Curiosità

Questo vino sa di selce. Cosa vuol dire?

La mineralità in un vino è un concetto abbastanza fumoso, ma indubbiamente ci sono note nei calici che richiamano questa idea di pietra e di roccia.

 

Nel caleidoscopico mondo dei termini utili alla degustazione di un vino non è raro sentir pronunciare la parola “selce”, che potremmo far rientrare nel più vasto tema della “mineralità”. Certo, non parliamo del vocabolario di bevitori esperti, o comunque non di consumatori che cercano di cogliere la trama di un terroir all’interno di un calice. Tuttavia proviamo a spiegare cosa si intende quando affianchiamo questa parola a un bicchiere di vino.

Innanzitutto parliamo di vini bianchi, non di tutti, ma di alcune tipologie che non colpiscono per bouquet odorosi intensi – frutta, fiori, spezie – ma più per un richiamo alla roccia, all’odore che ha la pietra, o al sentore che rilascia lo sfregamento di due pezzi di pietra. Da qui il richiamo alla mineralità di un vino che, va precisato, non registra alcuna presenza nell’uva né nel vino, ma è presente, sotto forma di minerali, nel suolo.

Sentiamo spesso parlare anche di pietra focaia, quell’odore tipico del fiammifero appena acceso che rilascia una piccola quantità di zolfo. Anche questo sentore è riconducibile all’idea che abbiamo di “profumo minerale”. Dove possiamo trovare queste note? Sono abbastanza comuni tra i Sauvignon Blanc, i Sancerre e i Poully Fumé. Venendo all’Italia possiamo consigliare di assaggiare un Verdicchio dei Castelli di Jesi, etichette di Timorasso, spesso è nei vini di montagna dove prevale una roccia calcarea o dolomitica – i Sylvaner altoatesini, gli Chardonnay trentini, i Prié Blanc valdostani. Tutti vini che, con qualche anno in più sulle spalle, oltre alla nota fumé, acquistano talvolta anche una nota caratteristica quasi piccante.

 

Sono vini anche molto “gastronomici” perché, grazie alla loro acidità e a un bouquet di profumi e di gusto non troppo intensi, accompagnano i piatti in modo non invadente, non coprendo gli aromi e i sapori della ricetta, ma, al contrario, valorizzando ciò che c’è nel piatto. Quindi sì al pesce che non deve mai avere abbinamenti troppi strutturati, ma possono andar bene anche per cucine con salse cremose e burrose, nonché carni come vitello, maiale, tacchino e pollo. Sono perfetti anche da bere da soli senza cibo.

( Fonte Adnkronos – Vendemmie )

Annotazioni a margine

 

selce rossa

 

Personalmente credo che il termine ” mineralità ” sia abusato e fuorviante, in quanto non può e non deve essere ricondotto ai minerali che ritroviamo nel terreno. Non si spiegherebbe altrimenti, come per esempio, vengano percepiti minerali nei terreni adiacenti al mare, dove non c’e’ traccia di minerali ma solo di argille ecc.

Possiamo parlare, a ragione, ed usare il termine sapidità molto spesso ( per non dire sempre ) equivocato con la mineralità !

A suffragio di quanto ho scritto, un paragrafo dell’articolo del Prof. Luigi Moio,docente di enologia all’Università Federico II di Napoli e consulente enologico di molte aziende.

” Da noi con il termine “minerale” la confusione regna sovrana. I minerali sono i costituenti della crosta terrestre, sono quasi tutti solidi a temperatura ambiente, presentandosi sotto forma cristallina. Il suolo, in senso stretto, non si sente in nessun vino al mondo, dato che i minerali non sono volatili e sono dunque inodori.

L’odore che è possibile percepire annusando una pietra, per esempio uno scoglio nel mare, è dovuto all’eventuale presenza di contaminanti organici. Lo zolfo stesso è un non metallo inodore e insapore. La sua forma più nota e comune è quella cristallina di colore giallo intenso. Solo in seguito alla sua combustione avviene una reazione con l’ossigeno con produzione di anidride solforosa che, invece è odorosa.

In uno studio condotto da un gruppo di ricercatori francesi della Borgogna che aveva lo scopo di comprendere come gli esperti concepiscano il carattere di mineralità, e se vi sia consensualità nel suo giudizio, è emerso l’assenza di una definizione sensoriale univoca e significativa per questo descrittore. “

L’articolo completo qui

Roberto Gatti

Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali: » Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente ); >>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino >>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest >>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge ed ai maggiori concorsi italiani.

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