine su varietà non resistenti. Sulle varietà resistenti non ne abbiamo fatto nemmeno uno”, spiega Raffaele Testolin.
L’esperienza della Valpolicella
Anche la Valpolicella porta avanti progetti di valutazione sul proprio territorio di alcune viti resistenti, selezionate da diversi Istituti di Ricerca, sia a bacca rossa (Cabernet Cortis, Cabernet Cantor, Cabernet Carbon, Prior, Baron, Vinera, Vinorè) sia a bacca bianca (Solaris, Muscaris, Aromera, Sauvigner gries, Johanniter, Bronner). Nel 2010 il Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura della Provincia di Verona ha realizzato due impianti a diverse altitudini: in pianura, presso il Centro Sperimentale sito in Valpolicella, e in alta collina, presso l’Azienda Rizzotti a Novezzina di Ferrara di Monte Baldo. Lo scopo è la valutazione della resistenza o tolleranza a oidio e peronospora, del comportamento vegeto-produttivo e della qualità dei vini ottenuti tramite microvinificazioni nell’areale veronese. I risultati fin qui ottenuti sulla resistenza ai principali patogeni hanno evidenziato un’ottima risposta anche in annate difficili da un punto di vista meteorologico: vi è una certa comparsa sulle foglie di sintomi da filossera e di erinosi ma non tali da risultare preoccupanti. La valutazione delle caratteristiche produttive ed enologiche della prima vinificazione, effettuata nel 2012, sono più che incoraggianti: i vini sono stati tutti apprezzati e in più di un caso preferiti in degustazione a campioni di varietà tradizionali di confronto. Tali note positive saranno oggetto di verifica nei prossimi anni e già a partire dalla vendemmia 2013. Contemporaneamente ha avuto inizio un progetto denominato Vitires in collaborazione con l’associazione Vitiver (che raccoglie la maggior parte dei vivaisti viticoli veronesi) con l’ausilio tecnico della FEM di San Michele all’Adige, che prevede di effettuare una serie di incroci, utilizzando come progenitori le varietà più importanti del territorio veronese Garganega e Corvina. Il progetto a lungo termine è finalizzato alla selezione di nuove varietà di vite resistenti con caratteristiche viticole ed enologiche il più possibile simili ai vitigni Garganega e Corvina in modo da poter in futuro essere inseriti nella coltivazione senza per questo alterare la tipicità dei vini del territorio.
I meccanismi alla base del fenomeno
( Marco Stefanini )
La Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN) è stata premiata da Assoenologi nell’estate del 2013per una serie di studi mirati a comprendere i meccanismi biochimici che i vitigni resistenti mettono in atto per autodifendersi dalla infezione di peronospora. Come spiega Marco Stefanini, uno dei ricercatori premiati: “Sono essenzialmente due i meccanismi oggi conosciuti. Da una parte si assiste all’accumulo di viniferine (figura sottostante) nelle cellule infettate. Le viniferine sono molecole ossidanti che la vite è in grado di produrre e che risultano tossiche per il fungo”. Le viti resistenti rispondono con una aumentata produzione di tali molecole nelle zone interessate dall’infezione. “L’altra via ‒ prosegue Stefanini ‒ consiste invece in una ipersensibilità delle cellule infettate, che muoiono, e così facendo non risultano più substrato utile per il fungo, la cui infezione viene isolata nei tessuti necrotizzati”. A queste conoscenze si aggiunge che sia per peronospora che per oidio si sono individuate le porzioni del genoma che determinano la resistenza alle patologie e si sono identificati marcatori che indicano la presenza o meno dei geni per la resistenza. La conoscenza delle regioni genetiche legate alla resistenza e dei meccanismi con cui le piante reagiscono all’infezione fungina non ha solo un elevato valore scientifico, ma anche un grande valore applicativo. Infatti, poter evidenziare la presenza o meno dei geni per la resistenza (tramite marcatori molecolari, a livello di DNA) oppure di marcatori biochimici che indicano una capacità di resistere all’infezione (per esempio: una maggiore attività di produzione di viniferine), permette una selezione precoce tra piante resistenti o meno e quindi permette di velocizzare il processo di selezione classico.
Vitigni di serie A
Dai primi incroci resistenti ad oggi di strada ne è stata fatta. Tutti gli altri tratti indesiderati provenienti dagli antichi progenitori e presenti inizialmente sono stati eliminati tramite i vari reincroci con le viti europee. Come afferma Raffaele Testolin: “Siamo ormai sette od otto generazioni lontani dagli avi ed il genoma di queste viti è essenzialmente genoma di vite europea, Vitis vinifera”. Per questo risulta oggi inopportuno usare la parola ibrido con cui talora si indicano ancora le viti resistenti: “Io vorrei ‒ aggiunge Olivier Viret ‒ che non si parlasse più di ibridi interspecifici. Ormai queste varietà non hanno più un legame con le varietà da cui derivano, cosi come dimostra anche il loro vino. Sono a tutti gli effetti varietà di Vitis vinifera”.
Tutto cominciò…
Gli sforzi per la selezione di genotipi resistenti alle malattie fungine sono iniziati in Europa con l’arrivo di patogeni d’origine americana, soprattutto oidio e peronospora, nei confronti dei quali le specie d’oltreoceano e alcune di origine asiatica mostravano una buona resistenza. Incrociando tali viti con la Vitis vinifera si è mirato ad ottenere varietà ibride che unissero caratteristiche di resistenza ed alto potenziale enologico. Se inizialmente il vino dei primi incroci interspecifici non rispondeva al gusto europeo e presentava anche qualche problema di carattere salutistico, oggi, dopo quasi cent’anni di lavoro di selezione e reincroci con la V. vinifera, le viti resistenti danno prodotti d’elevata qualità.
Viti resistenti e modelli meteo
La resistenza di Divico non è totale, ma permette di ridurre i trattamenti fungini ad uno-tre all’anno, laddove con varietà tradizionali se ne fanno 8-10 all’anno. Ci si limita a trattamenti a base di zolfo/rame e solo in situazioni di forte rischio di infezione: “In Svizzera – afferma Olivier Viret – lavoriamo molto integrando nella protezione delle piante anche modelli metereologici che ci permettono di prevedere con buona approssimazione i momenti di maggior rischio. In questi casi si pianificano interventi fitosanitari anche per le varietà resistenti, altrimenti no”.
Novità in cantina
Nell’ambito del progetto portato avanti dall’IGA dell’Università di Udine, la stretta collaborazione tra ricercatori, viticoltori, agronomi ed enologi ha permesso di arrivare a varietà con ottime caratteristiche non solo agronomiche e di resistenza ma anche di qualità del vino prodotto: “I vini ottenuti da tali varietà, peraltro con potenziale enologico all’altezza di vini tradizionali, sono vini nuovi e non rispecchiano necessariamente le caratteristiche dei genitori da cui derivano. Anzi, in alcuni casi si sono osservati fenomeni interessanti, come la presenza di toni di moscato laddove questi erano assolutamente assenti nei genitori o una grande variabilità aromatica tra discendenti dello stesso incrocio”.
Articolo a firma di Maria Luisa Doldi
Approfondimenti a cura dell’Autore
PER APPROFONDIRE
La selezione assistita
Le varietà resistenti selezionate presso l’IGA dell’Università di Udine sono state ottenute con incroci condotti in maniera classica: il polline di una varietà è stato utilizzato per impollinare il fiore di un’altra varietà e le piante ottenute dai semi sono state selezionate in base alle caratteristiche ricercate. Tuttavia a questo livello interviene anche il laboratorio a coadiuvare (e velocizzare) il processo classico di selezione: solo quelle piante che presentano i marcatori per i geni responsabili delle resistenze oppure in grado di produrre molecole tossiche per il fungo vengono selezionate per ulteriori cicli di incrocio e per i test più lunghi, in pieno campo. Una collaborazione, dunque, tra alta tecnologia genetica e breeding classico, che ha permesso in questi anni di analizzare i circa 16.000 incroci, da cui sono poi derivate le 18 selezioni presentate quest’estate: una mole di lavoro impossibile da realizzare con le stesse tempistiche utilizzando solo metodi tradizionali.
Il gigante dai piedi d’argilla
Le malattie fungine fanno della viticoltura mondiale “un colosso dai piedi di argilla”, per dirla con il professor Raffaele Testolin, presidente dell’IGA-Istituto di Genomica Applicata dell’Università di Udine. Infatti essa, pur muovendo grandi capitali, si basa su varietà incapaci di difendersi da tali malattie. “È per questo infatti – continua Testolin – che l’Unione Europea, a fronte di una superficie investita a vite pari ad appena il 3% della superficie agricola totale, impiega per la vite ben il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura, ovvero la bellezza di 62.000 tonnellate l’anno (dati Eurostat 2007)”.
Il mercato dei fungicidi in Italia
Secondo dati gentilmente forniti da Agrofarma, relativamente alle aziende associate i consumi di fungicidi in Italia nel 2011 sono ammontati a 40.023 tonnellate. Al di là degli andamenti altalenanti, molto probabilmente dovuti alle situazioni climatiche, si nota una tendenza di utilizzo in diminuzione che potrebbe essere, per esempio, dovuta a fungicidi più efficaci o a tecnologie di distribuzione più mirate. I fungicidi rimangono però la classe di agrofarmaci maggiormente utilizzata in agricoltura. Diverso invece l’andamento dei valori, che indica un mercato in crescita, passato da 214.000.000 di € nel 1990 a 324.000.000 € nel 2011. E qui diviene chiaro che le viti resistenti potrebbero portare non solo più sostenibilità ambientale, ma anche economica.
( Fonte vitevinoqualita.it )
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