Home News Solfiti nel vino biologico: scontro in Europa per stabilire i livelli.

Solfiti nel vino biologico: scontro in Europa per stabilire i livelli.

La lettera di Roberto Pinton di AssoBio spiega come si è arrivati alla normativa che regola il settore

 

Riceviamo e ripubblichiamo questa lettera di Roberto Pinton, segretaro di AssoBio, in merito all’annosa questione dell’aggiunta di solfiti nel vino biologico.

 BIO

Paesi produttori come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia e quelli scandinavi (che non producono vino, ma ne bevono) sostenevano che il livello di solfiti nel vino poteva essere di gran lunga ridotto. Tuttavia altri Paesi, in particolare Germania e Austria, ma anche la Svizzera, che non è nell’Ue, ma che sulla produzione biologica è in regime di equivalenza, ritenevano necessaria l’autorizzazione di quantità più elevate: la scarsa quantità di zuccheri nelle uve coltivate nelle loro condizioni climatiche fa sì che i vini da loro prodotti necessitino di stabilizzazione per “tenere”.

 

Per il mancato consenso degli Stati membri, già nel giugno 2010 la Commissione si era vista costretta a ritirare la bozza di regolamento proposto, minacciando di ritirarla in maniera definitiva. Sarebbe stato un problema enorme: senza regolamento sulla vinificazione, dal punto di vista strettamente legale, un’azienda avrebbe potuto coltivare i vigneti col metodo biologico, ma poi trasformare l’uva in vino utilizzando tutti i numerosi additivi, i coadiuvanti tecnologici (non solo i solfiti) e i metodi autorizzati per quella convenzionale. Va detto comunque che, nei fatti, praticamente l’intera filiera vitivinicola biologica rispettava l’uno o l’altro dei disciplinari emanati dalle associazioni nazionali del settore, contrassegnati da un certo rigore.

BARRIQUES 

Il rischio era: di buttare a mare qualche anno di lavoro, di consultazione di agricoltori, cantine e consumatori, di incontri tecnici e ricerche; di continuare sì a garantire il consumatore sull’omogeneità delle tecniche usate in vigneto, ma fermandosi al cancello della cantina; di avere sul mercato un prodotto “ottenuto da uve biologiche”, ma vinificato con tecniche diverse, con scarsa trasparenza e con concorrenza tra i produttori falsata. Per cui il nostro ministero e quelli degli altri Paesi mediterranei, storcendo il naso, accettarono la proposta della Commissione, ottenendo l’impegno al riesame delle pratiche, dei processi e dei trattamenti enologici entro il 2015. In realtà il termine non è stato rispettato, ma la rivalutazione è in corso adesso.

 

Al di là dei limiti massimi autorizzati di anidride solforosa ammessi nei vini biologici (per i rossi è 100 mg/l, contro i 150 ammessi nel vino convenzionale), dallo studio Orwine promosso dalla Commissione dal 2006 al 2009 per analizzare la situazione in Europa, risultava che allora in Germania oltre il 30% delle cantine usava tra 90 e 120 mg/l di anidride solforosa e quasi il 10% ne usava oltre 120 mg/l, mentre in Italia quasi il 25% delle cantine usava meno di 30 mg/l e circa il 50% tra 30 mg/l e 60 mg/l. In questo decennio le cantine hanno continuato ad affinare le tecniche (non a caso si trovano agevolmente anche vini senza solfiti aggiunti) e la situazione italiana è ulteriormente migliorata.

 

La dicitura “senza solfiti” è molto rara perché i lieviti ne sviluppano naturalmente nella fase di fermentazione: solfiti (endogeni) sono presenti anche nei vini a cui ci sia ben guardati dall’aggiungere anidride solforosa.

 

( Fonte IlFattoalimentare )