Apprendo solo ora questa notizia che mi lascia allibito : Tu Maurizio hai solo messo i puntini sulle i, perchè il merlot nel brunello NON ha avvelenato nessuno ; se noi che scriviamo di vino dobbiamo avere il timore di scrivere la verità siamo messi proprio male. Mi unisco al coro di solidarietà che non è però sufficente. Apriamo un sito per una raccolta fondi e sarò ben lieto ospitare sulle pagine del mio www.winetaste.it questa raccolta, se saremo in tanti anche solo 5 euro alla fine diventeranno importanti e Tu Maurizio potrai ( dovrai ) fare ricorso. Quello che oggi è capitato a Te, domani potrebbe capitare ad ognuno di noi che scriviamo di vino !
Roberto Gatti
” Maurizio Gily condannato per aver detto il vero, ma averlo Espresso male…
Maurizio Gily, da anni giornalista (direttore di millevigne.it), agronomo e professionista stimato, collaboratore a più riprese anche di Slowine.it e della rivista cartacea Slow, è stato condannato dal tribunale di Rovereto per non aver usato “continenza” espressiva.
Di che si tratta Maurizio? Ci puoi spiegare meglio l’accaduto?
Più di cinque anni dopo il caso “Velenitaly”, la bomba atomica calata su Vinitaly dal settimanale l’Espresso, che denunciando, correttamente, alcuni casi di frode e sofisticazione, parlava, non altrettanto correttamente, di centinaia di migliaia di bottiglie di vino avvelenato (veleno mai trovato), e, in un altro articolo, del caso brunellopoli, accostando in una gran confusione l’inquinamento da agenti cancerogeni (mai trovati) con l’inquinamento da merlot nel sangiovese (che ovviamente non uccide nessuno), un giudice del tribunale di Rovereto mi ha condannato a risarcire il giornalista dell’Espresso che avevo attaccato su Millevigne. Ne avrei leso la reputazione. Euro cinquemila, più le spese legali.
Certamente una bella botta, ma il giudice ti ha condanno su che basi?
Dopo l’assoluta incredulità iniziale sulla possibilità di essere riconosciuto, io, non altri, colpevole di qualcosa, ho provato a mettermi nei panni di un giudice e mi sono reso conto di quanto sia difficile, per chi non ha vissuto dall’interno l’esperienza di quei giorni, “contestualizzare” quell’episodio ormai lontano nel tempo (il giornalista in questione si è accorto del mio articolo tre anni dopo, grazie a internet, il che dice da solo quanto danno può averne sofferto), i devastanti effetti che ebbe sul settore nel momento cruciale del Vinitaly, l’impatto sull’opinione pubblica e sugli operatori internazionali, lo sdegno generale nel mondo della produzione e tra gli stessi organizzatori di Vinitaly. Senza contare la difficoltà di valutare dettagli tecnici su una materia di cui ovviamente un magistrato può avere solo una conoscenza vaga. Eppure la mia difesa aveva prodotto ampia documentazione di come quel servizio fosse, per usare un eufemismo, discutibile, e di come fu per questo bombardato di critiche pesantissime da tutte le parti, non solo dall’Italia ma anche dall’estero, nonché oggetto di svariate querele, spiegandone ampiamente i motivi. Ma è chiaro che se tutto questo perde peso rimangono soltanto le parole, pesanti, non lo nego, ma non infamanti, che scrissi contro Espresso e contro l’autore del più strabiliante tra gli articoli di quel perdibilissimo numero del noto settimanale.
Ma entrando nello specifico cosa ti si contesta?
Il giudice scrive che non avrei usato “continenza” espressiva. La verità di quanto ho scritto non è messa in discussione: “… atteso che non vi è questione in ordine al fatto che il dott. Gily, nello scrivere, abbia riportato notizie vere”, ma è la forma, sfociata, a detta del giudice, in un “attacco personale” che avrebbe travalicato il diritto di critica ledendo l’onore del collega, che vale una condanna, sia pure decimata rispetto alla richiesta della controparte, che era partita da dieci volte tanto (50.000 euro). Eppure non ho fatto uso di turpiloquio, né ho accusato qualcuno di qualcosa che non aveva fatto: ho solo scritto che una notizia non era vera (non la frode con annacquamento e arricchimento dei mosti, quella era vera, ma l’avvelenamento), dopo che due ministeri e un magistrato inquirente sull’inchiesta in questione lo avevano già detto in comunicati ufficiali, da me diligentemente riportati. Non ho neppure parlato di mala fede, ma solo di eccesso di fantasia (“fantasie horror” per la precisione) nel riportare notizie raccolta in una procura ed elaborate in modo creativo (ad esempio parlando di sostanze cancerogene, ma senza citarne alcuna, anzi citandone alcune che non lo sono, oltre a non esserne accertata la presenta nel prodotto in questione).
A questo punto cosa pensi di fare?
Le sentenze si rispettano, e io la rispetto. Non ho ancora deciso se presentare ricorso in appello. I legali me lo consigliano. Ciò che vedo in giro, ad esempio certe sentenze in cui dei giudici decidono su argomenti che conoscono poco, con esiti sbalorditivi (vedi caso Stamina), me lo sconsigliano.
( Fonte Slowfood.it )