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Merella riscopre il Bacò, il vino proibito dal Duce

La storia delle coltivazioni agricole degli ultimi duemila anni nel basso Pieve è stata ricostruita da Roberto Bovone. Nella pianura della Fraschetta e della Merella fino ai primi decenni del Novecento, veniva vinificato il Bacò, che con l’avvento del fascismo venne inserito nell’elenco dei “vini proibiti”

 

 

NOVI LIGURE – Oggi si parla di Gavishire: i vigneti che caratterizzano le colline che partono da Novi e arrivano a Gavi e da lì a Bosio sono un vero e proprio simbolo del nostro territorio. Ma un tempo le coltivazioni intensive di vite non si trovavano sulle alture, ma nella pianura della Fraschetta e della Merella. Qui, fino ai primi decenni del Novecento, veniva vinificato il Bacò, che con l’avvento del fascismo venne inserito nell’elenco dei “vini proibiti”.

 

L’intera storia delle coltivazioni agricole degli ultimi duemila anni nel basso Pieve è stata ricostruita da Roberto Bovone con l’aiuto di Roberta Albertini, Cinzia Lagozzino e Franca Roveda. In epoca pre romana la nostra zona era solo una grande foresta dove vivevano piccole tribù appartenenti al popolo dei Liguri. Con l’avvento della dominazione romana inizia il disboscamento e la centuriazione dei terreni, che viene assegnato ai come pagamento del servizio militare. La coltivazione più comune all’epoca era il farro che costituiva l’alimento base della dieta di quei tempi. Venivano coltivati anche molti tipi di legumi tra cui le fave, le lenticchie e i ceci. Durante il periodo imperiale, iniziò la coltivazione del gualdo da cui si estraeva l’indaco per la colorazione dei tessuti (fu coltivato nella nostra zona fino al diciassettesimo secolo, quando fu sostituito dai coloranti minerali più economici provenienti dalle Americhe).

 

Con le invasioni barbariche la foresta riprende il posto dei campi coltivati. Sotto la dominazione dei Longobardi prima e dei Franchi dopo, addirittura, le foreste vengono tutelate per legge per garantire ampie riserve di caccia ai signori del tempo. Dopo il decimo secolo, riprende l’opera di bonifica del territorio grazie all’intervento dei religiosi cistercensi e benedettini: in questo periodo vengono fondati molti monasteri e probabilmente erano conventi le attuali cascine Federica, Boschetti, Bernardina, Frati. Ai monaci dell’abbazia di Rivalta si deve la costruzione di un canale irriguo che corre lungo la sponda sinistra il fiume Scrivia (utilizzato fino agli anni Ottanta). È in questo periodo che inizia la coltivazione intensiva della vite in pianura.

 

Con l’arrivo dei bachi da seta il territorio cambia nuovamente aspetto. Vengono tolti i vigneti per far spazio alla coltivazione dei gelsi le cui foglie servono per nutrire i bachi da seta.

«La lavorazione della seta inizia a essere un’attività importante nella nostra zona. Dal 1600 si inizia un ripopolamento delle campagne e si iniziano a costruire nuove cascine. Nel giro di un secolo, passano da 41 a un novantina. E Novi diventa un fortissimo polo produttore di seta pregiata che viene venduta e apprezzata in tutta Europa», spiega Bovone. A metà dell’Ottocento si è al massimo della produzione, ma la recessione è dietro l’angolo.

 

“La crisi che stiamo vivendo oggi è partita dagli Stati Uniti e dai mutui subprime. All’epoca, invece, la colpa era stata l’apertura del canale di Suez, in Egitto”, commenta Bovone. Ma che conseguenze può avere avuto per la piccola Novi dell’Ottocento un’opera costruita a migliaia di chilometri di distanza? Con l’apertura del canale si intensificano i commerci tra l’estremo oriente e i porti del Mediterraneo, e la seta asiatica può arrivare in Europa con meno costi. Alla fine dell’Ottocento, poi, si registrano epidemie che colpiscono gelsi e bachi. Infine, agli inizi del Novecento arrivano sui mercati nazionali le prime fibre sintetiche. “Solo alcune filande, puntando sulla qualità superiore del prodotto novese, resisteranno fino ai primi anni Cinquanta”, spiega Bovone.

 

Ma torniamo al vino della Merella: nei secoli passati esistevano molti tipi di vitigni autoctoni (nerello fraschetano, moretto, timorasso, cenerino) che furono distrutti dalla fillossera a metà dell’Ottocento. Per debellarla, si dovettero importare nuovi vitigni americani resistenti al terribile flagello: il barbera, il nebbiolo, il bacò, la verdea, la luglienga, l’otello. Il Bacò si diffuse molto in Fraschetta, ma venne bandito con un provvedimento emesso durante il regime fascista. La colpa del Bacò? Durante la vinificazione si arricchisce di alcool metilico, sostanza che può provocare danni alla salute. Ancora oggi le uve di Bacò non possono essere trasformate in vino: la pianta è un incrocio tra Vitis labrusca e Vitis riparia, mentre le norme europee dicono che per fare il vino si possono usare sono le piante di Vitis vinifera. Ma in molti giurano che, qui e là in Merella, l’antico Bacò stia riprendendo piede.

 

 

( Fonte alessandrianews.it )

 

Roberto Gatti

Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali: » Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente ); >>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino >>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest >>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge ed ai maggiori concorsi italiani.

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