Le Generali, che hanno un braccio agricolo-vitivinicolo importante, Genagricola, ha creato una joint-venute in Cina: Sinodrink, un network per conquistare quote su un mercato in forte crescita, il più grande e autorevole importatore di etichette di gamma alta del nostro paese. Le esportazioni globali verso il dragone crescono del 30 per cento all’anno
«I vini italiani sono partiti tardi ma stanno conquistando terreno, i cinesi amano la nostra cucina e ora stanno apprezzando anche i nostri vini, soprattutto hanno una grande curiosità nei confronti delle diverse varietà, e l’Italia da questo punto di vista ha un patrimonio ineguagliabile»: Edward Liu è il presidente di Sinodrink, la joint-venture costituita con Generali e Genagriola, la costa vitivinicola e agricola del gruppo italiano di assicurazioni.
Una partnership che ha reso Sinodrink il più grande e autorevole importatore di etichette made in Italy in Cina. Sinodrink non vende solo i vini e prodotti di Genagricola, ma è riuscita a diventare lo snodo principale attraverso il quale altri viticoltori del nostro paese vendono sul mercato del Dragone: «Siamo distributori esclusivi di oltre 1000 etichette di vini di alto di gamma, oltre che di liquori e acque minerali», racconta Liu.
E spiega: «Siamo presenti nei principali hotel e ristoranti di 4 e 5 stelle nelle principali città, come Shanghai, Pechino e Shenzen, ma ora stiamo conquistando progressivamente le città di cosiddette di secondo e terzo livello, abbiamo aperto già da diversi anni una sede anche a Chengdu, nel Sichuan, per presidiare meglio il mercato interno».
Le due vetrine dello showroom di Shanghai, in via Zhaohua, vicino allo Zhoshangpark, una delle zone commerciali più trafficate, mostrano scaffali pieni di bottiglie, botti trasformate in tavolini e, soprattutto, il lungo bancone e l’ampio tavolo, che servono a ospitare buyer e appassionati alle giornate di conoscenza e approfondimento. Come il Master of wine che si è tenuto a dicembre scorso. «E’ questa la leva per far conoscere le diverse etichette e le diverse tipologie regionali di vini, una sfida interessante, se consideriamo che fino a dieci anni fa erano pochi i cinesi che sapevano apprezzare il vino», racconta Liu.
Un grande salto nella cultura enogastronomica. Un grande salto nel business. Le esportazioni di vino in Cina crescono del 30 per cento l’anno, secondo i dati di China wine business. Un paese cresciuto a baiju, superalcolico che sa di propilene, ha sviluppato in poco più di dieci anni il gusto per vini rossi impegnativi e bollicine. Un mercato d’oro coccolato da produttori ed enologi stranieri. Soprattutto francesi e australiani che nel Dragone la fanno da padroni. Secondo le rilevazioni di China wine business, i francesi hanno il 41,13% di share, gli australiani il 26,71%. L’Italia, quinta dietro Cile e Spagna, ha una quota del 5,45%.
Le fiere di settore da Pechino a Hong Kong, sono sempre affollate. La crescita di Generali-Sinodrink deve fare i conti con competitor agguerriti. Presidiava in prima fila il ceo in persona di Axa Millesimé, la costola vitivinicola del gigante francese delle assicurazioni, il Decanter Fine Wine che ha animato la settimana del vino a Shanghai, piazza sempre più importante. Hanno aperto i lavori i tedeschi di Prowein, la fiera di Düsseldorf che negli ultimi anni ha rubato espositori al Vinitaly di Verona, e che ha tenuto banco tre giorni nella gigantesca sede di Shangai Expo. «I buyer cinesi sono maturati a loro volta professionalmente, la Cina sta diventando sempre di più un mercato di qualità», racconta Liu.
Lo stesso Angelo Gaja, il re del Barbaresco, la Ferrari dei vini italiani, trova il mercato cinese molto maturato.
I viticoltori francesi e australiani sono arrivati prima di tutti e, soprattutto, hanno fatto leva su un principio chiave: la capacità di fare network, di dispiegare strategie di marketing comuni. Una qualità che troppo spesso manca agli italiani. «Molte aziende vogliono ritorni immediati, altrimenti lasciano stare, invece nel mondo del vino soprattutto in un mercato complesso come quello cinese ci vuole pazienza, servono strategie di lungo termine, bisogna seminare, creare contatti, e aspettare che gli affari crescano con i loro tempi», spiega Liu. Un network grande, con radici in Cina attraverso persone che conoscono molto bene il mondo dell’enogastronomia si è rivelata una scelta vincente.
Certo, Australia, Cile e pure la Georgia, che secondo Decanter China sta conquistando posizioni, possono contare anche su accordi più favorevoli per quanto riguarda i dazi.
Una fetta del mercato cinese la coprono le piattaforme online. In Cina, soprattutto i più giovani, comprano tutto su Internet, anche il tè. E il vino, appunto. Lo scorso anno il governo italiano ha stretto un accordo con Alibaba per spingere la distribuzione delle nostre etichette. Ma su questo fronte gli acquisti online possono riservare amare sorprese. Proprio a novembre scorso, per esempio,la polizia di Shanghai ha sequestrato 14.000 bottiglie di falso Penfolds, uno dei più grandi vini australiani. Molte di queste etichette contraffatte erano destinate alla vendita su Taobao, la piattaforma e-commerce di Alibaba.
Maureen Downey, soprannominata la Sherlock Holmes dei vini d’eccellenza, sostiene che in tutto il mondo i vini falsi venduti sono in aumento. Ma la Cina, la patria deelle contraffazioni, è particolarmente esposta. L’etichetta più contraffatta è il Lafite, il brand più noto sul mercato cinese. La polizia è arrivata a stimare che fino al 50% di tanti Lafite venduti sono stati prodotti in navi ormeggiate sulla costa cinese, anziché nelle tenute di Domains Barons de Rothschild nel Pauillac, Francia.
Nonostante la campagna anti-falsi sostenuta in persona da Jack Ma, fondatore di Alibaba, sono molte le griffe della moda che si rifiutano di vendere online sulla sua piattaforma. Un paio di anni fa è stata sospesa la sua iscrizione all’Iacc, Internationa Anti-Counterfeiting Coalition’s dopo che alcune griffe se ne erano andate per protesta.
( Fonte Repubblica )
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