Pasticcio al Masaf, pioggia di ricorsi per i fondi promozione del vino. Le aziende: sprecati oltre 6 milioni
Caos burocratico sui soldi europei per i mercati dei Paesi terzi: esclusi dalla graduatoria big come Antinori, Masi e Terra Moretti. L’Istituto Grandi Marchi: “Il tribunale ci darà ragione”. L’Uiv: “Così si affossa il made in Italy”
Oltre cento cantine escluse dai fondi Ocm Promozione Paesi Terzi sul piede di guerra contro il Ministero dell’Agricoltura, con ricorsi già presentati al tribunale e altri in arrivo, e più di sei milioni non assegnati che per il momento restano vacanti. Tutto per una serie di ritardi, di impicci burocratici e di valutazioni su cui ora le aziende chiedono di avere chiarimenti. “La prossima settimana ci sarà la prima udienza al Tar, confidiamo che il tribunale ci sia ragione”, tuona Giancarlo Voglino, coordinatore delle attività dell’Istituto Grandi Marchi, capofila di uno dei progetti più significativi, bocciati dalla commissione giudicatrice del Masaf. È il risultato di un “papocchio” avvenuto negli ultimi mesi con il bando delle Ocm (Organizzazione comune di mercato) e culminato nei giorni scorsi con i ricorsi in tribunale. E con il ministro Francesco Lollobrigida che parlando al Gambero Rosso si è giustificando scaricando la colpa sui “progettisti” del bando.
Il fatto: i big del vino boccati dalla commissione del Masaf
La vicenda ruota intorno al bando Ocm vino Paesi Terzi, le misure previste dall’Ue per gestire il mercato di un certo prodotto, in questo caso il vino, all’estero. Il bando consente di finanziare con un contributo a fondo perduto che va dal 40% all’80% i costi da sostenere per promuovere i propri prodotti fuori dall’Unione Europea. Per far ciò le aziende del vino possono concorrere da sole o organizzarsi in Ati, Associazioni temporanee di impresa. Quest’anno questa misura che aiuta le cantine si è rivelata un pasticcio. Per prima cosa il ministero ha assegnato solo 14 dei 21 milioni disponibili, destinando circa 680mila euro a un’altra iniziativa e lasciando così vacanti 6,3 milioni (che dovranno essere dedicati a qualche altro progetto per non perderli e per non essere multarti dall’Ue per non averli spesi). E molte delle cantine che hanno concorso sono rimaste fuori dalla graduatoria, escluse dalla commissione giudicatrice che ha valutato i loro progetti non idonei. Stiamo parlando di aziende come Frescobaldi, Terra Moretti, che hanno corso da sole, e di altre cantine, alcune di fama internazionale altre più piccole che così possono appoggiarsi ai know how dei big, che invece si sono riunite sotto l’egida dell’Istituto Grandi Marchi (IGM): una decina di realtà del livello di Antinori, Masi, Gruppo Campari, Marchesi Mazzei, Barone Ricasoli, Banfi. A cui se ne aggiungono altre dell’Unione italiana Vini, altre ancora di Confragricoltura. Ma come è possibile che alcune delle cantine fiore all’occhiello del made in Italy siano state bocciate in questo modo?
Lo abbiamo chiesto a Voglino, che come coordinatore delle attività dell’IGM, segue il settore da 14 anni: “L’Istituto Grandi Marchi era capofila, ma è rimasto fuori: il nostro progetto è stato giustificato non meritevole dalla commissione giudicatrice del Ministero e quindi è stato escluso dalla graduatoria. Abbiamo fatto ricorso al Tar e già delle prossime settimane sapremo che piega prenderà la cosa in tribunale. Contiamo che il giudice ci darà ragione”. Certo i tempi saranno lunghi, lo sottolinea Albiera Antinori, la cui azienda di famiglia figura fra gli esclusi: “Evidentemente il nostro progetto di gruppo non è stato ritenuto adeguato. Abbiamo fatto ricorso, ma non so fino a che punto si rivelerà utile perché i tempi potrebbero essere lunghi. Un peccato, senza avere a disposizione i fondi Ocm non si potranno fare certe attività, l’alternativa è che le aziende paghino direttamente”.
Il motivo dei ricorsi e la rabbia delle cantine
Sono tanti esclusi “e senza una reale motivazione”, sottolinea Voglino. “Per fare chiarezza su questo punto, abbiamo fatto l’accesso agli atti, ma non c’è stata data una spiegazione: nel verbale c’è scritto solo che il nostro progetto ha raggiunto a malapena la sufficienza e non è arrivato al punteggio richiesto. Pensare che queste aziende arrivino appena alla sufficienza fa riflettere… Riteniamo che sia difficile che cantine come Antinori Masi o il Gruppo Campari non conoscano bene i propri programmi, non sappiano come investire, o siano sprovvedute. Stiamo parlando di imprese che stanno già su quei mercati, che fanno la propria attività a prescindere dal finanziamento. Ma è chiaro che quei fondi sono importanti in quanto aiutano nella competizione con gli altri Paesi europei, che si sono rivelati ben più organizzati di noi. Avere più fondi ti consente di avere più opportunità, peraltro il contributo richiesto era del 40%, il rimanente 60% sarebbe stato messo dalle aziende”. È per questo che l’IGM si è rivolto al giudice: “Confidiamo che il Tar riapra la partita e consenta l’inserimento in graduatoria dei progetti esclusi, anche perché avanzano 6 milioni di euro che altrimenti non potrebbero essere destinati alla promozione del vino italiano all’estero, cosa assurda, considerando anche che nell’ultimo anno l’export ha frenato. C’è discrasia fra ciò che viene detto dal governo sulla volontà di promuovere il made in Italy e il comportamento rispetto alla gestione del decreto relativo ai fondi. Abbiamo anche fatto perizie esterne sui nostri progetti a supporto delle nostre tesi: secondo noi il giudizio non è stato dato in modo corretto”.
Anche Unione italiana vini sta lavorando a un ricorso collettivo da presentare entro fine mese. La stessa Terra Moretti, il cui progetto è stato bocciato in parte, si è appoggiata all’associazione per presentare le proprie rimostranze. “Ciò che più colpisce è che una misura strategica come l’Ocm promozione venga sprecata a causa di una burocrazia che, mai come in questa occasione, non ha certamente aiutato – dice il presidente dell’Uiv, Lamberto Frescobaldi – Nei fatti, 1/3 dei fondi nazionali destinati alla promozione sono bruciati e potrebbero andare distratti in favore di altre misure. E questo non aiuta, perché in un momento difficile come questo la prima risposta dovrebbe arrivare proprio dalla promozione. Nel merito, mi limito una domanda: come è possibile che di punto in bianco tutti i progettisti delle imprese bandiera del made in Italy enologico nel mondo abbiano accusato un blackout, con nessun progetto andato a buon fine? Non è che forse anche il legislatore ha peccato di eccesso di burocrazia, come evidenziato, senza risposta, dalla filiera già la scorsa estate?”, ha concluso.
Del resto, la spiegazione di Lollobrigida non ha convinto le cantine. “Leggere che “la colpa è dei progettisti”, come il ministro ha detto al Gambero Rosso, desta sorpresa – fa notare Voglino – Faccio fatica a credere che professionisti di quel calibro possano aver toppato così ingenuamente, è gente collaudata che da anni fa questo lavoro, gente che conosce bene i regolamenti comunitari”.
Che cosa non ha funzionato
Ma da dove è nato tutto il problema, perché le cose si sono così complicate? Tre i fattori nel mirino Il fatto è che quest’anno il decreto è nato male perché è uscito tardi e ha ritardato tutto. Il primo punto critico riguarda dunque i tempi: “Spagna e Francia hanno reso noto il decreto a febbraio e marzo scorsi, l’Italia invece il 20 luglio, alla vigilia delle ferie – tuona Voglino – Le ultime risposte alle Faq (domande frequenti, ndr) sono arrivate il 28 agosto, e la data di presentazione del progetto è stata fissata a metà settembre in piena vendemmia con delle novità da gestire. La graduatoria finale che è uscita a novembre, quando gli altri Paesi erano già partiti e sicuri di avere i finanziamenti”.
In secondo luogo, i contenuti del decreto non sono stati giudicati chiari dalle cantine. “Ci siamo trovati di fronte a un decreto bizantino, complicato nella realizzazione, con l’obbligo di presentare tre preventivi, e incomprensibile nel sistema di valutazione”, dice Voglino.
Ed ecco il terzo punto, la gestione della valutazione dei progetti. “Noi tuttora non conosciamo i criteri di valutazione che sono stati usati, sono cambiati rispetto al passato – dice Voglino – Fino allo scorso anno, erano molto trasparenti, per ogni parametro, in modo oggettivo, c’era un punteggio immediato e poi si faceva la sommatoria. Quest’anno invece i parametri in mano alla commissione, che entrava nel merito e dava valutazioni senza chiarire i criteri. L’impressione è che non ci sia stata una valutazione oculata dei progetti. Le modalità di valutazione non ci sono state dichiarate, le abbiamo chieste tramite l’accesso agli atti, ma gli atti non hanno chiarito il come e il perché quei giudizi”. Al Tar l’ardua sentenza.
( Fonte Repubblica.it )