Sono passati tre anni da quando su queste pagine ho iniziato a parlare dell’agricoltura biodinamica.
L’abbiamo presa alla lontana, come è mio solito, parlando della visione esoterica del suo fondatore, il filosofo austriaco (che nulla sapeva di agricoltura) Rudolf Steiner. Ho descritto alcune sue prescrizioni.
Ad esempio di come, per scacciare i topi, si debba catturarne uno, ma solo quando Venere è nel segno dello Scorpione. Poi scuoiarlo, bruciare la pelle e spargere le ceneri sul campo da disinfestare. Oppure di come il cornoletame, forse il preparato biodinamico più utilizzato, “funzioni” perché “La vacca ha le corna al fine di inviare dentro di sé le forze formative eterico-astrali, che, premendo verso l’interno, hanno lo scopo di penetrare direttamente nell’organo digestivo. […] Così nelle corna abbiamo qualcosa di ben adattato, per sua natura, a irradiare le proprietà vitali e astrali nella vita interiore.”.
Qualcuno se l’è presa perché ho osato prendere in giro Steiner. In realtà io non ho fatto altro che riprendere le cose che lui ha scritto. Ma è sicuramente vero che, come ricordavo nello scorso articolo, è facile prendersi gioco di quelle che sembrano farneticazioni di un pazzo sotto l’influsso di allucinogeni. La scienza però non può limitarsi al giudizio severo o alla semplice derisione della descrizione del presunto meccanismo di funzionamento di queste pratiche.
Gli effetti dei preparati e dei processi biologici dell’agricoltura biodinamica non possono essere esclusi a priori, anche se le concentrazioni sono molto basse. In altre parole la descrizione del presunto meccanismo fornita dai seguaci della biodinamica, con le corna e l’energia astrale, è completamente priva di senso, e tuttavia i procedimenti potrebbero avere un qualche effetto misurabile in base a meccanismi di altro tipo. Le prime spiegazioni delle maree erano campate per aria, ma le maree sono un effetto reale. Ci si deve quindi chiedere serenamente se l’uso dei preparati biodinamici apporti benefici misurabili rispetto a una coltivazione biologica convenzionale. Varrà la pena di interrare il corno di vacca primipara? Vediamo quello che ho scoperto e raccontato nel libro Le bugie nel carrello.
Emozioni nel vino
Una domanda interessante è come mai l’agricoltura biodinamica stia prendendo piede quasi solo nella produzione di vino, un ambito di cui Steiner non si è mai occupato nelle sue conferenze. Si sente parlare sempre più spesso di «vini biodinamici» o di «vini prodotti con uve provenienti da agricoltura biodinamica», e quasi mai di pomodori o lattuga ottenuti con lo stesso metodo. Sì certo, in qualche mercatino si trovano ma hanno un peso insignificante e soprattutto non “fanno tendenza” come è invece il caso del “vino biodinamico”. Sul perché posso solo fare supposizioni. Prima di tutto il vino è molto più costoso dell’ortofrutta. I margini sono maggiori sia per le aziende produttrici sia per i rivenditori (enoteche e ristoranti possono avere un ricarico dal 50 al 100 per cento o più). Se almeno una fetta di consumatori gradisce il prodotto, diventa relativamente semplice assorbire il costo e l’impegno maggiore in vigna che le pratiche biodinamiche richiedono. In più, c’è forse da considerare che, nella storia dell’umanità, il vino ha sempre avuto forti connotazioni simboliche e spirituali. Basti pensare al rito della messa, in cui diventa «sangue di Cristo». Le visioni di Steiner di forze cosmiche, corpi astrali, spiriti, energie vitali, risonanze celesti ed equilibri naturali, del tutto prive di senso dal punto di vista scientifico, trovano terreno fertile più nel vino che nel pomodoro.
Nel marketing del vino, specialmente di fascia alta, l’immagine e le suggestioni svolgono un ruolo fondamentale. Non si vende soltanto una bevanda alcolica a base di uva, ma anche un prodotto corredato di storie, emozioni, ricordi, territori e discorsi onirici. Tutto ciò mal si concilia con la fredda razionalità dei dati scientifici. L’interesse per pratiche che a volte sconfinano nella ritualità magica (come interpretare altrimenti il gesto di seppellire un corno di vacca?) è forse solo una manifestazione delle istanze irrazionali e antiscientifiche purtroppo diffuse anche nei circoli intellettuali che si autodefiniscono progressisti. Molte persone, anche fra i miei amici, credono a non meglio identificate «energie», ai chakra, allo «spirito dell’universo», alle «vibrazioni» e a molti altri fattori tanto evocativi e immaginifici quanto fumosi. E in fondo la biodinamica ben si adatta al fideismo neopagano che chiama «madre» la natura e si affida alla sua benevolenza usando il termine «naturale» come sinonimo di buono e salutare. Le «forze vitali» di cui parla Steiner non sono definite in alcun modo, non si possono misurare e non è chiaro quali effetti possano manifestare
Alla prova dei fatti
La letteratura scientifica antecedente al 2005 non riporta studi rigorosi di confronto tra biodinamica e agricoltura biologica, ma soltanto articoli che, non avendo subito il normale processo di peer review (valutazione tra pari), hanno scarsissimo valore dal punto di vista scientifico.[i] Sono stati invece pubblicati studi che confrontano le coltivazioni biodinamiche con quelle convenzionali, riscontrando un suolo più ricco di microrganismi, di materia organica e di vermi. Ciò non stupisce perché, come detto, le pratiche biodinamiche sono le stesse dell’agricoltura biologica, con l’aggiunta dei preparati. Per capire se il loro utilizzo (ed eventualmente il calendario astrologico delle semine) comporti una qualche differenza rispetto alle pratiche dell’agricoltura biologica non è corretto usare come termine di confronto un campo coltivato in modo convenzionale: bisogna studiare due campi di colture biologiche che differiscano fra loro soltanto per l’utilizzo dei preparati biodinamici. Solo così si può capire se possano avere un qualche effetto.
Uno studio molto spesso citato dai seguaci della biodinamica è un articolo pubblicato nel 2002 sulla prestigiosa rivista «Science» da un gruppo di ricercatori svizzeri che hanno studiato per ventuno anni gli effetti della biodinamica, dell’agricoltura biologica e di quella convenzionale sulle coltivazioni.[ii] Nonostante la pubblicità ricevuta, quel confronto tra la biodinamica e l’agricoltura biologica non è rigoroso. Leggendo l’articolo si scopre infatti che i due tipi di coltivazioni hanno ricevuto trattamenti diversi, oltre all’utilizzo dei preparati biodinamici, e quindi non è possibile attribuire ai preparati biodinamici le differenze rilevate tra i due metodi di coltivazione.
Altri studi citati dai fautori della biodinamica dimostrerebbero che il concime addizionato con il cornoletame ha una composizione chimica diversa da quello non trattato, il che non stupisce, visto che i due concimi contengono componenti diversi. Non è però chiaro, e le pubblicazioni non lo dicono, perché l’uno dovrebbe essere migliore dell’altro. Un articolo di confronto sul suolo fertilizzato usando sia compost biodinamico sia non trattato conclude che «non sono state trovate differenze tra il suolo fertilizzato con compost e preparati biodinamici rispetto a quello dove i preparati non sono stati utilizzati». [iii]
Uno studio sulle uve biodinamiche
Nel 2005 il gruppo di John Reganold, professore di agroecologia e agricoltura sostenibile alla Washington State University di Pullman negli Stati Uniti e molto interessato alla biodinamica, pubblica il primo studio di confronto scientificamente accettabile sull’uso dei preparati biodinamici nella coltivazione dell’uva da vino. [iv]
Dato l’interesse recente per la biodinamica, e poiché sulle riviste peer reviewed non è mai stata pubblicata alcuna ricerca che confronti l’agricoltura biodinamica con quella biologica applicata alla viticoltura, nel 1996 abbiamo iniziato uno studio a lungo termine, replicato più volte, confrontando uva biologica e biodinamica in una vigna commerciale certificata biodinamica della contea di Mendocino [in California, nda]. Il nostro obiettivo era determinare se fosse possibile misurare un qualche cambiamento nel suolo e nella qualità delle uve come risultato dei preparati biodinamici.
L’esperimento, durato dal fino al 2003, ha riguardato 4,9 ettari di viti di Merlot. Su tutta la superficie sono state utilizzate le stesse pratiche di agricoltura biologica, applicando su metà dell’area i preparati spray 500 e 501, e dal 502 al 507, aggiunti al compost. Solo in questo modo i ricercatori potevano determinare se l’uso dei preparati biodinamici comportasse variazioni nel suolo o nell’uva. Il suolo è stato analizzato per vari anni di seguito, indagando sia la sua composizione chimica (materia organica, pH, nitrati, fosforo ecc.) sia la sua attività biologica (numero di vermi, attività batterica ecc.). Scrivono i ricercatori:
In relazione ai vari parametri chimici, fisici o biologici investigati non è stata trovata nessuna differenza significativa tra gli appezzamenti trattati in modo biodinamico e quelli non trattati. Inoltre, non sono state riscontrate differenze nelle più sensibili misure di attività microbica.
Questo risultato conferma i risultati ottenuti dagli stessi ricercatori in uno studio precedente.[v] Anche il numero di vermi presenti nel suolo per metro quadro (nei primi 20 cm di profondità), pur variando da appezzamento ad appezzamento, non ha mostrato differenze significative.
Passando alle viti, l’uso dei diversi trattamenti non ha prodotto differenze significative nell’analisi delle foglie, nella resa, nel numero di grappoli, nel peso dei grappoli e in quello degli acini. L’analisi chimica dell’uva non ha rivelato variazioni statisticamente significative. Attenzione che il termine “significativo” ha un significato tecnico ben preciso e non è un sinonimo, come spesso nel linguaggio comune, di “importante” o “grande”. Una differenza “statisticamente significativa” può benissimo essere insignificante nella pratica. Vedi la nota. Tornando all’uva, l’unica differenza riscontrata, solo per i campioni del 2003, è un piccolo aumento del contenuto zuccherino misurato in gradi Brix (+1,3 per cento), dei polifenoli (+2,6) e delle antocianine (+5). I ricercatori concludono che, «sulla base dei dati relativi alla composizione dell’uva, ci sono poche evidenze che i preparati biodinamici contribuiscano alla qualità dell’uva. Le differenze osservate erano piccole e di dubbia utilità pratica».
Aggiungerei che, se quelle piccole differenze si sono manifestate solo nel 2003, si può sospettare che in uno dei campi sia successo qualcosa di imprevisto, slegato dalle procedure biodinamiche, oppure che si tratti di semplici fluttuazioni statistiche. Supponiamo di prendere 20 campi coltivati in modo biologico e di distribuire su 10 di questi i preparati biodinamici. Per effetto delle pura variabilità statistica, dobbiamo aspettarci che circa 5 campi trattati in modo biodinamico abbiano parametri leggermente migliori dei 5 campi di confronto. E questo senza che vi sia una motivazione reale, solo per effetto del caso.
La verifica degli assaggiatori
L’esperimento descritto sopra è proseguito dal 2001 al 2004 con la vinificazione,[vi] allo scopo di verificare se esistessero differenze sensoriali percettibili tra il vino da uve biodinamiche e quello da uve biologiche. I grappoli sono stati raccolti a mano e per tutti i lotti il vino è stato prodotto seguendo lo stesso protocollo. Per evitare che il sapore fosse alterato da aromi estranei non sono state utilizzate botti di legno. Un gruppo di assaggiatori ha eseguito in cieco una serie di confronti sensoriali sui vari vini.[vii] Inizialmente è stato somministrato il classico test triangolare: si presentano all’assaggiatore tre campioni, tutti della stessa annata, due dei quali sono identici, e gli si chiede di scoprire l’«intruso». Nell’esperimento in questione, ai partecipanti potevano capitare due campioni di vino biodinamico e uno di vino biologico, o viceversa, in modo casuale. I risultati hanno rivelato che in nessuna delle annate, dal 2001 al 2004, sono state riscontrate differenze significative tra il vino biodinamico e quello di controllo (p < 0,05).[viii]
Per le annate 2003 e 2004 è stato condotto anche un confronto guidato da una serie di descrittori, sempre con gli assaggiatori all’oscuro di quanto stavano assaggiando. I partecipanti dovevano valutare vari aspetti del sapore, del gusto e dell’aroma di ogni coppia di bicchieri somministrata. Il vino biodinamico del 2003 è risultato possedere aromi di terra più forti e sapore più amaro del corrispondente vino biologico, mentre il contrario è avvenuto nel 2004. Esaminando l’apprezzamento globale, solamente l’annata del 2003 ha mostrato una differenza (p < 0,1),[ix] in quanto gli assaggiatori hanno preferito il vino da uve biologiche rispetto a quello biodinamico (30 contro 18). Il vino del 2004, su cui qualche assaggiatore ha riscontrato differenze tra biodinamico e biologico, non ha invece suscitato preferenze significative.
Ricapitolando, con il test triangolare non sono emerse differenze sensoriali rilevanti fra il vino biologico e quello biodinamico della stessa annata. Solo il vino del 2003, quello per cui le uve biodinamiche erano risultate un po’ più ricche di polifenoli (ricordate?), qualche assaggiatore ha riscontrato una differenza. Ironicamente però la maggior parte degli assaggiatori hanno preferito il vino biologico a quello biodinamico.
E quindi? Come mai alcuni giurano e spergiurano che il loro vino biodinamico è buonissimo e si organizzano persino fiere dedicate come se fosse una categoria a parte? Ci torniamo su la prossima volta
Dario Bressanini
P.S. Domani 18 Febbraio alle ore 18:45 saro’ a Padova: Aula I – Dipartimento di Chimica – via Marzolo, 1
http://www.unipd.it/ilbo/content/fame-ch…
( Fonte Dario Bressanini-http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it )
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