Il Consiglio di Stato ha definitivamente bocciato il ricorso contro la nuova “doc” creata 4 anni fa per decine di aziende vinicole trevigiane e veneziane
“Vade retro” Trentino: almeno questa volta, il veto non funziona, e il vino veneto ha tutto il diritto di utilizzare il marchio sicuramente più noto al mondo: “Venezia”. Parola di Consiglio di Stato. Dopo una prima sentenza del Tar Veneto un anno fa, i giudici nazionali hanno definitivamente chiuso la diatriba che opponeva la Provincia di Trento alla Regione per l´ultimo arrivato sotto i riflettori del vino veneto: la denominazione di origine controllata “Venezia” concessa a livello statale 4 anni fa, nel gennaio 2011, per un territorio che va dai colli trevigiani fino alla costa e comprende un´ottantina di aziende con i vini doc Lison Pramaggiore, doc Piave, doc Venezia, docg Lison, Malanotte del Piave docg (con 15-30% di uve passite).
Il “NO” di Trento. Il Trentino si era mosso per tutelare gli interessi della sua società Cavit, consorzio di cantine sociali trentine, che fattura oltre 150 milioni l´anno e produce vini con l´indicazione geografica igt “delle Venezie” (merlot, pinot e altri). Tra l´altro la Provincia trentina contestava che si potesse utilizzare il nome “Venezia” anche per territori che non appartengono alla provincia veneziana, ma che sono trevigiani: la doc “Venezia” infatti è stata concessa per tutti i 44 Comuni del Veneziano e per i 95 della provincia di Treviso. Non solo: il Trentino contestava la regolarità della stessa procedura con cui Regione e Ministero dell´agricoltura avevano autorizzato il nuovo “Venezia doc”, sostenendo che era stata violata la normativa nazionale ed europea, anche per una questione di rispetto di scadenza di date.
L’utilizzo del termine “VENEZIA”. Per i giudici del Consiglio di Stato invece la procedura seguita da Regione e Ministero non ha violato in alcun modo le norme, visto che era possibile fare riferimento a un “regime transitorio”, anche a livello di date entro cui presentare la documentazione, riconosciuto dalla stessa Unione Europea. A colpire di più, ovviamente, è il passaggio della sentenza che si occupa della possibilità di utilizzare “Venezia” come marchio per un prodotto, in questo caso il vino, che viene confezionato in terra veneta. Perchè l´accusa trentina è che in sostanza «si sfrutterebbe il nome evocativo Venezia ai fini della proficua collocazione sul mercato del prodotto». Ebbene, per i giudici è possibile perché «il dato oggettivo della ´doc´ si collega a fattori ambientali e tecnico colturali delle uve, in relazione alla peculiarità della zona di produzione nei suoi aspetti naturali ed umani; a ciò segue una denominazione che indica all´ambiente geografico di produzione». Tra l´altro la Regione Veneto ha fatto notare che molte prestigiose doc come Chianti, Asti, Orvieto, Jesi vengono utilizzate per un territorio più vasto del singolo territorio che ha quel nome. Quello che conta è «l´omogeneità dello standard qualitativo del vino, per caratteristiche intrinseche, che resta influenzato dalle condizioni naturali, dalla vocazione vitivinicola e altro, che la ´doc´ accomuna in una determinata denominazione». Cioè conta che il prodotto sia “certificato” in base a standard precisi e a un territorio di provenienza. Poi si dà un nome, ma il prodotto dovrà dare «trasparente informazione» su origine e provenienza.
VENEZIE E VENEZIA. E quanto allo scontro con la igt “delle Venezie”, i giudici danno torto al Trentino perché è evidente la diversità «sul piano fonetico e lessicale» (le Venezie indica Veneto, Friuli e Trentino) dei due termini, e quindi c´è una «sufficiente differenziazione». Appello respinto: cin cin al vino doc “Venezia”.
( Fonte http://rassegna-stampa.veneziepost.it/ )
Annotazioni a margine
Siamo alle solite storielle all’italiana : se invece di perdere tempo, energie e denaro nei tribunali i nostri amici dei Consorzi avessero unito le forze, trovando un accordo soddisfacente per tutti, e quei denari ed energie le avessero messe in campo per la promozione dei loro vini all’estero ? Dopo 200 anni dobbiamo ancora apprendere dagli esempi che ci provengono d’oltralpe ? Fino a quando ?
Roberto Gatti
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