(AGI) – Napoli, 21 nov. – Dopo il vino, con vendemmie negli scavi e il recupero di antichi ceppi di viti, anche il pane di Pompei studiato e riprodotto.
Questa volta per iniziativa di privati. Il percorso tra le strade del cibo della citta’ piu’ antica del mondo si consuma dal 23 novembre in uno dei ristoranti piu’ noti della citta’ marina, grazie a una nuova farina molita per garantire materia prima di alta qualita’ alla ristorazione. ‘I pani di Pompei’ danno forma e sapore a quanto fonti disparate, dai bassorilievi alle pitture e gli scritti, comprese le pagnotte carbonizzate trovate durante gli scavi nelle citta’ sepolte dall’eruzione del 79 d.C. del Vesuvio, avevano rivelato. Fare il pane a Pompei era un’attivita’ fondamentale, considerata la popolazione residente di 10mila anime di diversa provenienza etnica.
E vi provvedevano almeno 34 panificatori muniti di forni (pristina), alcuni forniti di banchi per la vendita, che molivano farine utilizzando macine di pietra lavica fatte girare o a mano dagli schiavi o da asini legati al basto. E cinque di questi panificatori producevano molto, dato che i loro laboratori-negozi erano forniti di tre macine. Almeno 10 i tipi di pane ‘base’, con diverse varianti ciascuno, uno dei quali destinato ai cani, il furfureus, fatto con la crusca. Si partiva, guardando dal ‘basso’, dal panis secundarius, di forma allungata e con farina integrale, il piu’ scuro, destinato alla plebe perche’ poco costoso, cosi’ come il cibarius, anche questo realizzato in forma allungata e realizzato con un mix di farina, orzo e farro. Il piu’ pregiato era il pani siligineus, bianco per l’uso di farine superiori e di forma circolare, gia’ segnato in superfice prima della cottura da linee che lo dividevano in otto parti, in modo che, ancora fragrante, potesse essere spezzato con le mani dai commensali, secondo l’uso del tempo.
( Fonte AGI )
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