Il grido d’allarme l’aveva già lanciato Alberto Marsetti, presidente di Coldiretti Sondrio e vinificatore, a seguito dell’ottimo riscontro avuto dal vino di Valtellina all’edizione del Vinitaly dell’aprile scorso.
( Graziano Murada, direttore della Fondazione Fojanini di Sondrio )
«L’interesse è tale, a livello nazionale e internazionale, – aveva detto Marsetti – che se non ci attrezziamo rischiamo, fra qualche anno, di non avere sufficiente prodotto per far fronte alla domanda».
Il che, da un certo punto di vista, può essere anche utile a far lievitare il prezzo, ma, con le dovute cautele. Per Marsetti di fondamentale importanza era e lo è ancora di più oggi «investire sui terrazzamenti – aveva detto – supportare i viticoltori e i nuovi piccoli vigneròn affinchè il prodotto cresca in quantità e in qualità».
I rischi all’orizzonte
E, invece, scopriamo, sebbene il punto sia più che noto agli addetti del settore, che meno del 50% della produzione totale di vino di Valtellina è commercializzata.
«È pacifico – precisa Graziano Murada, direttore della Fondazione Fojanini di Sondrio, esperto in materia – ed è il portato di una tendenza, purtroppo, di tanti piccoli viticoltori ad abbandonare il vigneto, diciamo così, per la produzione a fini commerciali, mantenendo, però, quella parte vitata destinata all’autoconsumo. Perché la vigna per sé è l’ultima ad essere smantellata. E tanti sono ancora i viticoltori che, grazie a Dio, portano avanti con caparbietà la loro tradizione viticola, lavorando la vigna come si deve, con passione, con dedizione, fino alla vendemmia e alla produzione di vino destinato esclusivamente all’autoconsumo famigliare. Basti dire che, come Fojanini, effettuiamo 200 analisi l’anno sui prodotti dei viticoltori e vinificatori autoctoni che hanno deciso di non conferire più in cantina e si tengono il prodotto per sé o, al massimo, si lanciano nella produzione di qualche bottiglia propria per la vendita».
Non è un processo negativo in sé, secondo Murada, «perché – insiste – è, anzi, positivo che si mantenga questa tradizione famigliare, questa festa della vendemmia in vigna, ma, semmai, il problema si evidenzierà più avanti, quando l’abbandono dell’area vitata sarà tale da ripercuotersi negativamente sulla produzione di vino Valtellina doc per la vendita sui mercati nazionale e internazionale. E’ a quel punto che questo gap, questa forbice, che si va sempre più ampliando, fra esigenze del viticoltore e esigenze del produttore, delle cantine di conferimento, in una parola, si farà sentire sempre più a discapito proprio dei grossi produttori e, alla fine, di tutto il settore».
Il punto di non ritorno
Secondo Murada, però, in Valtellina, allo stato attuale, non siamo ancora al punto di svolta, al punto di non ritorno.
«In altri territori questa situazione si è già prodotta e il settore, piano piano, – precisa – ha ricominciato a crescere, dopo aver toccato il fondo. Da noi ci si barcamena ancora, ciò che da una parte è un bene, ma dall’altra…Basti dire che le zona più vitali, più interessanti e vivaci del settore vinicolo locale non sono affatto concentrate nelle aree vitate storiche, il sondriese e la media valle, ma su aree ritenute più “marginali”, come la costiera dei Cèck e limitrofi. Penso ad Ardenno, Buglio, Postalesio, Triasso dove vengono avanti nuove esperienze di piccoli produttori e anche forme associative di produzione interessanti in prospettiva».
( Fonte www.laprovinciadisondrio.it )
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