Gli aromi dei vini, in special modo di quelli tratti da varietà non particolarmente caratterizzate per la presenza di composti primari importanti, sono sempre di più oggetto di indagine e ricerca.
La difficoltà maggiore che ha incontrato il mondo scientifico su questo argomento è la vastità dei composti contenuti ed il loro effettivo apporto all’aroma e al gusto. Gli oltre 500 composti odoranti finora scoperti e la difficoltà di valutarne singolarmente il potere olfattivo non tanto quando sono da soli (le cosiddette soglie di percezione e soglie di riconoscimento sono ormai presenti per moltissimi composti) ma quando sono in miscela con altri, implica la possibilità di effetti antagonisti o sinergici, di modificazioni percettive della “nota” aromatica e soprattutto la difficoltà a elaborare un aroma caratteristico di quel vino e di quel terroir.
Se poi per certe varietà si conoscono comunque delle classi di composti che ne marcano l’aroma (Terpeni, Tioli, Norisoprnoidi, eccetera) per il sangiovese, in particolare dopo l’invecchiamento, le difficoltà aumentano. Di questi argomenti, con un approccio in qualche modo semplificato del problema, si è parlato al convengo Aromi e Vino organizzato da Isvea, dall’azienda Avignonesi di Montepulciano e da altri enti pubblici e privati il 27 giugno scorso a Arezzo a chiusura di un progetto sulla caratterizzazione aromatica del sangiovese.
Tra i relatori il professor Vicente Ferreira del LAAE-Università di Zaragoza (Spagna), il professor Rémi Guerin-Shneider dell’IFV UMT Qualinnov di Montpellier (Francia), la dottoressa Paola Piombino dell’Università di Napoli e Stefano Ferrari, l’ enologo di ISVEA che ha seguito il progetto San-Aro sul sangiovese aretino.
La relazione di Ferreira ha illustrato il suo approccio alla analisi aromatica dei vini e dei vitigni alla base del progetto San-Aro che, dal punto di vista concettuale, sgombra il campo da molti problemi sopra esposti. Si sostiene infatti l’esistenza di un “tampone aromatico” che interagisce con gli aromi varietali e che è comune a tutti i vini; agendo in qualche modo come un tampone chimico, e reagisce fino ad un certo punto alla presenza di aromi varietali, omologandoli. I vini che non si distinguono dal tampone aromatico, sono i vini banali. Se invece esistono delle famiglie aromatiche che in qualche modo superano l’effetto tampone e marcano la varietà, possono interagire tra loro ed avere effetti sinergici o competitivi e da questi equilibri nascono le caratteristiche qualitative del vino.
In questa ottica quindi sono poche le famiglie aromatiche importanti per la creazione di aromi, essendo molti composti comuni a tutti i vini in qualsiasi luogo e di qualsiasi varietà (si pensi agli acidi, agli alcoli superiori, ai composti di ossidazione dell’alcool, agli acidi grassi, eccetera). Oltre a questo, si deve ipotizzare l’esistenza di una frazione di sostanze odorose legate a qualche altra molecola, che non compaiono subito nel vino ma che vi si manifestano quando questo legame si rompe. In questo caso si hanno fenomeni sia positivi sia negativi in funzione del tipo di molecola che viene “occultata”. E’ questo il caso della comparsa di prodotti solforati nei vini dopo la fermentazione alcolica. Essi possono o meno riapparire anche dopo mesi in funzione dello zolfo accumulato durante la fase di fermentazione.
La dottoressa Piombino ha illustrato prove effettuate sul nebbiolo relative all’influenza di pratiche agronomiche e enologiche sulla produzione di aromi nelle quali si è osservata la rilevante influenza della defogliazione e dell’appassimento sul contenuto aromatico dei vini prodotti. Un altro argomento interessante è l’interazione tra proteine salivari e aromi che determinerebbe la perdita di notevoli frazioni di aromi per via retronasale: un effetto marcato per i vini bianchi, molto meno per i rossi.
Il professor Schneider ha portato i risultati di lavori effettuati sulla nutrizione azotata, su alcuni aromi (in particolare l’acetato di isoamile – aroma di banana – e i tioli volatili), sull’influenza dei ceppi di lievito e della loro alimentazione sulla produzione di aromi e la liberazione di precursori. Anche la temperatura di fermentazione è stata analizzata confermando che mentre le temperature più basse sono indicate per ridurre le perdite di aromi fruttati e floreali, la produzione di aromi tiolici predilige temperature più elevate, e questo pone un problema di ottimizzazione della temperatura.
Il Progetto San-Aro illustrato da Stefano Ferrari e condotto sotto la direzione del professor Ferreira ha messo in luce come delle cinque tipologie stilistiche di sangiovese individuate due fossero fortemente contaminate da aromi animali, una fosse considerata la più tipica e territoriale e una fosse legata molto agli aromi fruttati derivati dal beta damascenone e beta ionone.
L’evento dunque ha dato la possibilità di fare luce su argomenti ancora in fase di sviluppo ponendo però le basi di una seria indagine scientifica e proponendo un approccio anche pratico e diretto alla gestione degli armoni nella viticoltura e nella enologia moderna.
( Fonte L’Acquabuona )