Ottenute uve resistenti a peronospora e oidio attraverso la genetica, per un vino che richiede meno trattamenti esterni. Il lavoro di ricerca è stato svolto da Università di Udine e Vivai Cooperativi Rauscedo
La tecnologia genetica aiuterà a sconfiggere peronospora e oidio? Sembrerebbe proprio di sì, almeno stando ai risultati di un lavoro immenso, durato quindici anni, che l’Università di Udine ha condotto insieme ai Vivai Cooperativi Rauscedo. Ce ne ha parlato Francesco Anaclerio, responsabile per la ricerca proprio di questi ultimi. Un lavoro importante perché la peronospora può causare perdite significative nella produzione di uva, sia quando viene contratto il fungo che la causa sia nelle annate successive. Anche lo oidio e di natura fungina e, anch’esso provoca danni che possono protrarsi negli anni, con conseguenti gravi danni sia in termini di uva raccolta sia per la qualità della vigna.
Quali sono i motivi alla base di questa ricerca?
«L’andamento, anche all’interno dell’Unione Europea, è verso la riduzione del numero dei trattamenti necessari per salvaguardare la salute delle piante. Con un problema da superare, almeno per quanto riguarda il mondo della viticoltura. Sulle varietà di vitis vinifera questo indirizzo, la riduzione del numero dei trattamenti, ha i suoi limiti, ma la genetica può darci un aiuto. L’Università di Udine, con la scoperta della mappatura del dna della vite ha anche localizzato i geni della resistenza per quanto riguarda la peronospora e l’oidio. Queste, come noto, sono le due maggiori patologie che affliggono i vitigni, veri e propri flagelli che più volte, in passato, hanno causato danni ingentissimi, quando non addirittura la scomparsa di interi vigneti in molte zone della penisola. Ecco il motivo dell’interesse verso ricerche come quella dell’Università di Udine e di Vivai Cooperativi Rauscedo».
Che risultati avete ottenuto?
«Incrociando varietà internazionali con viti che hanno già questi geni della resistenza abbiamo ottenuto nuove varietà, che sono state iscritte nell’ottobre 2015 nel catalogo nazionale della vite e che quindi possono essere messe in vendita, per lo meno nel Friuli e in Veneto».
Sono vitigni adatti solo al Triveneto o possono essere impiantate e coltivate ovunque?
“No, no, come dicevo sono vitigni ottenuti da incroci con varietà internazionali: la base è fatta di un vitigno europeo, per così dire Friulano, Sauvignon, Merlot e Cabernet Sauvignon. Per questo, possono benissimo essere impiantate ovunque. Ci sono anche varietà al momento in fase di studio, come il Sangiovese e altre ancora. Queste sono le prime che sono arrivate al punto di poter essere vendute e piantate».
Mi diceva che la ricerca è durata una quindicina d’anni.
“Non è stata una cosa semplice. La genetica ha i suoi tempi”.
Cosa possiamo rispondere a chi teme l’invasione di cibo-Frankenstein, geneticamente modificato?
«Le ricerche sono state condotte attraverso l’uso di tecniche tradizionali: l’incrocio, la castrazione del fiore, l’impollinazione, la raccolta del vinacciolo e la sua germogliazione. Solo a quel punto si è intervenuti con le tecniche moderne di determinazione del dna, per verificare se i geni della resistenza alla peronospora e all’oidio erano presenti o meno. Siamo partiti con ventimila vinaccioli circa per arrivare, come può vedere, a una ventina di varietà interessanti. Possiamo quindi mettere tutti tranquilli: niente scienziati pazzi che giocano con le provette in laboratori segreti, dunque, solo esperti nella coltivazione delle viti e ricercatori nel mondo della genetica».
C’è interesse da parte dei viticoltori del Triveneto?
«C’è, ed è piuttosto elevato. D’altronde, questa linea di vite è indicata anche per le coltivazioni biologiche: essendo resistente alle due malattie per caratteristiche sue, non necessita di trattamenti con anticrittogamici o altro».
( Fonte de-gustare.it )
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