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Sauvignon connection, l’amarezza dei produttori

Una di quelle notizie che non si vorrebbero mai leggere, ma prima di pubblicare nomi e cognomi degli indagati mi/ci corre l’obbligo di capire meglio di cosa si tratta e di lasciare alla magistratura il compito di accertare eventuali responsabilità !

Ci aggiorneremo a breve appena in possesso di ulteriori notizie certe e verificate !

Buona lettura ( si fa per dire )

Roberto Gatti

 

«Travolto un intero settore». Centralini delle aziende in tilt. L’ex presidente Ersa: via i premi a chi ha sbagliato.

 

 

UDINE. Uno squillo dopo l’altro. Senza soluzione di continuità. C’è mancato poco che fumassero, ieri, i telefoni di molte aziende vitivinicole della regione. Prese d’assalto da clienti, collaboratori, distributori, commercianti in cerca di risposte.

Ansiosi di capire qualcosa di più del terremoto che giovedì ha investito il Sauvignon “friulano” a seguito dell’indagine avviata dalla Procura di Udine sul presunto utilizzo di un esaltatore di sapore da parte di 17 cantine. Di cui 15 attive tra Colli orientali del Friuli e Collio.

Gli enologi

Rodolfo Rizzi, presidente di Assoenologi Fvg nonché direttore della Cantina produttori di Cormons risponde al primo squillo. Segno che il cellulare l’ha già in mano.

Vero? «Ho passato tutto il giorno a dare spiegazioni e rassicurazioni – dice quasi sfogandosi -. La notizia in Italia è rimbalzata ovunque, ora sarà già arrivata oltreoceano, ma quello che mi preoccupa è che non si fa nessuna distinzione tra aziende investite dall’indagine e no, tra il Sauvignon e gli altri vini. Rischiamo un gravissimo danno per l’enologia friulana. Proprio nel momento in cui stavamo cercando di risalire, di far valere le nostre produzioni di qualità che rischiano di venire macchiate da azioni totalmente condannabili».

Assoenologi attende che la magistratura faccia il suo corso. «Speriamo rapidamente – aggiunge Rizzi -. E confortiamo i consumatori sul fatto che la legge vieta l’addizione di aromi nel vino e che non esistono lieviti capaci di stravolgere un profilo aromatico».

La denuncia

Eppure qualcosa che dovrà essere spiegato c’è. Sono in molti, addetti ai lavori e no, a dire oggi che già da qualche tempo Sauvignon prodotti in zona avevano sapori marcati. Al punto da sembrare “dopati”. La voce girava. I dubbi proliferavano.

Ma chi si era spinto a denunciare pubblicamente la stranezza era stato letteralmente subissato di critiche. È il caso della leghista Vania Gava, coordinatrice della segreteria politica del Carroccio in Fvg e vicesindaco di Sacile.

«A maggio dell’anno scorso avevo detto proprio al Messaggero Veneto che sapevo di questo problema sul Collio e che sarebbe stato giusto fare dei controlli per evitare che ne facesse le spese l’intero comparto del vino – racconta Gava, che è anche vicesindaco del Comune di Sacile -. Quella notizia provocò una sommossa. Anzitutto da parte del presidente di Coldiretti che negò il problema. Disse che mi ero inventata tutto. Che le mie dichiarazioni avevano solo creato danni. E oggi eccoci qua. Con un’indagine in corso. Con Coldiretti che avrebbe dovuto essere essa stessa promotrice dei controlli anziché criticare chi li chiedeva. Fossi il presidente dell’associazione – conclude senza fare sconti Gava – mi dimetterei».

I patriarchi

L’indagine rappresenta un’amara rivincita non solo per la sacilese, ma anche per le aziende che si sono attenute scrupolosamente ai disciplinari di produzione e per gli enologi, altrettanto seri e onesti, chiamati a misurarsi con aromi in qualche caso apparentemente irraggiungibili.

«Ormai ho più di 40 vendemmie sulle spalle e negli ultimi anni la critica era sempre la stessa – svela Mario Voltolini -: non sei un bravo enologo perché alcuni altri tuoi colleghi riescono a fare sempre un ottimo Sauvignon, profumato e aromatico».

«Ci credo – tuona Voltolini -, ecco svelato il grande segreto, di cui gran parte dei “capoccioni” erano a conoscenza, ma del quale non si poteva». Non aggiunge altro Voltolini, lascia l’accusa sospesa e mezz’aria per tornare a fare il suo lavoro.

A rinfrancarlo, indirettamente, è uno dei più grandi nomi della produzione vitivinicola del Friuli Venezia Giulia. Manlio Collavini. Divenuto “grande” proprio grazie ai suoi bianchi. In particolare alla Ribolla Gialla spumantizzata. A lui chiediamo che vino è il Sauvignon prodotto in Friuli Venezia Giulia.

«Non ha bisogno di nessuna aggiunta, solo di una buona annata e quella di quest’anno è eccezionale».

Poi la preoccupazione prende il sopravvento. «Non si può demonizzare la categoria perché c’è stato qualcuno che ha fatto un po’ il cretino – afferma -. Nel nostro settore c’è sempre stato qualcuno che si è preso delle libertà, ma questo non vuol dire che lo facciano tutti. La maggior parte dei produttori friulani sono seri, si comportano correttamente e lavorano nel rispetto delle regole. Perché poi, quando si verificano casi come questo, è fin troppo facile dire così fan tutti. Mi auguro non succeda».

Collavini dà voce a un auspicio che in queste ore è sulla bocca di tanti. Produttori, istituzioni, amanti del vino. In ambasce per la tenuta del comparto, mentre sulle aziende finite nel mirino della Procura il giudizio è sospeso.

L’istanza

Facile però è immaginare la sensazione di amaro in bocca provato da quanti, al Concorso mondiale del Sauvigon, si sono visti soffiare il posto sul podio da aziende che oggi sono messe in dubbio. A questi pensa Bruno Augusto Pinat, membro dell’Accademia nazionale della vite e del vino e già direttore dell’Ersa.

«Non posso tacere quanto male fanno al nostro Vigneto Italia questi episodi, tanto di più se vedono protagonisti dei vini, oggi oggetto di indagine, quali concorrenti e vincitori di premi internazionali, in concorsi organizzati attraverso notevoli investimenti di denaro pubblico. Posso solo immaginare la frustrazione dei tanti partecipanti a dette selezioni nel sapere che i loro vini potrebbero non aver ricevuto dei riconoscimenti solo perché superati in classifica da prodotti “dopati”. Questo brutto episodio – continua Pinat – getta uno schizzo di fango che il Vigneto Friuli, nel suo insieme, non si può permettere e che certamente non merita di subire. Soprattutto per il rispetto dovuto alle tante aziende e ai viticoltori che ogni giorno operano nella legalità. Nel mondo dello sport nei casi di doping si ritirano le medaglie».

Gianni Ottogalli, che di professione fa il bancario ma che è uno dei più noti sommelier del Fvg, responsabile della guida “Vini d’Italia” del Gambero Rosso in Fvg, parla di una “bufera”. E ribadisce, come altri prima di lui in questi giorni, l’auspicio che «chiarezza venga fatta il più presto possibile».

«Se c’è

qualcosa di illegale e sofisticato è giusto che la cosa venga chiarita e che chi ha sbagliato paghi. Se invece non dovesse esserci nulla tutto si risolverebbe in un polverone, non meno grave purtroppo perché allungherebbe in ogni caso una pesante ombra sul comparto. Difficile da cancellare»

 

 

( Fonte http://messaggeroveneto.gelocal.it/ )