Il Merano Wine Festival oltre a essere il luogo dell’opulenza vinicola, dei grandi brand, delle terme, degli anni 90 perpetui, delle folle oceaniche, del biglietto da 100 euro, dell’escursione termica da pleurite fulminante, delle sporadiche compagne dei produttori nude che monopolizzano l’ormone maschile, è il luogo dove ogni progettualità va a farsi fottere nei primi 11 picosecondi. Almeno per un confusionario disadattato come il sottoscritto. Capace anche di perdere mezz’ora alla ricerca della nuova sede dell’ufficio stampa.
Quest’anno ho scelto il lunedì (mi dicono però che l’usuale ressa domenicale non c’è stata, secondo molti grazie alla Moto Gp) e un programma di sano didascalismo: bere tutto ciò che usualmente non mi interessa. Il vino è studio, diamine. Proviamo ad esempio tutti i bianchi altoatesini presenti e cerchiamo di capire perché piacciono tanto. E perché piacevano anche a me un paio di lustri fa. Forse è un proposito snob. Amen.
Comunque, per un po’ l’ho fatto. Per esempio ho bevuto Abbazia di Novacella, Kornel, Valle Isarco e il Brut di Moser, rievocando come ogni anno il ciclismo di una volta e i pomeriggi in bianco e nero con mio padre. Ho anche provato tanto Sauvignon (l’anno scorso mi ero immolato con quelli del Friuli), trovandone anche qualcuno dal profilo meno grasso del solito (il 2013 di Unterzanzner forse), ho apprezzato i vini di Tenuta Alois Lageder e ho anche scritto note serie e professionali.
Poi ho mollato zaino, penna e propositi dall’amico Mauro Mattei di Ceretto, mi sono bevuto i loro nuovi e ho cominciato a divertirmi a modo mio. Quattro ore di Piemonte, alternati da un qualche salto in Toscana (lo sappiamo, si va a Merano per i grandi vini, qualsiasi cosa significhi, non per i produttori di autoctoni sconosciuti, da 600 bottiglie l’anno) e un passaggio all’enoteca, dove in mezzo a decine di bocce da Gdo ci si imbatte anche nel Timorasso di Daniele Ricci e in un Verdicchio che ho rimosso prima ancora di ruotarlo in bocca.
Poi, finalmente giro di assaggi/scrocco nell’area gourmet, tra birra, trote salmonate affumicate, formaggi e salumi spesso commoventi. Perché se esiste un’eredità gastronomica del genio italico, un lascito risorgimentale, pare brutto dirlo, ma vive ancora nei maiali allo stato brado. Con buona pace di salutisti, vegani e narcisisti dell’alimentazione. Poi a papille totalmente bruciate ho fatto un salto nell’area internazionale dove, a riprova della morte gustativa, anche gli Champagne non dosati mi sembravano dolci. Per il quarto anno di fila mi sono ripromesso di assaggiare la Romania e non l’ho fatto e ho finito per ciucciarmi qualche austriaco e qualche Riesling della Mosella da 100 grammi di zucchero litro e 8 di alcool. Mi è sembrata la giusta chiusura, prima di perdermi nella Merano alta alla ricerca della macchina.
Ecco le cose che mi sono rimaste più in mente.
Furore bianco Fiorduva 2013 – Marisa Cuomo
Non manco mai al banchetto, ben in vista, di Marisa Cuomo, manifesto antropologico di salernità, dove scatta sempre una miniverticale dei suoi Fiorduva. Il 2005, denso, opulento e molto espressivo era in ottima forma, con il solito bell’equilibrio di sapidità, corpo e dolcezza, ma il 2013 comincia a delinearsi per un grande futuro. A qualcuno non piace il termine “minerale”, ma se non lo si scomoda qui, buonanotte. In bocca apre salato con l’acidità che scalcia, poi è caldo e succoso. Chiude dolce e lunghissimo.
Barolo Riserva Runcot 1999 – Elio Grasso
Il bello del lunedì sono le vecchie annate. Dove pesco il 1999 di Grasso in eccellente forma. Ampio, balsamico, elegante, liquirizioso: un bellissimo vino che ha smaltito perfettamente la botte piccola e ha una bocca golosissima. Tradizionalista o modernista?
Barbaresco Asili 2012 – Faletto di Bruno Giocosa
Proseguiamo nello scoprire l’acqua calda e i vini che non mi posso permettere, con il monumentale Barbaresco di Giocosa. Naso mentolato e frutti rossi, bocca sapida e ricchissima, di un’eleganza inumana. Volevo rubarmelo e scolarmelo sul terrazzo. Come anche il Barolo Falletto 2011.
Pian del Ciampolo 2013 – Montervertine
Non è una novità, non sono l’unico a dirlo, non è la prima volta che lo bevo, ma continuo a entusiasmarmi di fronte al vino “minore” di Montervertine. Per me si lascia dietro anche il Pergole Torte 2011, tra i meno esemplari degli ultimi anni. I sentori metteteceli voi, io dico solo che è di una beva straripante. Grande annata davvero.
Ah, naturalmente Biondi Santi, come ogni anno aveva finito il vino, eccetto il Morellino, prima ancora che entrassi.
( Fonte Il fatto Quotidiano )
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