TUTTI GLI EURODEPUTATI ITALIANI A FAVORE, DUE M5s ASTENUTI – Tutti gli europarlamentari italiani a Bruxelles si sono espressi a favore del provvedimento, tranne due esponenti M5s (Ignazio Corrao e Pier Nicola Pedicini) che hanno deciso di astenersi. I due eurodeputati, insieme ad altri due colleghi 5 stelle, avevano già in passato votato in dissenso alla linea ufficiale M5s sulla Politica agricola comune. “Quella lista non contiene nessun prodotto di Sicilia e nessun prodotto della Sardegna”, ha dichiarato Corrao. “Il mio voto è di astensione perché sono in attesa di vedere protetti i prodotti del Sud Italia e non solo quelli del Nord”. Per la capadelegazione M5s Tiziana Beghin invece, “l’accordo è una vittoria del Made in Italy e rafforza le nostre eccellenze nel mondo. Fra i prodotti tutelati molti infatti sono italiani. Il Made in Italy è unico e va difeso con accordi commerciali di questo tipo”.
LA PROMESSA DEL RILANCIO DELLE ESPORTAZIONI – Il Parlamento ha definito l’accordo un “importante esercizio di consolidamento della fiducia” nell’ottica dei negoziati in corso tra l’Ue e la Cina per un accordo bilaterale di investimenti. E mentre già un anno fa Coldiretti sottolineava come l’accordo tutelasse “solo il 3% dei prodotti italiani a indicazione di origine, con troppe e importanti esclusioni” e ancora oggi manifesta alcune perplessità sull’effettiva tutela rispetto alle imitazioni, per Confagricoltura l’intesa raggiunta “conferma l’apprezzamento nei confronti del sistema alimentare europeo, nel quale il ‘Made in Italy’ riveste un ruolo di primo piano” spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente Massimiliano Giansanti, secondo cui gli accordi commerciali sono lo strumento più efficace per contrastare il fenomeno ‘Italian Sounding’.“Si tratta del primo accordo economico e commerciale mai firmato con la Cina, con un valore simbolico e di consolidamento della fiducia” ha dichiarato il relatore Iuliu Winkler, sottolineando che l’intesa “promette di rilanciare le esportazioni agroalimentari europee verso la Cina, che nel 2019 ammontavano già a 14,5 miliardi di euro”. Lo scorso anno, infatti, la Cina è stata la terza destinazione per le esportazioni Ue di prodotti IG, tra cui vini, bevande alcoliche e prodotti agroalimentari. Ma nel testo della risoluzione si ricorda anche che, nel 2018 e nel 2019, l’80% dei sequestri europei di merci contraffatte e usurpative ha avuto origine in Cina, causando perdite pari a 60 miliardi di euro per i fornitori Ue.
LE OMBRE – Allo stesso tempo, però, il Parlamento ha ribadito le sue preoccupazioni in merito “alle pratiche distorsive del mercato delle imprese statali cinesi, ai trasferimenti forzati di tecnologia e alle altre pratiche commerciali sleali”, nonché rispetto “alle notizie relative allo sfruttamento e alla detenzione di uiguri in fabbriche cinesi”. Quella degli Uiguri è un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, diventata simbolo della repressione messa in atto dal regime di Pechino. Un argomento entrato anche nella campagna elettorale Usa. Proprio rispetto alle preoccupazioni, c’è da sottolineare che l’accordo rientra in un quadro più ampio, quello dei rapporti commerciali tra Ue e Cina sul quale si è espressa anche la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, dichiarando di voler trovare un accordo generale su almeno tre pilastri: comportamento delle aziende pubbliche cinesi, trasferimento forzoso delle tecnologie delle imprese Ue che lavorano in Cina e trasparenza relativa ai sussidi.
UNO SGUARDO ALLA LISTA – Oltre ai prodotti già citati, nella quota made in Italy saranno tutelati anche i vini Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene-Prosecco, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano e Vino nobile di Montepulciano. Tra gli altri prodotti europei ci sono, tanto per fare qualche esempio, due birre tedesche, diversi vini spagnoli e francesi (venti, per l’esattezza), tra cui lo Champagne. Ma Parigi porta a casa anche la tutela del Roquefort, mentre Polonia, Finlandia e Svezia proteggono la loro vodka. La Cina, invece, protette tra i vari prodotti il riso Panjin, il tè bianco Anji e lo zenzero e la cipolla Anqiu, ma anche i funghi Fangxian, l’aglio di Pizhou e il kiwi rosso di Cangxi.
I DUBBI DI COLDIRETTI – Già un anno fa, l’intesa raggiunta sui prodotti non aveva convinto Coldiretti. Per l’Italia si parla di 26 specialità su 863 prodotti Ig (299 Dop e Igp, 526 vini e 38 bevande). “Gli accordi commerciali sono positivi perché permettono di poter incrementare le esportazioni – spiega al Fatto.it Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti – ma nel caso specifico si sconta l’accordo con il Canada che crea un precedente sul discorso delle dominazioni”. Significa che avendo fatto delle concessioni rispetto all’utilizzo di nomi italiani o di chiaro riferimento ai prodotti made in Italy (vedi Parmesan, ndr) “tutti gli accordi vengono siglati con quel criterio, consentendo una situazione di ambiguità che continua a generare confusione nel consumatore”.
LA POSIZIONE DI CONFAGRICOLTURA – Secondo il presidente di Confagricoltura, invece, “sotto il profilo legale vengono poste le condizioni per proteggere da imitazioni” i cento prodotti a indicazione geografica della lista europea. “Quello cinese – ricorda Giansanti – è già un mercato di sbocco importante per le esportazioni agroalimentari della Ue, con solide prospettive per un’ulteriore crescita”. Nel complesso, l’export dell’Unione ammonta a circa 13 miliardi di euro e i prodotti a indicazione geografica incidono per il 10% sul totale. La collaborazione con le autorità di Pechino è importante per una maggiore apertura del mercato cinese alle esportazioni in arrivo dall’Italia, in primo luogo ortofrutticoli. “Saranno soprattutto vini e formaggi italiani – conclude il presidente di Confagricoltura – ad aumentare la presenza sul mercato cinese, ma può essere rilevante anche per la salumeria. Per i formaggi, in particolare, le nostre esportazioni sono passate da uno a 33 milioni di euro nel giro di un decennio”.
( fonte Il Fatto Quotidiano )