Tutti vogliono il vino senza alcol ma in Italia non si può produrre: “Costretti a dealcolare all’estero”
Per il ministro Lollobrigida non lo si può chiamare vino ma – come è stato per il caffè decaffeinato e la birra analcolica – crescono le vendite di vino alcol free. L’Europa ha dato l’ok alla produzione e alla commercializzazione, ma l’Italia non si è adeguata alle regole. Così i nostri produttori restano al palo
Negli Stati Uniti si chiama “NoLo”- no e low alcohol – in Italia vino analcolico o “dealcolato”. Parliamo di vino al quale viene tolto l’alcol, del tutto o in parte. Fino a qualche anno fa sembrava impensabile, ma oggi è una realtà che piace ai consumatori: negli Usa il giro d’affari è di un miliardo di dollari. L’Europa ha dato il via libera alla produzione e alla commercializzazione nel 2021, ma in Italia di fatto la procedura di dealcolazione è impossibile. Le nostre aziende che vorrebbero farla non possono e vengono sorpassate dai concorrenti per un vuoto normativo. In alternativa devono trattare all’estero la materia prima. Un paradosso per un Paese con una produzione vinicola d’eccellenza.
Cosa è il vino dealcolato
Partiamo dalle basi. In Italia perché un prodotto possa essere chiamato “vino” deve presentare una gradazione alcolica di almeno il 9 per cento, salvo eccezioni legate a denominazioni particolari. Il dealcolato nasce da un vino normalmente ottenuto e solo dopo sottoposto a un processo di dealcolazione parziale o totale.
L’Ue ha autorizzato la produzione e il commercio dei vini dealcolati nel 2021. Il “dealcolato”, secondo direttiva europea, ha un tasso di alcol non superiore a 0,5 per cento volumi, quello “parzialmente dealcolato” ha un tasso compreso tra 0,5% e 9%. La direttiva Ue stabilisce regole e standard per la produzione e la commercializzazione e impone di apporre etichette chiare. Non solo, i processi utilizzati per ridurre l’alcol non devono causare difetti “dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli” e “l’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve”.
È possibile dealcolare il vino, il vino spumante e il vino frizzante gassificato. La dealcolazione totale può avvenire solo per prodotti senza denominazione di origine o indicazione geografica. Mentre la parziale è consentita per tutti i vini.
Boom di vendite per il vino senza alcol
I puristi arretrano davanti al vino senza alcol e si creano divisioni un po’ come accaduto col caffè decaffeinato o la birra analcolica, che però in tantissimi consumano ogni giorno. Potenzialmente il vino dealcolato ha un mercato enorme. A quanti bevono il vino tradizionale si deve aggiungere chi non può o non vuole bere alcolici per i più svariati motivi: età, religione, salute. “Questi prodotti – spiega l’analista Riccardo Grassi sulla base di un’indagine di Swg e dell’Osservatorio del vino Unione italiana vini – Vinitaly – interessano prima di tutto un potenziale di un milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene un’alternativa di consumo in situazioni specifiche, come mettersi alla guida”.
“Sappiamo – dice a Today.it Chiara Soldati, presidente del Comitato Aspetti sociali del consumo di bevande alcoliche di Federvini – che il 56 per cento della popolazione mondiale per motivi diversi non beve vini ed è un dato interessante per i produttori. Il dealcolato rappresenta un nuovo segmento. È un po’ il vino che non c’era. Abbiamo anche l’esperienza delle birre dealcolate e avere un quadro normativo che consenta alle aziende di scegliere sarebbe importante anche per l’equilibrio delle filiere”.
Un’indagine dell’Osservatorio Federvini curato da Nomisma e TradeLab certifica la crescita del vino analcolico negli Stati Uniti, ma anche in Germania (soprattutto dello spumante) e nel Regno Unito (+6 per cento nel 2023 rispetto al 2021).
L’Sos delle aziende italiane: “Senza regole chiare andiamo all’estero”
Dagli addetti al settore contattati da Today.it sale una voce compatta: manca una cornice normativa in cui le aziende possono muoversi in Italia. “Oggi nel nostro Paese – spiega Soldati – non c’è una regolamentazione per dealcolare. Il tema non è normato, c’è un vuoto legislativo. Le aziende chiedono chiarezza normativa in modo tale da scegliere se produrre o meno. La chiarezza diventa importante per potere essere competitivi e rispondere alle domande del mercato”.
“Non c’è un regolamento e di fatto dealcolare è quasi impossibile – ribadisce Marzia Varvaglione, direttore marketing dell’omonima cantina di Taranto e presidente dell’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli dell’Unione italiana vini) – Altri Paesi si sono messi in anticipo rispetto a noi. Oggi alcune aziende producono vino in Italia, lo dealcolano all’estero e poi lo reimportano. Questo porta a un aumento dei costi e alla dispersione di investimenti e ricchezza”.
Infatti chi ha in produzione dealcolati in Italia, agisce oltre i confini. Il gruppo Schenk di Ora (Bolzano) ha cantine di produzione anche in Svizzera, Francia, Italia e Spagna ed è nella sede iberica che produce vini dealcolati. Il gruppo Argea grazie alla collaborazione con un partner tedesco ha otto etichette alcol free tra rosso, bianco e bollicine.
Martin Foradori Hofstätter, viticoltore dell’omonima tenuta altoatesina, dal 2021 produce Steinbock Zero Sparkling. “Non è un succo d’uva, ma una bollicina ottenuta da vino – puntualizza – All’interno di un’apparecchiatura viene ridotta la pressione atmosferica (a circa 15 mbar) e con ciò abbassato anche il punto di ebollizione dell’alcol da circa 78° C a circa 25-30° C. Alla fine del processo, si ottiene una bevanda con un contenuto alcolico inferiore a 0,25 Vol %”. Dal 2022 produce anche la versione “ferma” di vino dealcolato. Si avvale dello stesso metodo utilizzato per la produzione delle bollicine dealcolate. Il fermo Steinbock Zero nasce di fatto da un fruttato Riesling Kabinett della Mosella a cui viene tolto l’alcol. La dealcolazione avviene in Germania, dove ci sono vigneti di Riesling da cui nascono questi prodotti.
L’Sos delle aziende italiane: “Senza regole chiare andiamo all’estero”
Dagli addetti al settore contattati da Today.it sale una voce compatta: manca una cornice normativa in cui le aziende possono muoversi in Italia. “Oggi nel nostro Paese – spiega Soldati – non c’è una regolamentazione per dealcolare. Il tema non è normato, c’è un vuoto legislativo. Le aziende chiedono chiarezza normativa in modo tale da scegliere se produrre o meno. La chiarezza diventa importante per potere essere competitivi e rispondere alle domande del mercato”.
“Non c’è un regolamento e di fatto dealcolare è quasi impossibile – ribadisce Marzia Varvaglione, direttore marketing dell’omonima cantina di Taranto e presidente dell’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli dell’Unione italiana vini) – Altri Paesi si sono messi in anticipo rispetto a noi. Oggi alcune aziende producono vino in Italia, lo dealcolano all’estero e poi lo reimportano. Questo porta a un aumento dei costi e alla dispersione di investimenti e ricchezza”.
Infatti chi ha in produzione dealcolati in Italia, agisce oltre i confini. Il gruppo Schenk di Ora (Bolzano) ha cantine di produzione anche in Svizzera, Francia, Italia e Spagna ed è nella sede iberica che produce vini dealcolati. Il gruppo Argea grazie alla collaborazione con un partner tedesco ha otto etichette alcol free tra rosso, bianco e bollicine.
Martin Foradori Hofstätter, viticoltore dell’omonima tenuta altoatesina, dal 2021 produce Steinbock Zero Sparkling. “Non è un succo d’uva, ma una bollicina ottenuta da vino – puntualizza – All’interno di un’apparecchiatura viene ridotta la pressione atmosferica (a circa 15 mbar) e con ciò abbassato anche il punto di ebollizione dell’alcol da circa 78° C a circa 25-30° C. Alla fine del processo, si ottiene una bevanda con un contenuto alcolico inferiore a 0,25 Vol %”. Dal 2022 produce anche la versione “ferma” di vino dealcolato. Si avvale dello stesso metodo utilizzato per la produzione delle bollicine dealcolate. Il fermo Steinbock Zero nasce di fatto da un fruttato Riesling Kabinett della Mosella a cui viene tolto l’alcol. La dealcolazione avviene in Germania, dove ci sono vigneti di Riesling da cui nascono questi prodotti.
Lollobrigida: “Il dealcolato? Non chiamiamolo vino”
Solo adesso qualcosa sembra muoversi per colmare il ritardo e si sta lavorando a un decreto sul tema. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida dal Vinitaly apre al dialogo anche se il responsabile della sovranità alimentare non nasconde una certa ritrosia, quantomeno linguistica. “Sul vino tradizionale siamo un’eccellenza – dice Lollobrigida – Il vino da cinquemila anni è frutto della natura e del lavoro dell’uomo con un percorso che pone l’alcol, in quantità che va dal 4 al 20 per cento, come stabilizzatore di questa produzione. Dopodiché non è necessario chiamare vino una cosa che è fatta diversamente. Ma questo è un parere personale. Da un punto di vista politico – prosegue – ci confronteremo con la scienza e col mondo produttivo e troveremo la migliore soluzione per non perdere quello che abbiamo in nome di quello non abbiamo. Questo per dire che non serve usare la stessa parola per individuare due prodotti differenti. Dico quindi che il dealcolato ha un possibile spazio importante di mercato, ma non c’è bisogno di chiamarlo vino”.
Le aziende però non possono stare a guardare. Per Soldati “questo governo ha promosso un ampio dialogo interministeriale con la filiera del vino” e l’auspicio è che “si prosegua su questa linea. Aprire un tavolo sarebbe la strada migliore per poi fare un sintesi che ci veda compatti e non sia divisiva. È importante essere uniti soprattutto dato che ci muoviamo in un contesto di competitività internazionale”.
Alle imprese nostrane non resta che attendere che la burocrazia acceleri i tempi, nettamente più lenti rispetto alla curiosità dei consumatori.
( fonte Today.it )