Home Curiosità SANGIOVESE E VIOLA: UN LEGAME INSCINDIBILE

SANGIOVESE E VIOLA: UN LEGAME INSCINDIBILE

Ogni vino è caratterizzato da particolari profumi. Questi vengono distinti in tre grandi categorie: primari o varietali, secondari e terziari.

 

 

 

I primi sono strettamente legati al tipo di uva utilizzata per la produzione del vino; i secondari sono indotti dal processo di vinificazione e nel vino si avvertono sentori floreali, fruttati, erbacei, ecc..; mentre quelli terziari sono determinati dall’affinamento e dall’invecchiamento del vino e i vini risultano speziati all’olfatto. Inoltre, può influire sulla profumazione del vino, a volte in maniera preponderante, il terroir nel quale il vitigno è coltivato nonché l’età del vigneto.

Il Sangiovese è il re incontrastato dei vini rossi del centro Italia dove è praticamente presente in ogni zona, e nelle sue diverse varietà clonali continua a dare prova delle sue indiscusse qualità grazie anche alle varie espressioni dei territori in cui viene coltivato. Già nel 1500 si fa menzione in Toscana di uve di San Giovannese, San Giocheto e San Giovese.Tre sono le macro famiglie di Sangiovese: il Sangiovese di Romagna più colorato e fruttato, il Sangiovese Grosso del Brunello di Montalcino, e il Sangiovese piccolo del Chianti. Le caratteristiche comuni di questo vitigno sono la buona acidità e il tannino nobile che gli assicurano grandi doti di invecchiamento. E’ un vitigno con una maturazione piuttosto tardiva, l’agostamento è nella norma ma lignifica tardi; risentendo molto del terreno sul quale viene coltivato (presenza di calcare o di ciottoli nei terreni ad Alberese o Galestro) con risultati quanto mai variabili. Profumato, con i classici sentori di viola mammola, con l’invecchiamento adeguato, diventa un vino nobile ed aristocratico. La violetta è un fiore di piccole dimensioni ma dal profumo molto intenso: potremmo definirlo quasi un fiore timido perché spunta poco prima dell’arrivo della primavera in maniera discreta, nei prati, sotto i cespugli e lungo il ciglio delle strade di campagna. Appartiene alla famiglia delle violacee, ha foglie cuoriformi di colore verde e fiori composti da 5 petali suddivisi in due lobi, con un colore caratteristico sulle tonalità del viola, ma che può variare dal bianco al viola intenso a seconda delle varietà. Si tratta di una pianta di origine europea (nell’Europa più temperata visto che non riesce a resistere in condizioni di freddo e gelo) che cominciò a raggiungere grande notorietà agli inizi del 1800, soprattutto in nazioni come Francia, Inghilterra ed Italia. Attualmente la sua coltivazione è concentrata principalmente nel sud della Francia per produrre fragranze destinate ad una produzione mondiale, vista l’elevata richiesta di tale essenza. E’ il simbolo della modestia e per questo viene usato nell’iconografia classica.

Si racconta come gli antichi Greci, che la sapevano lunga e, per quanto amassero filosofare, non stavano tanto a stracciarsi le vesti disquisendo sulle pratiche enologiche ammissibili e non ammissibili, profumassero i loro vini migliori con petali di viola. I crapuloni della Roma imperiale, invece, banchettavano con grandi ghirlande di viole appese al collo e sparse sulla tavola perché erano convinti che il profumo intenso, dolce e vellutato dei fiori fosse un efficace antidoto contro gli effetti inebrianti dell’alcol. La familiarità tra violette e vino attraversa i secoli e si esprime ad ogni livello, dal bicchiere alla vigna.

A fine Ottocento le contadine friulane scoprirono che la poltiglia bordolese, la miscela di solfato di rame e calce viva che proprio in quegli anni si cominciava a usare per combattere le malattie della vite, faceva bene alle violette, esaltandone l’intensità di colore e profumo. Così si diffuse la tradizione di coltivare nei vigneti i fiori che poi le donne vendevano ai profumieri. Gli spiccioli che ne ricavavano erano spesso l’unico denaro di cui potessero disporre liberamente e le ragazze da marito lo mettevano da parte per impreziosire il loro corredo da sposa. La tradizione non ha avuto modo di durare a lungo, però.

Prima ci si sono messi due chimici tedeschi, Tiemann e Krüger, che già nel 1883 hanno scoperto le molecole responsabili del profumo caratteristico della violetta e il metodo per ricrearle in laboratorio. L’essenza di violetta sintetica, una delle prime fragranze artificiali prodotte su scala industriale, fu un successo strepitoso e fece crollare la domanda, fino a quel momento molto superiore all’offerta, del costosissimo olio di violetta.

Poi ci si è messa l’epidemia continentale di un parassita che attacca le radici delle piantine. Epidemia che sulle piantagioni di violetta, che in quegli anni, soprattutto nel sud della Francia, erano immense, ha avuto effetti devastanti paragonabili a quelli della fillossera sui vigneti.

E infine a dare il colpo di grazia è arrivato, in contemporanea con lo scoppio della Grande Depressione degli anni Trenta, il tramonto della moda dei profumi alla violetta. Un tramonto solo temporaneo, però: proprio la violetta è alla base di uno dei più spettacolari successi della storia della profumeria, Fahrenheit. Nel 1988 il profumo maschile di Christian Dior ha venduto quasi un milione e mezzo di flaconi nei primi tre mesi dal lancio.

Probabilmente nessun’altra fragranza ha mai avuto una popolarità cosi vasta e così duratura. Gli Ateniesi erano talmente affascinati dal profumo della violetta che, oltre a metterlo nel vino, avevano eletto l’umile fiore a simbolo della città. Come, duemila anni più tardi, ha fatto Napoleone. «Amate le violette?» era divenuta la parola d’ordine che si scambiavano, per le strade di Parigi, i bonapartisti che congiuravano per il ritorno dell’Imperatore dal confino sull’isola d’Elba.

E’ da sempre stata considerata come il simbolo del pudore. Simboleggiava anche la modestia, come suggerisce l’inclinazione della sua corolla sul davanti.

Da Poliziano a Shakespeare, da Chénier a Leopardi non si contano poeti e scrittori che hanno usato la violetta come simbolo dell’amore. Tradizione letteraria che parte sempre dai Greci. I quali della comune violetta, quella che chiamiamo anche viola mammola e il cui nome scientifico è, non a caso, Viola odorosa, fecero il simbolo dell’amore di Zeus per la bella ninfa Io. Costretto a trasformare la sua amata in una giovenca per cercare di proteggerla dalla gelosia della moglie Era, il re degli dei decise di consolarla facendo crescere tappeti di viole nei prati in cui pascolava. E a ben guardare, il mito di Io può anche essere considerato la fondazione della tradizione dell’uso della violetta come cibo. Tradizione anche questa lunghissima e pressoché ininterrotta che ha avuto in Elisabetta di Baviera la sua esponente più entusiasta, oltre che famosa. L’imperatrice Sissi era golosissima di violette candite e in suo onore i pasticcieri di Vienna facevano a gara per inventare dolci il cui ingrediente base fossero i fragranti petali del fiore.

Oltre alla piacevolezza del profumo in sé, uno dei motivi che stanno alla base del fascino che la viola ha esercitato su uomini e donne di tutte le epoche è la sua sfuggevolezza. Avviciniamo un fiore al naso e aspiriamo, ne sentiamo il profumo intenso e avvolgente. Annusiamo ancora, non c’è più niente. Inutile insistere: la violetta si concede solo per un istante. Dobbiamo lasciar passare un po’ di tempo per ritrovarla.

All’origine di questa ritrosia c’è una delle caratteristiche delle molecole scoperte da Tiemann e Krüger. Queste sostanze, il cui nome è iononi, hanno infatti un forte potere desensibilizzante sui nostri recettori olfattivi. Quando entrano nel naso, le nostre cellule hanno appena il tempo di avvertire lo stimolo e trasmetterlo al cervello e poi si anestetizzano. Prima di sentire ancora qualcosa dobbiamo aspettare che si “risveglino”.

Per nostra fortuna cari lettori, si tratta di un profumo “pesante”, che nel vino compare di solito alla fine, dopo che il nostro naso ha già avuto modo di apprezzare le fragranze prodotte dalle sostanze più volatili. Poi, spesso ritorna, per via retronasale, quando il vino lo degustiamo. E, quando c’è, è davvero una festa per il palato.

La celebre Filastrocca di Primavera di Gianni Rodari recita:

…..Domani forse tra l’erbetta

spunterà la prima violetta.

O prima viola fresca e nuova

beato il primo che ti trova,

il tuo profumo gli dirà,

la primavera è giunta, è qua.

Gli altri signori non lo sanno

E ancora in inverno si crederanno:

magari persone di riguardo,

ma il loro calendario va in ritardo.

 

 

( Fonte/www.oksiena.it )