«Il vino è la poesia della terra…», lo scriveva Mario Soldati quasi 50 anni fa in occasione del suo viaggio nell’Italia che resta un riferimento imprescindibile. Da allora il nostro vino ha fatto tanta strada, ma in quel legame con la terra continua ad esserci il mistero della sua grandezza. Ci si chiede da sempre se il vino buono nasce in vigna o in cantina. Se conta di più l’agronomo o l’enologo. Domande che non avranno mai una risposta certa. È come chiedere se è nato prima l’uovo o la gallina…
Il tema resta però di grande attualità nel momento in cui gli approcci “biologico”, “biodinamico” o “naturale” sono sempre più di moda, ma a volte so no soltanto un’etichetta appiccicata lì da qualche pseudo-guru del marketing. Per capirne di più, ne parliamo con Leonardo Valenti, 60 anni, docente di viticoltura all’Università Statale di Milano. Agronomo diventato anche enologo e consulente, con Pierliuigi Donna, di oltre 50 aziende, Valenti è di quelli che mettono la terra e quindi l’agricoltura al centro. Senza dimenticare che il miracolo di un grande vino sta nell’equilibrio tra natura e cultura. Tra i fondatori dello studio agronomico SATA (www.agrononisata.it), ha lanciato il biopass per aiutare le aziende a districarsi nei labirinti del biologico.
Valenti se la prende con chi sostiene che vino-bio sia sinonimo di vino con qualche difetto.
«E’ una vecchia e purtroppo ra dicata convinzione. Ma è ormai evidente che la nuova via di ri spetto per il terreno e le uve de ve essere competitiva sul piano qualitativo, altrimenti ha perso in partenza… Il vino bio deve e può essere anche molto buono. Anzi, la mia esperienza mi dice che le bottiglie migliori vengo no dalle vigne e dai terreni più sani. Barone Pizzini, una delle più prestigiose aziende della Franciacorta, è sulla via del bio da quasi 20 anni con piena sod disfazione e ottimi risultati».
Ma cosa significa vino-bio?
«È una grande presa di coscienza, è la via obbligata per fare bottiglie buone e sane. Senza assolutismi. Il bio in senso steineriano è spesso un atto di fede. Io penso piuttosto ad una buona agricoltura e al rispetto massimo del terreno. Qualche intervento può rivelarsi necessario. Io sono contrario alle medicine, ma se un medico mi prescrive degli antibiotici li prendo… La scelta bio è una necessità per il rispetto che dobbiamo a noi e agli altri. E lo stesso penso per la sostenibilità di ogni progetto».
Cosa significa nel concreto?
«Zero diserbanti, che inquinano, tendenza zero solfiti aggiunti e significativa attenzione alle emissioni carboniche. Con il mio gruppo SATA ho messo a punto il protocollo ITACA per valutare il peso delle emissioni carboniche sull’ambiente e offriamo soluzioni che siano ecologicamente sostenibili. La Berlucchi ad esempio ha optato per il fotovoltaico ed ora ha energia pulita autoprodotta che aiuta l’azienda e il mondo….».
E per il lavoro in vigna?
«Il discorso è lo stesso: validiamo l’approccio agronomico e il rispetto per il terreno di ogni azienda. Alla fine diamo un punteggio che tiene conto di: sostenibilità, biodiversità e stato di ogni singola vigna. E sapete qual è la grande sorpresa? É che alla fine i punteggi più alti vanno ai quei terreni che le aziende destinano ai vini di riserva, i migliori di ogni cantina».
Come vede il futuro?
«Con grande fiducia. Le seconde e terze generazioni sono molto preparate e faranno fare il definitivo salto di qualità, anche etico, alla nostra enologia».
( Fonte gazzagolosa )
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