Il mercato mondiale del vino è cambiato moltissimo, con il crollo dei consumi nei paesi dell’Europa mediterranea e il prepotente ingresso dei paesi del cosiddetto nuovo mondo. Per sopravvivere alla “guerra del vino” bisogna puntare su sei variabili chiave. Dalla qualità all’eccesso di varietà.
Il marketing della qualità
Negli ultimi decenni il mercato mondiale del vino ha vissuto enormi stravolgimenti sia dal lato della domanda, con il crollo dei consumi nei paesi dell’Europa mediterranea, che dal lato dell’offerta, con il prepotente ingresso dei paesi del cosiddetto “nuovo mondo”. Per sopravvivere a questa “guerra del vino” bisogna puntare su sei variabili chiave.
Qualità dei prodotti: nel corso degli ultimi decenni si è assistito a un innalzamento costante della qualità del vino prodotto in ogni parte del mondo e al parallelo incremento delle pretese da parte di consumatori, sempre più esigenti e preparati. In un mercato così competitivo, dunque, produrre vini scadenti è difficilmente sostenibile. I consorzi di tutela delle denominazioni di origine devono impegnarsi nel migliorare costantemente i disciplinari di produzione, senza cedere alla tentazione di abbassare gli standard minimi di qualità per ottenere benefici di breve periodo. Parallelamente, è necessario favorire l’adozione di pratiche colturali e tecniche produttive d’eccellenza o innovative;
Marketing e sistema chiaro di classificazione dei vini: le campagne di marketing sono fondamentali per imporre il marchio aziendale e influenzare le vendite, ma rimangono appannaggio dei grandi gruppi che nel Vecchio Mondo – e soprattutto in Italia – costituiscono una ristretta minoranza. Per questo motivo i fondi erogati dall’Unione Europea ai consorzi di tutela per promuovere all’estero il vino e le denominazioni comunitarie costituiscono – se gestiti in modo oculato – un importante strumento di politica industriale. È necessario eliminare le denominazioni che hanno un numero esiguo di produttori (a meno che non si tratti di una perla del panorama enologico nazionale) e ideare un sistema che possa evitare, da un lato, che una quota sempre crescente di vino venga classificato come eccellenza e, dall’altro, che – alla stregua di un titolo nobiliare – l’appartenenza al segmento di punta non rifletta più l’effettiva gerarchia della qualità perpetuando in eterno lo status quo;
Prezzi e cultura dei consumatori
Economie di scala e prezzi competitivi: il prezzo delle bottiglie di vino riflette in buona parte la struttura dei costi medi di produzione, che a loro volta sono funzione inversa delle economie di scala. Da questo punto di vista, le cooperative svolgono un ruolo fondamentale nel compattare un potenziale produttivo disperso tra centinaia o migliaia di individui dotati di appezzamenti troppo piccoli per poter sopravvivere nel mercato. Il loro compito è quello di impegnarsi in un costante miglioramento della qualità, identificando regole di gestione interna che possano minimizzare il rischio di comportamenti opportunistici da parte dei soci. Le autorità pubbliche, invece, dovrebbero favorire, mediante adeguati incentivi fiscali, il processo di aggregazione tra le aziende più piccole in modo da renderle competitive e adatte a sopravvivere;
Promozione della cultura enologica tra i consumatori: lo squilibrio tra domanda e offerta di vino nei paesi dell’Europa mediterranea è causato non dalla crescita della produzione – che anzi è in calo da decenni – bensì dal collasso dei consumi domestici. È necessario adottare un piano nazionale di educazione al vino per riavvicinare i giovani a questa bevanda coinvolgendo attivamente le associazioni di sommelier come l’Ais (Associazione italiana sommelier). L’obiettivo, sempre subordinato alla tutela della salute pubblica e senza incrementare i consumi totali di alcool in quantità, deve essere quello di aumentare la disponibilità a pagare del consumatore e invertire il processo di sostituzione tra vino e birra in atto da anni. I corsi di avvicinamento al vino tenuti dalle associazioni di sommelier andrebbero sostenuti anche all’estero attraverso gli istituti di cultura per aumentare la reputazione dei vini nazionali, favorendo per tale via la fidelizzazione degli acquirenti e le esportazioni dei vini di qualità;
Troppa varietà non è un vantaggio
Modifiche al sistema fiscale. Le bevande alcoliche sono soggette a due tipi di tassazione: quella sulle quantità di alcool (le accise) e quelle sul valore (ad valorem). Le tasse sulle quantità favoriscono l’incremento qualitativo poiché – nell’ipotesi in cui i prodotti migliori siano più costosi – il loro peso relativo diminuisce per i beni di gamma più elevata, mentre le tasse ad valorem non modificano i prezzi relativi tra prodotti di qualità differente. Se, dunque, s’intende innalzare la qualità dei prodotti allora può essere opportuno cercare di spostare il carico fiscale dall’Iva alle accise, lasciando invariata la pressione totale;
Ampiezza del patrimonio ampelografico: salvo eccezioni, i paesi del nuovo mondo non dispongono di vitigni autoctoni e sono costretti a impiantare varietà internazionali coltivate con successo in tutti gli altri continenti. L’ampiezza del patrimonio ampelografico del Vecchio Continente costituisce un punto di forza quando si è di fronte a una clientela sofisticata e curiosa, ma può rappresentare un ostacolo per gli acquirenti meno esperti che rimangono smarriti di fronte a una giungla di vitigni e denominazioni che non hanno mai sentito nominare prima. In generale, il vigneto dei paesi del nuovo mondo è ampiamente dominato da una decina di varietà. La tanto decantata importanza del nostro smisurato patrimonio ampelografico che consente una minore omologazione al mercato merita, dunque, di essere valutata con maggiore attenzione dal momento che varietà non implica automaticamente qualità, senza considerare la diffidenza di molti consumatori nei confronti di vitigni sconosciuti.
( Fonte lavoce.info )
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