Dalla teoria è necessario poi passare alla pratica e la mia prima volta è stata traumatica. Per amore di patria non citerò l’azienda produttrice, che vende una bottiglia di questa bevanda sopra ai 10 euro , ma l’esperimento per quanto mi riguarda è iniziato e terminato qui.
Piu’ di qualche problema al naso, alla gustativa assomiglia vagamente al mosto di uva, con meno prerogative positive, ovvero nessuna percezione degna di nota, insomma una bevanda poco gradevole senza pregi ma con molti difetti.
Cosi’ si è espresso il V.Presidente Fivi Gaetano Morella, produttore di ottimi primitivi in Manduria: “ Se il nome ha una sua importanza, riteniamo che un prodotto manipolato non possa chiamarsi così. Il vino è un’altra cosa: è un prodotto agricolo, che racconta un territorio. Dealcolizzare significa fare un vino a ricetta, che nulla ha a che fare con le pratiche agricole”. Ha, però, sicuramente a che fare con il mercato. Allora il dilemma è tra seguire il trend o restare dei puristi. Per Morella si tratta di capire cosa si vuol comunicare: “Non possiamo andare verso l’industrializzazione dell’agricoltura. Avere un’opportunità di commercio non può farci giustificare tutto sempre e comunque. Va benissimo che si apra un mercato per questo prodotto, ma non chiamatelo vino”.
Chi ha problemi con l’alcol si può dedicare ad altre bevande analcoliche come aranciata, coca cola ecc., ma come scriveva il grande professore universitario di Bordeaux Emile Peynaud : “ LA GRADAZIONE E’ UN ELEMENTO DI QUALITA’, NON PER IL SAPORE DELL’ALCOOL IN SE STESSO, MA PER IL MIGLIORE EQUILIBRIO CHE ESSO PERMETTE DI OTTENERE “.
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