Letizia Moratti ha raccontato quegli anni e cosa pensa del doc Netflix al Corriere della Sera: “Forse sono troppo coinvolta per un giudizio. Di sicuro mi ha colpito rivivere la disperazione di tante mamme che allora vedevano Sanpa come unica speranza. E mi ha colpito che nonostante alla regista fossero state completamente aperte le porte, a me e a tantissime delle persone che ci hanno contattato e ci stanno contattando in questi giorni è parso di vedere solo le ombre”
SanPa. La serie su San Patrignano targata Netflix si chiama così e sui social, da giorni, il dibattito sulla comunità e sulla figura di Vincenzo Muccioli è apertissimo. Tra i protagonisti di quegli anni e del doc, Letizia e Gian Marco Moratti, presenti nella serie: “La mia è una famiglia fortunata e con Gian Marco avevamo sentito il dovere di dare un contributo alla società e alle persone che avevano bisogno – ha raccontato Letizia Moratti al Corriere della Sera –
Quelli erano anni difficilissimi per il tema delle tossicodipendenze che stava esplodendo e abbiamo da subito creduto al progetto pionieristico di Vincenzo. Siamo arrivati a San Patrignano nel settembre del 1979, c’erano una quindicina di ragazzi ospitati e quella è diventata la nostra seconda casa: vivevamo in una roulotte con Gian Marco e i miei figli e per 40 anni tutti i nostri weekend, ogni Natale, Pasqua e ogni vacanza estiva noi siamo stati lì, con i ragazzi”.
Il racconto dell’ex sindaca passa attraverso un periodo storico in cui lo “Stato era impreparato” e quel progetto sembrava una risposta anche perché, da lì a poco, sarebbe arrivata l’Aids. Sulle regole di Muccioli, quelle che oggi vengono ridiscusse in un dibattito popolare, non ha dubbi: “Si facevano insieme. Anche le regole si facevano insieme. All’inizio nel fine settimana si poteva uscire, poi erano stati alcuni di loro a dirci che se il sabato sera andavano in discoteca non riuscivano a non bucarsi di nuovo. E si è deciso di chiudere. Oppure ricordo una ragazza alcolista, la prima seguita con questo problema: a tavola c’erano le bottiglie di vino e lei beveva.
Allora i ragazzi decisero che ciascuno potesse avere un solo bicchiere di vino perché così avremmo aiutato anche lei”. L’intervista, lunga e molto sentita, racconta di una Letizia Moratti che traccia una differenza netta: “Muccioli è stato l’uomo che ha avviato il progetto: per noi l’esperienza non era Muccioli, ma San Patrignano, e limitare tutto il racconto della comunità alla storia di un uomo non rende merito all’impegno di tutti i ragazzi per far crescere San Patrignano in ciò che è oggi per il nostro Paese”.
Errori, episodi drammatici, un “metodo San Patrignano” che “non era basato sulla violenza”. La comunità non ha gradito il doc Netfllix e Letizia Moratti? “Forse sono troppo coinvolta per un giudizio. Di sicuro mi ha colpito rivivere la disperazione di tante mamme che allora vedevano Sanpa come unica speranza. E mi ha colpito che nonostante alla regista fossero state completamente aperte le porte, a me e a tantissime delle persone che ci hanno contattato e ci stanno contattando in questi giorni è parso di vedere solo le ombre.
Penso sia stata un’occasione persa, perché la droga rappresenta ancora oggi una emergenza e molti giovani affrontano il tema con la fragilità e le insicurezze tipiche della loro età. Non aver raccontato nessuna delle storie di fragilità che poi sono diventate forza e vita piena è stata un’occasione persa“.
( Fonte Il Fatto Quotidiano )
LA CANTINA A SAN PATRIGNANO
Una casa su una collina del riminese, in direzione San Marino, siamo a Coriano. La storia della cantina di San Patrignano inizia alla fine degli anni ‘70 quando Vincenzo Muccioli raccoglie i primi ragazzi di strada a Rimini e decide di ospitarli nel suo piccolo podere, ereditato dalla moglie, sulle colline riminesi. Nei primi anni solo poche roulotte e gli ospiti poche decine ma si intravedono già le vigne sullo sfondo nelle colline sopra Rimini.
Negli anni i vigneti si ampliano ed oggi superano i 100 ettari, la svolta arriva metà anni ‘90 con il vino che acquista valore e carattere, diventando un elemento centrale nel lavoro della comunità, che impegnando alcuni ragazzi in vigna ed in cantina diventa metodo terapeutico. Infatti fin dall’inizio Vincenzo Muccioli, che a parere di chi Vi scrive, dovrebbe essere proclamato Santo, ha sempre creduto nell’impegno nei vari lavori da parte dei ragazzi, per dare loro un motivo in piu’ di vivere e rendersi utili a loro stessi in primis, ed alla società.
La gestione agronomica ed enologica viene assunta ed affidata ad un enologo di fama Riccardo Cotarella, il vino di Sanpa si trasforma in eccellenza del territorio, viene apprezzato dalle diverse guide di settore e per i ragazzi e diventa una sfida, un lavoro ultra ventennale.
Si impiantano nuovi vigneti, per primo Montepirolo ottenuto da un blend di merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc e si rinnovano le vigne di sangiovese. La densità di impianto viene portata a 6.600 piante per ettaro, si sperimentano uvaggi internazionali quali chardonnay e sauvignon blanc, che produrranno vini di successo nel mondo. Il Sangiovese di San Patrignano acquisisce la sua identità non solo da un punto di vista sociale, ma diventa riconoscibile per le sue caratteristiche di morbidezza e bevibilità con un tannino più levigato che piano piano si impone anche al gusto dei consumatori.