Categories: News

LA STORIA AFFASCINANTE DI GIACOMO TACHIS

 


Fare il vino e comunicare il vino: il ruolo pionieristico di Giacomo Tachis


Regione Toscana Giunta Regionale


Direzione Generale dello Sviluppo economico


Settore Funzione strategica trasversale comunicazione


Testo tratto dalla tesi di Laurea in Storia Contemporanea della Comunicazione


Universit degli Studi di Firenze


Facolt di Scienze Politiche Cesare Alfieri


Corso di Laurea in Comunicazione Strategica


Di Ilaria Ceccarelli


Relatore: Prof. Zeffiro Ciuffoletti


Catalogazione nella pubblicazione (CIP) a cura


della Biblioteca della Giunta regionale toscana:


 


Presentazione


Una grande regione si racconta anche attraverso i vini che produce. E per questo che bisogna ringraziare Giacomo Tachis. Attraverso il suo lavoro abbiamo ottenuto dei vini di straordinaria qualit che hanno ben rappresentato in tutto il mondo la qualit della Toscana e dellItalia.


Giacomno Tachis rappresenta una figura fondamentale per la crescita enologica di tutto il Paese e della nostra regione in particolare. E per questo che siamo lieti di realizzare questa pubblicazione.


La presenza della vite in toscana antichissima, dobbiamo agli etruschi la sua introduzione, anche se molto probabilmente le prime pratiche enologiche nella nostra regione risalgano allet del ferro. Certamente in nostro vino circondato di un aurea leggendaria che lo rende unico al mondo.


Se vero quindi che abbiamo una grande tradizione di vini anche vero che oggi il vino prodotto nella nostra regione sicuramente di gran lunga migliore di quello che si produceva anticamente e questo lo si deve certamente a uomini come Giacomo Tachis.



Ho aperto questa presentazione affermando che una grande regione si racconta anche con i vini che produce, basti pensare a quando il Barone Bettino Ricasoli grazie alla denominazione del vino Chianti, port la Toscana in tutto il mondo. Da allora i nostri vini non hanno perso la virt di unoriginalit legata alla qualit particolare del luogo, restando inimitabili da tutti i paesi produttori


del mondo. Questo stato possibili poich se vero che per produrre vini di grande qualit sono necessari processi chimici, fisici, biochimici molto complessi, altrettanto vero che questi non porterebbero a niente se non vi fossero luoghi di grande vocazione come quelli presenti nella nostra regione e uomini di grande capacit, come appunto Giacomo Tachis.


Claudio Martini


Presidente della Regione Toscana


 


 


 


INTRODUZIONE


La cultura enogastronomica sta diventando una realt sempre pi presente, poten-te ed esigente, e il vino rappresenta una forza economica trainante dellintero set-tore agroalimentare italiano, riscoprendo i favori di un pubblico sempre pi vasto, selettivo ed attento alla qualit di quella bevanda. Non sempre stato cos. Questo un presente reso possibile grazie al coraggio e alla professionalit di uomini, imprenditori, enologi, agronomi, giornalisti, che hanno fatto conoscere una nuova prospettiva al mercato del vino. Lo spartiacque tempora-le individuabile negli anni Sessanta del secolo scorso, quando da una logica pro-duttiva corrispondente allimperativo della quantit si iniziato ad individuare come obiettivo primario la qualit. Questa stata lunica risposta possibile ad una do-manda sempre pi selettiva da parte dei consumatori, che ha guidato il passaggio dal vino come alimento al vino come fonte di gusto e piacere, con la complicit di una profonda trasformazione delle campagne, conseguente alla fine della mezza-dria in Toscana e in altre regioni dellItalia centrale. Tra i professionisti che hanno permesso questa rivoluzione enologica un uomo si merita un posto di primo piano: Giacomo Tachis. Enologo di origini piemontesi adottato dalla Toscana, Tachis, con competenza, lun-gimiranza, sensibilit e grande cultura, ha indicato allItalia del vino la strada da perseguire per una rinascita della vitivinicoltura, riprendendo il cammino iniziato dai pionieristici tentativi dell800. Analizzando la recente storia enologica italiana risulta evidente come le esperienze di Giacomo Tachis siano state il progetto pilota di tante evoluzioni nelle vigne, nelle cantine e nel mercato degli ultimi quarantanni. Non a caso la stampa estera lha definito come luomo del Rinascimento del vino italiano nel mondo. Il suo agire stato pionieristico tanto nellarte del fare che del comunicare il vino. Ha donato alla sua professione uninnovativa interpretazione, opponendosi con for-za ad una concezione dellenologo troppo legata ad una sorta di medico del vino. Non ha mai dispensato ricette da applicare a qualsiasi territorio, a qualsiasi canti-na, individuando come agire primario della propria professione lassecondare lopera della natura. Il vino per Tachis , infatti, interpretazione umana della natura, e per essere di qualit deve saper raccontare il territorio attraverso le proprie pecu-liarit organolettiche. Senza la storia tutto perde di significato: questa la consa-pevolezza con cui ha affrontato ogni sfida enologica. Lintuito, la sensibilit e lamore per la cultura classica sono le caratteristiche dellenologo che hanno concorso a rendere grande ogni vino nato dalle sue atten-zioni.


8 Rileggere e riesplorare oggi le esperienze professionali di Giacomo Tachis significa, allora, analizzare levoluzione dellenologia italiana. Tachis , infatti, uno dei princi-pali artefici di quella rivoluzione enologica che ha permesso di esportare, insieme alle bottiglie di vino, unimmagine innovativa dellItalia evocatrice di qualit. Proprio con questa consapevolezza nelle pagine che seguono si cercato di deline-are la vita dellenologo intrecciandola allevoluzione dellenologia italiana sulla base di una non vastissima letteratura. Essenziali per una reale comprensione del tema trattato si sono rivelati i numerosi incontri con Giacomo Tachis stesso che ci ha permesso di consultare le molteplici relazioni scritte in varie occasioni, testimo-niando che essere Grandi Uomini significa prima di tutto essere umili e non gelosi del proprio sapere. Talvolta allassenza di una letteratura sufficiente si sopperito con la lettura di numerosi articoli tratti dalla stampa periodica e quotidiana sia nazionale che inter-nazionale. Nel primo capitolo dopo una breve esposizione del recente percorso storico dellenologia italiana evidenziandone le criticit, si delinea la formazione e le espe-rienze professionali di Giacomo Tachis. Emerge cos un percorso professionale ric-co di esperienze significative, la principale delle quali si svolse negli anni Sessanta con il suo approdo presso una delle pi importanti aziende vinicole toscane. Lavo-rando per gli Antinori, Tachis arriv a produrre prodotti enologici innovativi, come il Sassicaia, il Tignanello e il Solaia, considerati vini di eccellenza dai maggiori esperti del vino a livello internazionale. La seconda regione italiana che ha conosciuto le cure di Tachis la Sardegna, lisola della natura, dedicandole molte attenzioni e guidandola in unevoluzione enologica fino al suo arrivo impensabile. Da enologo corsaro, come Tachis stesso si definisce, ha poi accettato una nuova sfida insulare: la Sicilia. Anche in quellisola, gi famosa per i suoi vini, Tachis riuscito con arte e tecnica a far scoprire il percorso enologico pi adeguato. Dal primo capitolo emerge cos un Giacomo Tachis che ha saputo valorizzare territo-ri tanto diversi tra loro, attraverso uninnovativa interpretazione della vitivinicoltura. Il secondo capitolo si apre con una breve rilettura storica della professione di eno-logo. Quindi si analizza il contributo di Tachis nellevoluzione della professione. Cul-tura, sensibilit e capacit tecniche sono stati gli strumenti attraverso cui il princi-pe degli enologi ha individuato la nuova strada da percorrere: seguire lintera filiera produttiva dallinizio alla fine. Ha insegnato che lenologo, come garante della quali-t del vino prodotto, non pu non intervenire in ogni fase del processo produttivo: territorio, vigna, cantina e mercato. Il terzo ed ultimo capitolo mira ad approfondire il ruolo pionieristico di Tachis come enologo dalle indiscusse capacit comunicative. Si affronta, cos, da vicino la co-municazione nel mondo del vino. Dallanalisi della situazione attuale del mercato emerge che non pi sufficiente lessenza comunicativa insita nel prodotto, ma necessario progettare efficaci strategie di marketing.


 


Lesperienza di Tachis ha connotazioni allavanguardia anche in questo ambito, a-vendo tracciato le linee guida essenziali con i suoi prodotti, in particolare con il Sassicaia, il vino pioniere della rivoluzione comunicativa. Seguendo questa strada ha saputo valorizzare un territorio fino ad allora inesplorato: Bolgheri. Dallanalisi del fare comunicazione delle aziende vitivinicole , inoltre, emerso il ruolo di primo piano giocato dal giornalismo nella definizione del mercato. Un gior-nalismo che Giacomo Tachis conosce profondamente e critica per la facilit con cui sentenzia od esalta particolari etichette. Giornalisti italiani e stranieri stimano co-munque lenologo piemontese e ne hanno seguito con attenzione il percorso pro-fessionale, raccontandolo attraverso numerosi articoli. Nel paragrafo conclusivo si illustrano alcuni dei tanti riconoscimenti nazionali ed in-ternazionali che Tachis ha ricevuto durante la sua lunga carriera, peraltro non ancora conclusa.


( Il dott. Tachis si ritirato dalla attivit nella primavera 2010 n.d.r )


 


LA FORMAZIONE E LE ESPERIENZE Lentamente muore chi diventa schiavo dellabitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. – Pablo Neruda – Il vino. Il vino si beve con la vista. Rosso, nero, viola, rosato, bianco, giallo paglierino, grigio e quanti altri ancora sono i termini cromatici che richiamiamo in nostro soccorso nella ricerca di descrivere un vino che ci attende nel bicchiere. Il vino si beve con lolfatto. Floreale, fruttato, speziato, aromatico, fine, elegante, ricco, si potrebbe continuare allinfinito ad elencare le parole che ne evocano il profumo. Il vino si beve con il gusto e il tatto. Secco, dolce, liquoroso, pastoso, fresco, tannico, giovane, maturo sono solo poche delle parole che ne possono narrare lincontro con il palato. Il vino si pu ascoltare. Non solo perch gli spumanti cantano: proprio il vino che pu raccontare. Come bevanda del corpo e dellanima ha saputo accompagnare la storia delluomo in ogni epoca, lontana e vicina. Avvolta da un inebriante alone di mistero stata ed protagonista di miti e leggen-de, di riti e culti, di esaltazioni e demistificazioni. Medicina, alimento, bevanda e piacere sempre e comunque plasmato dalle mani delluomo per assecondarne il gusto e la necessit, in ogni sua metamorfosi il vino non ha mai tradito e rinnegato le proprie radici: la terra. Tutto questo ce lo insegna Giacomo Tachis, lamico del vino, lamico delluomo che con professionalit, umilt e cultura ha saputo accompagnare e indicare la strada della rinascita dei vini italiani a partire dalla seconda met del xx sec. Era una giornata dautunno, con il sole che illuminava gli splendidi colori della natu-ra, quando con emozione mi sono presentata alla porta del principe degli enologi. Con lansia di non riuscire a trovare lindirizzo, nonostante mi fossi armata di quellalienante strumento da automobilista sprovveduto che risponde al nome Tom Tom, e con laffanno della curiosit mi sono immersa nelle strade della splendida campagna Toscana che mi hanno accompagnata fino alla porta dello studio di Gia-como Tachis. E sono state le sue stesse mani che hanno aperto la porta dello studio, introdu-cendomi in un universo di libri. Ogni parete tappezzata di libri.


I primi momenti del nostro incontro mi hanno raccontato molto di quelluomo di cui tanto avevo sentito parlare e tantissimo avevo letto. Accende la luce sulla scrivania e indicandomi con lo sguardo il punto in cui il raggio di sole e la luce della lampadina sincontrano, senza togliere gli occhi da quella magia, mi dice: Vedi il contrasto tra lartificiale e il naturale. Un gesto semplice accompagnato da una frase che potrebbe sembrare banale, ma che in realt rivela la volont di non dare niente per scontato, una profonda sensibi-lit e un grande rispetto verso tutto ci che lo circonda, in primis la natura. Da enologo ha dovuto e saputo confrontarsi ogni giorno proprio con quel contrasto, trasformandolo in armonia. questo uno degli ingredienti insostituibili che si ripete in ogni differente ricetta di Tachis e che gli ha permesso di essere lartefice di grandi vini come il Tignanello, il Solaia, il Sassicaia, il Terre Brune e tanti altri ancora. Lavoratore instancabile, Tachis non ha mai trascurato niente, appassionandosi ad ogni nuova sfida. Se lenologia esprime il gusto del mondo in un certo momento e lenologo ha il compito di intuirlo, interpretarlo e tradurlo, Tachis lha fatto con successo perch ha saputo osservare e ascoltare luomo e la natura con umilt e tenacia, affinando gli strumenti del mestiere: la conoscenza e la scienza, i sensi e lintuito. Forte della consapevolezza che quando assapori un vino bevi anche un sorso del mito non ha mai dimenticato di interrogare il passato per trovare risposte nel pre-sente. Questa una certezza che nasce ad ogni sorso di vino il cui padre diretto e indiretto Tachis, e quando sono entrata nel suo studio ne ho avuto, appunto, con-ferma: lamata libreria, foderata di testi antichi e moderni, accarezzata dallo sguardo, e ricercata dal cuore non appena se ne presenti loccasione. Proprio la sua capacit di cercare e trovare nel passato le domande e le risposte per il pre-sente quella caratteristica che lo ha reso unico, e gli ha permesso di vedere mol-to pi lontano di altri. E quel gusto particolare per la cultura classica elemento caratterizzante di ogni sua firma. Ecco perch niente e nessuno saprebbe rispondere meglio alla domanda Chi Ta-chis? della sua libreria. Tra quegli scaffali ci sono opere che vanno da De Crescenzi, a Galileo, a Peynaud, illuminati del passato e del presente che lo hanno accompagnato in ogni momento della sua carriera, testi di poeti che hanno saputo mettere nero su bianco la perce-zione del mondo di Tachis, decine di fascicoli che rappresentano ogni momento, luogo e fatto che ne hanno segnato la sua vita professionale e non. In questo primo capitolo cercher di raccontare il percorso formativo e professiona-le di Tachis, dopo un breve e inevitabile escursus storico nellevoluzione mondo vi-tivinicolo italiano.


 


Uno sguardo nel passato Oggi il settore vitivinicolo rappresenta uno dei pilastri portanti del sistema agroali-mentare nazionale; a testimonianza di ci i numeri supportati dalla consapevolezza di un livello di eccellenza produttiva e di qualit da primato. Il giro daffari da capo giro: 10 miliardi di euro, con ben 1,2 milioni di lavoratori riconducibili al mondo del vino.1 Finalmente leterno duello con i cugini francesi per la contesa dello scettro del pri-mato non vede pi lItalia perdente in partenza, ma talvolta addirittura favorita e vincente nella battaglia finale a cui partecipano nuove, temibili forze come lAustralia, gli Stati Uniti, lArgentina, la Repubblica Sudafricana e il Cile. Questo perch la storia e lesempio degli eterni rivali transalpini ha insegnato che larma vincente non la quantit ma la qualit. In un passato non troppo lontano sembrava impossibile che il vino italiano potesse acquistare credibilit agli occhi del mercato nazionale e internazionale. Eppure oggi innegabile il successo e linteresse per i nostri prodotti sulla scena mondiale. Nel 2006 lexport ha sviluppato un giro di affari di 3 miliardi di euro con una pro-pensione allesportazione doppia rispetto alla media agroalimentare2, e sono sem-pre pi numerosi i vini italiani che si meritano la collocazione nella top ten stilata da riviste autorevoli come Wine Spectator. In un paese un po disattento sempre bene sottolineare che gli attuali straordi-nari successi del vino italiano vengono da lontano e hanno richiesto studio, impe-gno, investimenti, ma anche scienza e innovazioni tecnologiche nelle vigne e nelle cantine.3 Rileggendo le pagine della storia ci si ritrova immersi nellaffascinante romanzo del vino il cui linizio e la parola fine sono ancora da scrivere. Nessuno, infatti, possie-de la sfera di cristallo che possa svelarne il futuro, e ancora oggi le origini del vino sono oggetto di studi e ricerche: luoghi, periodi e popoli continuano a contendersi linvenzione. Se la nascita della viticoltura pare sia riconducibile a 7-8 mila anni fa4, dobbiamo attendere le pagine che raccontano del Diciannovesimo secolo per riesplorare la strada percorsa dallItalia per vedersi nuovamente riconosciuto a livello mondiale lappellativo di Enotria, trasformando profondamente il settore passo dopo passo. La fondazione dellAccademia dei Georgofili nel 17835 ne rappresenta una tappa fondamentale: allora che linteresse divenne veramente scientifico e si estese dalla viticoltura alle tecniche di vinificazione e conservazione dei vini. Grazie a quelliniziativa e tante altre nate nel territorio italiano per opera di singoli o gruppi di 1 Cfr. AA. VV., Rapporto sul settore vitivinicolo 2007, Retecamere, Roma 2007 2 ibidem 3 Z. Ciuffoletti, Il Lungo risorgimento del vino italiano, in Italia Oggi, 24 Febbraio 2007. 4 I pi vecchi semi finora scoperti e datati con il metodo carbonio provengono dalla Georgia del sud e appartengono al periodo 7000-5000 a.C., in H. Johnson H., Il vino. Storia, tradizioni, cultura, Franco Muzzio Editore, 2003, p. 13. 5 Cfr. P.L. Pisani, Scienza e tecnica nella storia della vitivinicoltura toscana. Il contributo dei Georgofili, in P. Nanni (a cura di) Storia della vite e del vino in Italia. Toscana, Edizioni Polistampa, Firenze, 2008


 


13 studiosi, la cultura tecnica del Settecento e dellOttocento ampia e ricca di opere fondamentali che parlano della storia vitivinicola del paese6. I vini italiani, per, continuarono ad essere profondamente carenti da un punto di vista enologico, privi di un mercato internazionale e costretti in una posizione popo-lare, mentre i preziosi vini dei francesi erano diffusi in tutte le corti europee. Solo a met del Diciannovesimo secolo il vino italiano inizia a porsi il problema del-la qualit. Furono alcuni grandi proprietari terrieri piemontesi e toscani come il Ba-rone Bettino Ricasoli o Vittorio degli Albizi a chiamare a raccolta i produttori di vino italiani e ad indicare la strada della riscossa.7 Due regioni trascinarono lItalia nel frenetico e vitale periodo del Risorgimento viti-vinicolo: la Toscana, soprattutto con la creazione del Chianti Classico, e il Piemon-te, con il vino che oggi conosciamo come Barolo. Furono anni di sperimentazioni e di ingenti investimenti; come attori proprietari ter-rieri lungimiranti, innovativi, liberi da quella reticenza inconscia alla novit del mon-do contadino, portatori di una conoscenza imprenditoriale che applicata al settore vitivinicolo apport profonde modifiche alla cultura di sussistenza. Sapevano di poter essere i protagonisti di una vera e propria rivoluzione a livello nazionale, e ognuno di loro era consapevole dellimportanza che una tale rivoluzio-ne poteva significare non solo ai propri investimenti ma al paese intero. Ecco perch spinti dal desiderio ricercavano continui confronti al fine di trovare in-sieme, e non individualmente, la strada da percorrere. Poi dei flagelli sotto forma di malattie colpirono le vigne mettendo in ginocchio lindustria vitivinicola: loidio, la filossera e la peronospora8. La Francia fu la prima a doversi confrontare con lepidemia, e lItalia, tra il 1870 e il 1890, sembr trovarne giovamento, raddoppiando la quantit di vino prodotto per rimpiazzare sul mercato ci che i francesi non riuscivano a produrre. Le esportazioni vinicole verso la Francia ebbero per un duro contraccolpo in segui-to alla guerra delle dogane scatenata dal governo di Parigi. E agli inizi del novecento le carte si rovesciarono nuovamente: la produzione vinicola francese riprese a livelli incoraggianti, con ulteriori salti di qualit e passi fondamentali nella difesa della ti-picit, mentre il vino italiano entrava in una crisi preoccupante. In Italia, infatti, da un lato la crisi causata dallepidemia delle vite si fece sentire con tutta la sua ur-genza, dallaltro la diffusione del vigneto in pianura e verso il meridione, senza la certezza del collocamento commerciale del prodotto, riemp le cantine italiane di eccedenze. 6 Cfr. G. Tachis, La vite e il vino dalle origini ai nostri giorni, Regione Toscana, Dipartimento dello svilup-po economico, 2000 7 Z. Ciuffoletti, I pionieri del risorgimento vitivinicolo italiano, Edizioni Polistampa, Firenze 2006, p. 6 8 Nel 1845 il primo attacco: in una serra presso Londra viene scoperto un nuovo malanno della vite, che due anni pi tardi si accerter essere dovuto ad un fungo (o crittogama, da cui il vecchio nome crit-togama della vite), lOidium tuckeri, importato dallAmerica del Nord insieme a delle viti americane. Se-gue nel 1868 la scoperta nella Francia meridionale di un terribile piccolo insetto pur esso giunto dallAmerica: la Filossera della vite (Phylloxera vastatrix). Sempre dal Nuovo mondo, terza in ordine cro-nologico, arriva la Peronospora (Plasmopara viticola) scoperta nel 1878., in I. Eynard, G. Dalmasso, Viticoltura moderna: manuale pratico: evoluzione della viticoltura, Hoepli Editore, 1990, p. 13


 


Col senno di poi appare evidente come quelle epidemie che devastarono i vigneti portarono con s un fattore positivo. uno spartiacque fondamentale tra ci che voleva dire produrre vino fino ad allora sulla scia di un bagaglio di tradizioni e prati-che che derivavano dal mondo dei greci e dei romani e ci che oggi: un processo complesso e delicato seguito con attenzione in ogni sua fase da personale qualifi-cato e con il supporto della tecnologia. Il dover affrontare quellemergenza port al-la firma di un sodalizio inscindibile tra chimica e viticoltura. Ed in quel preciso momento che possiamo individuare la nascita o meglio il rico-noscimento di professioni prima di allora sottovalutate e in sordina. Una su tutte: lenologo. Fu un periodo lungo e difficile, ma di grande crescita, dove vennero gettate fonda-menta finalmente radicate. Quando le malattie sembravano sconfitte e lenorme lavoro di reimpianto delle vi-gne era in atto, il paese dovette affrontare nuove emergenze politiche, sociali ed economiche. Gli squarci di cielo sereno nei primi cinquantanni del Novecento non furono molti, e soprattutto durarono molto poco, perch il cattivo tempo, le guerre, la crisi economica e il fanatismo si unirono per congiurare ai danni del vino.


Era necessario rilanciare il mercato enologico, rivoluzionandolo in ogni sua parte, dal metodo di coltivazione della vite alla vinificazione, dalla tutela dei vini tipici allesportazione. Nella prima met del XX secolo, per, ogni strumento politico, so-ciale ed economico scelto per far fronte alla crisi del mercato enologico italiano in cui il vino era incatenato, sembrava insufficiente o inadeguato. Dopotutto le emer-genze belliche su cui il paese doveva concentrare gli sforzi assorbivano tutte le e-nergie nazionali. Come ogni pratica della vita umana nei momenti di maggiori difficolt che si rie-sce ad individuare la strada da percorrere, e in questo momento si avvert ancora pi forte la necessit di agire in gruppo. Nacquero le prime cantine sperimentali, centri di studio e assistenza per razionalizzare la vinificazione e conservazione dei vini, e fiorirono le cantine sociali, in cui si riunivano i produttori per cercare di fronteggiare la crisi della sovrapproduzione e delle speculazioni.11 Erano state gettate le basi per un profondo cambiamento, ma il reale volto della vi-tivinicoltura moderna si pot delineare solo dopo il superamento di tutte le storiche situazioni critiche e soprattutto dopo i conflitti che travolsero lEuropa nella prima met del secolo. Questo perch, nonostante gli onerosi sforzi da parte di ogni soggetto coinvolto, proprietari, produttori, politici e ricerca, non si era ancora focalizzato il vero e unico obiettivo su cui era necessario concentrare ogni sforzo: la qualit. Del resto ancora i consumi pro capite annui erano altissimi, pi di 170/180 litri a persona in Italia, per puntare sulla qualit. Ed ecco che una nuova crisi del settore segner il punto focale della rinascita. 10 A. Antonaros, La Grande storia del vino. Tra mito e realt, levoluzione della bevanda pi antica al mondo, Pendragon, Bologna 2006, p. 231 11 ivi, p. 215/217


 


Siamo nel secondo dopoguerra e i problemi, che i viticoltori si trovarono a dover fronteggiare, si dimostrarono per molti troppo gravosi. Un numero sempre maggiore di braccianti agricoli e mezzadri decise di abbandonare la campagna per cercare nelle citt maggior fortuna. I costi di conduzione della vigna divennero troppo eleva-ti, i prezzi delluva troppo bassi, acquistare macchinari necessari era impossibile e il consumo di vino pro capite diminuiva esponenzialmente. Tutto questo port ad un vero e proprio esodo dalle campagne e dalle colline. Molti dei vigneti furono abbandonati e si trasformarono in campi di erbacce. La mezzadria, che nellItalia centrale e in Toscana aveva determinato per secoli la storia delle campagne e dellagricoltura, era giunta ormai al capolinea. Una tradizione, una cultura della coltivazione e sfruttamento della terra che durava da secoli scomparve e sinnesc uninversione di tendenza che sar la base di una vera e propria rivoluzione della viticoltura: gli investimenti delle industrie si rivolsero verso la campagna, si ristrutturarono le case coloniche e si riorganizzarono le aziende agri-cole passate di propriet ad industriali, commercianti e liberi professionisti. Eravamo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta quando venne tagliato il nastro rosso che inaugurava una nuova epoca: il Rinascimento del vino. Da allora il processo produttivo del vino inizi a richiedere lattenzione di occhi pi esperti, niente poteva essere trascurato dalla vigna alla bottiglia. Tutto ci fu accompagnato da una sempre maggiore attenzione alla qualit e da una domanda sempre pi selettiva da parte dei consumatori. Una rivoluzione su due piani fondamentali: la produzione e la percezione. La svolta tecnico scientifica del mondo enologico stata, infatti, affiancata da una profonda metamorfosi dellimmaginario collettivo: il vino da alimento e bevanda si trasforma in fonte di gusto e piacere. proprio allora che Giacomo Tachis fa capolino nel mondo dellenologia. Un giovane tecnico, con la voglia di cimentarsi in un lavoro che gli avrebbe permes-so di vivere. Forte della propria specializzazione in enologia e con una spiccata vocazione per la ricerca del nuovo, nel 1961 entr a far parte di una grande azienda vitivinicola To-scana, in mano a proprietari lungimiranti e intelligenti: gli Antinori. 1.2 La vita del giovane Tachis Giacomo Tachis oggi riconosciuto come il pi grande degli enologi italiani, ed uno dei principali artefici del radicale rinnovamento dellenologia italiana. Una vera e propria rivoluzione vitivinicola che ha investito ogni settore e soggetto coinvolto e che ancora una volta ha inizio in due regioni: la Toscana e il Piemonte. Tachis le rappresenta entrambe: toscano dadozione e piemontese dorigine. Nasce nel 1933 a Poirino, un piccolo paese della provincia di Torino con quindicimi-la abitanti in una zona dove non c una piantina duva, ma solo cereali, frumento e mais. Niente allora sembrava condurlo al vino se non il gusto appena suggerito dal pro-fumo e il sapore degli acini delluva fragola che suo padre lasciava crescere sul pergolato di casa.


16 Lamore e il rispetto per il vino nato con il tempo, ma un fuoco ha sempre scalda-to il suo cuore: la passione per lo studio. Scoprire cosa o chi abbia condotto il principe degli enologi a quellincontro con la bevanda di Bacco stimolo di curiosit. Per questo dobbligo uno sguardo alla vita di Tachis prima di intraprendere il suo percorso formativo verso il mondo dellenologia. Come lui stesso mi ha detto Io andavo a scuola e studiavo sul serio perch mi piaceva. Io amavo studiare, e ancora Sai, lo studio un po come la droga, i libri sono come una droga. Mia moglie mi brontola sempre perch dice che compro troppi libri, chiudendo con un sorriso che lascia aperto a tutto. Una vocazione che ha sempre condiviso con suo fratello Antonio Mario, scienziato-umanista, e che li portava a scambi di libri e consigli. Giacomo Tachis aveva per Antonio Mario unammirazione infinita, che andava oltre quel sentimento di rispetto e stima che ogni fratello minore ha per il maggiore. La loro era una famiglia modesta: il padre, Antonio, era meccanico tessile e la ma-dre, Cecilia, casalinga. Questo per non imped ai due fratelli di alimentare lamore per lo studio raggiungendo i loro traguardi scolastici. Antonio Mario si laure prima in chimica e poi in fisica nucleare, vinse numerosi dottorati e divenne uno scienziato conosciuto a livello mondiale per i suoi brillanti studi facendo carriera a Bruxelles, dove nella sua casa, a testimonianza del suo amore per lo studio, aveva una biblioteca popolata da migliaia di libri e unintera sezione dedicata a Machiavelli, la ricerca che pi di ogni altra faceva palpitare il suo cuore. Lui era un genio. Giacomo Tachis ne custodisce un ricordo che gli illumina lo sguardo. Nel suo studio conserva una foto del fratello e alcuni libri che ne hanno contrasse-gnato il cammino, tra cui uno in particolare che mi ha mostrato con orgoglio: un te-sto di fisica che sembra accessibile solo ad un ragazzo con un bagaglio conoscitivo almeno universitario. Antonio Mario lo leggeva e rileggeva con naturalezza a soli di-ciassette anni. A differenza del fratello, Giacomo non ha capito da subito cosa avrebbe voluto fare da grande. Di una cosa era certo: voleva assaporare e godere la vita. Allora come oggi era attratto dai sapori e dal gusto, tanto che la prima professione alla quale pens fu il macellaio. Nella sua cameretta aveva delle lettere con dise-gnato il banco del macellaio con sopra tutti i salumi esposti: lui le guardava e fan-tasticava sul suo futuro dietro quel bancone tra coltelli, insaccati e bistecche da consigliare alle belle signore. Sua madre, per, aspirava a ben altro per il figlio, e soprattutto desiderava che si concentrasse sui suoi studi senza distrazioni. Questo Tachis lo ricorda bene: Mia madre veniva su, mi dava due o tre ceffoni e io riprendevo a studiare. Mia ma-dre stata molto tenace, dura, ma aveva ragione. Mio fratello invece era molto pi mansueto, molto pi disciplinato di me. La madre stata una persona fondamentale nella sua vita, ha sempre creduto in lui e non ha mai accettato lidea di un futuro mediocre per il figlio, anche se non


17 tutti ancora riconoscevano in lui quel talento che gli appartiene, forse per il suo essere umile e riservato. Dopo le elementari, segu le scuole medie in un collegio dei Salesiani, loratorio creato da Don Bosco, e allora fu chiaro a tutti il suo temperamento tenace, forte, ribelle e insofferente di fronte allautorit. Per ben tre volte scapp dalla scuola perch non poteva sopportare di sottostare allautorit e alle regole del collegio. Lultima volta che sono tornato era il giorno che tutti scappavano dai militari, 60 anni fa. Non ho mai sopportato gli eccessi religiosi. Io sono cattolico ma a modo mio. Non potevo stare in collegio. Quando il direttore disse alla mia povera madre se vuole che suo figlio studi, lo dovr togliere dal collegio mi fece una grazia. Quando sono uscito mi alzavo alle cinque del mattino per studiare, non ho mai rotto le scatole a nessuno per. Gli anni di studio lo portarono finalmente a focalizzare i suoi interessi, arrivando a percepire lamore per la chimica e la biochimica delle piante. Ma ancora niente sembrava legarlo al vino. 1.3 Gli studi ad Alba Concluse le scuole medie, la scelta divenne non pi procrastinabile: cosa fare da grande? Si iscrisse allistituto agrario di Alba, con specializzazione in enologia anche se il mondo del vino, ancora, non faceva parte dei suoi pensieri. La domanda dobbligo: allora perch quella scelta? Io avevo una famiglia modestissima, e la mia povera madre era cugina del diretto-re generale della Martini e Rossi in Francia, con sede a Parigi. Era un uomo bravo e molto intelligente. Le disse: Non fargli studiare molto la filosofia, fallo studiare da enologo e poi te lo sistemo io. Un sorriso pieno dironia e di gratitudine anticipa ci che mi racconter poco pi tardi. Si iscritto alla scuola di Alba solo per la promessa fatta? Per il vino non ho mai avuto passione! Per la chimica del vino, s! Per la chimica organica, per la chimica delle piante, per la biochimica, ma del vino me ne fregava, come adesso! Ascolto e un mito sembra sgretolarsi, ma dette da Tachis quelle parole assumono un tono diverso. Dunque decisione presa, lui ama studiare la chimica delle piante e nella speranza che la promessa del cugino della madre venga mantenuta, senza tradire la sua a-nima alchimista, inizia il percorso formativo per poter diventare un giorno enologo. Sono anni di studio, lavoro e divertimento tra gli alambicchi dei laboratori. una strada difficile quella che ha deciso di intraprendere ma la stessa testardag-gine dimostrata con le reiterate fughe dal collegio dei salesiani, sar complice della sua incoronazione a principe degli enologi.


18 Molti degli amici e conoscenti con fare sarcastico dicevano: Studia per fare il me-scolavino. Questa espressione, che sa gi di storia, molto cara a Tachis, che ama definirsi proprio cos, forse per cercare di demistificare se stesso e aggiungere un sorriso beffardo alla sua professione. Come ogni momento della sua vita anche questo fatto soprattutto di persone, di relazioni umane e di affetti. La maggior parte dei ricordi che lui possiede ed estrae con piacere dal proprio bau-le di vita sono persone. Infatti, difficile sentirlo parlare di fatti o cose che lo hanno visto protagonista. Ecco che nel ricordare alcuni professori, che lo hanno accompagnato nel suo per-corso formativo, ripensa con simpatia e gratitudine a quanto gli stato donato. Uno in modo particolare, venuto addirittura a trovarmi in macchina lanno scorso prima di morire, immagina: in macchina da Alba. Il professore di chimica, si chia-mava Wainer Salati. Mi teneva in grande considerazione, mi voleva proprio bene. Diceva sempre che ero stato lallievo pi vicino a lui, il migliore che avesse avuto nella sua carriera professionale. Mi voleva proprio bene. Era un chimico molto bra-vo. Sar un caso ma proprio la chimica la sua passione. Quella scienza che, usando le parole dello stesso Tachis, si occupa di tutto nella vita, ti porta alla radice delle curiosit della filosofia e della storia, garantisce lequilibrio fisiologico di ogni corpo. Questa una delle magie che sa fare Tachis e che ho imparato a conoscere nei nostri incontri: con le sue parole riesce a rendere semplice e allo stesso tempo ro-mantico qualsiasi cosa. Altri due professori hanno affascinato e ispirato il giovane Tachis: Il professore di zimotecnia, ovvero lo studio degli enzimi, che a me piaceva moltis-simo. Lui prima mi dava i voti e poi mi interrogava – ricorda con il sorriso sulle lab-bra -E poi ce nera un altro, il professore che mi insegnava erboristeria e aromati-steria. Anche lui era un chimico molto bravo Il suo amore per lo studio e il desiderio di conoscenza, per, non gli sparivano con i corsi dellistituto di Alba. Per questo inizi ad interessarsi e a seguire con curiosit le ricerche portate avanti in Francia e negli Stati Uniti. Gli studi di un Professore dellUniversit di Bordeaux catturarono la sua attenzione e ne fu cos affascinato da prendere carta e penna per scrivergli la prima di una lunga serie di lettere. Gi sa-peva che quelluomo gli avrebbe potuto insegnare molto. Si trattava di Emile Peynaud, il padre dellenologia moderna di Bordeaux, un filosofo oltre che scienziato del vino, colui che ha contribuito in maniera determinante a mi-gliorare la qualit dei vini a livello mondiale. Le ricerche portate avanti dallo studioso francese sono state una vera e propria i-spirazione per Tachis. Quando ne parla lemozione da un colore speciale ad ogni sua parola come se da sola fosse inadeguata a raccontare un personaggio tanto importante. Peynaud! stato il pi grande enologo del mondo. Viveva nella citt di Bordeaux, figlio di un carrettiere, intelligentissimo, bravissimo, stato il pi grande enologo del mondo. Guarda i libri di Peynaud


19 Ricerca con lo sguardo e mi indica i testi scritti da Peynaud, custoditi nella sua li-breria. Ne prende uno e, con orgoglio e gli occhi lucidi dallemozione, mi fa leggere la dedica in prima pagina. Durante gli studi ad Alba io gli scrivevo sempre per corrispondenza. Ho un inserto dove tengo tutto. Lui era molto bravo, mi ha insegnato moltissime cose. Peynaud era un grande uomo, mi era molto in simpatia, eravamo molto amici. Mia figlia ha ancora i vestitini di quando era bambina, di quando aveva un anno. Sua moglie, quando lui veniva gi da Bordeaux, a Parigi le comprava il vestitino e glielo portava. Quando gli domando perch inizi a scrivere a Peynaud, o cosa lo avesse incuriosi-to a tal punto da intraprendere quel rapporto epistolare, lui mi guarda, lasciando per un attimo il pensiero sospeso sul silenzio, e poi mi risponde: Ubi maior minor cessat! 1.4 I primi impieghi Tachis fin da giovanissimo stato un grande sognatore, la sua mente gli ha per-messo di fare lunghi viaggi nel tempo e nello spazio, ma ha sempre avuto la testa sulle spalle e i piedi per terra. Per questo ancora oggi prova unenorme gratitudine nei confronti dei suoi genitori che con sacrificio gli hanno permesso di fare ci che amava pi di ogni altra cosa: studiare. Da bravo ragazzo, per, non ha mai voluto gravare sulle finanze della famiglia. Voleva e riusc a lavorare fin da giovanissimo, mentre studiava ad Alba. Ha affrontato a testa alta e con coscienza una gavetta lunga e faticosa che gli fa apprezzare e rispettare ancora pi quel mondo che gli ha concesso di vivere nellagio. Io andai subito a lavorare perch avevo bisogno di guadagnare qualche cosina. Ho lavorato subito sodo perch non volevo pesare sui miei. Mio padre faceva loperaio in una fabbrichetta di tessuti. Ma da dove ha iniziato il giovane Tachis? Ripercorrendo con lui gli anni dei suoi primi impieghi si scopre che ancora una volta il vino non lo accompagna fin dallinizio. Come negli studi anche nel mondo del lavoro quella con il vino unamicizia nata nel tempo, mai ricercata in prima persona e forse voluta pi da al-tri che da Tachis stesso. Il mio primo lavoro stato in una fabbrica di tessuti. Allinizio facevo il facchino poi mi offrirono lopportunit di diventare comproprietario No! Voglio fare il mescolatore di vino, voglio fare lenologo. E piano piano ci sono riuscito. Avevo preso un titolo di studio e volevo sfruttarlo, altrimenti mi sarei sentito un fallito. Forse stato proprio quello il momento in cui Tachis ha acquisito la consapevolez-za: voleva fare lenologo e nientaltro. Adesso sapeva veramente cosa fare da grande. E con questa consapevolezza cerc un percorso lavorativo adeguato. I suoi primi impieghi, per, non lo portarono direttamente nel mondo del vino, ma gi si parlava di bevande e chimica.


20 Infatti, appena diplomato, mosse i primi passi della professione in una azienda li-quoristica. Era un lavoro che amava e gli permetteva di sviluppare la sua passione per lalchimia. Il mio primo impiego stato in una distilleria, dove facevano i liquori Ballor, dove si produceva la famosa Prunella. Mi piaceva da morire, io amavo molto la chimica, e l cera un laboratorio enorme. Quando arrivai, per, lazienda era gi fallita, era in amministrazione controllata. Quando dovetti lasciare quel lavoro, perch la fabbrica aveva chiuso, mi dispiaciuto moltissimo. Finita quellesperienza a malincuore si rimise subito in carreggiata trovando posto in una Cantina sociale del Piemonte, ma doveva nuovamente sottostare alle diretti-ve di gente modesta. Ci stetti sei mesi, mi trattavano e pagavano bene, ma non mi piaceva lambiente. Tachis cap fin da subito che quello non era il suo posto, sentiva la stessa voglia di scappare dei tempi del collegio. Era un leone in gabbia pronto alla fuga non appena se ne fosse presentata loccasione. Lo spirito ribelle si ripropose con forza in quel periodo: Avevo gi in mente di andare in una distilleria. Quando il direttore della cantina mi diceva: Tachis dobbiamo fare questo e quello, tra me dicevo Te lo farai da te!. Presto cominci a cercare un nuovo impiego e lopportunit non si fece attendere a lungo. Ci che lo appassionava e desiderava conoscere in profondit era la chimica dellalcol, cos non appena gli fu offerto un lavoro alla distilleria di Imola, Alberti Tommaso, non ci pens su due volte. Si rimise il camice bianco e in mezzo ad a-lambicchi e provette produsse alcool per un anno e mezzo, dissetando la propria anima di alchimista. E la Martini e Rossi? Che fine aveva fatto la promessa del cugino della madre? Poverino lui ce la avrebbe messa tutta, ma io ero un tale coglione che andavo a dire che mi piaceva studiare. Mai bisogna dire che ti piace studiare! Mai! Perch gli altri diventano gelosi. Io, sai, andavo a scuola e studiavo sul serio perch mi piaceva e quando andai da un dirigente della Martini e Rossi a Torino gli parlai degli studi che si facevano in Francia e dimostrai di conoscere bene la chimica dellenologia. Si sono quasi im-pauriti e hanno pensato: ora mi metto dentro la serpe in seno!. Si sono opposti, non mi hanno assunto. Mi sono dovuto guadagnare il pane da unaltra parte, ma me ne sono fregato, anzi ringrazio il Dio. 1.5 Dal Piemonte contadino alla Toscana dei nobili Alla Alberti Tachis credeva di aver trovato la sua strada, la sua professione del pre-sente e del futuro. Faceva il liquorista, un lavoro che gli permetteva di studiare ci che lo appassionava: la distillazione, lalchimia del vino. Abitava in una citt che amava: lallegra e vivace Imola. Citt che agli occhi del giovane Tachis rappresenta-va un vero e proprio paradiso di gaudenti: buon mangiare, splendide donne e cultu-ra. Tutto sembrava concorrere a disegnare il cerchio perfetto.


21 Poi un giorno arriv una lettera datata 29 marzo 1961 del Professore Giuseppe DellOlio, preside dellIstituto di Alba. Gli scriveva di aver pensato a lui per unazienda di grande prestigio in Toscana che cercava un enologo. Aveva fatto il suo nome e garantiva per il promettente allievo descrivendolo ai toscani come e-lemento ottimo sotto ogni punto di vista, serio, stimato, studioso e attivo, prepa-rato a fondo per ogni genere di lavorazione. Tachis allinizio sembr certo di non voler accettare la proposta: non trovava alcun motivo per abbandonare quello che gi aveva. Il vino, solo il vino, non lo attraeva. Gli ho risposto: Io sono a Imola e sto benissimo: mangio, bevo ed pieno di ragazze. Se devo fare unesperienza me lo dica, ma io non vado a cercare niente. Il Professore conosceva bene il talento di Tachis e non si arrese di fronte alla sua prima alzata di spalle. Cerc di incoraggiarlo, facendogli sapere che si trattava della Ricasoli, una delle pi grandi e rinomate case vinicole toscane. Il giovane Tachis, per, era tanto disinteressato al mondo del vino da non conosce-re lazienda. Si inform un po in giro e dopo tanti momenti passati a pensare al da farsi decise di accettare, anche se in cuor suo ancora non era convinto. Dover andare a vivere in mezzo ai boschi, lontanissimo da Firenze stonava con la sua voglia di divertirsi. Allora, prima di andare mi informai. Non conoscevo lambiente del vino, e il diretto-re di una grande cantina, vicino a Ravenna, che faceva 300.000 ettolitri mi disse: aspetta che chiedo allamministratore delegato dellAntinori, un mio amico, e lui gli rispose: cerchiamo anche noi un enologo. Cos il giovane Tachis a soli 28 anni aveva la possibilit di scegliere in quale delle due migliori aziende vinicole della Toscana andare a lavorare: Ricasoli o Antinori? Non era facile rispondere a quella domanda, ma fu aiutato dalla necessit; infatti per abbandonare quel lavoro in distilleria che lo appassionava, e Imola, la citt che tanto amava, avrebbe scelto razionalmente la proposta migliore. Avevo bisogno di guadagnare qualcosa. Quindi la decisione si bas unicamente sullo stipendio? Certo che no! Lo spirito godereccio del giovane Tachis gioc in ogni caso un ruolo fondamentale nella scelta, spingendolo a valutare con attenzione dove fosse ubicata lazienda. Su un piatto della bilancia aveva la Ricasoli, con sede a Gaiole in Chianti, lontano da Firenze e da Siena, sullaltro le tenute dei marchesi Antinori, adagiate sulle colline di S. Casciano in Val di Pesa, che guardano da vicino Firenze. Alla Antinori mi pagavano molto bene. Si pensi che un povero operaio allora veniva pagato 30.000 lire al mese; a me ne davano 200, figurati. Ero un signore. Ma S. Casciano vicino a Firenzo, o no? Scelta fatta!


22 Sono entrato da Antinori e non ho pi cambiato fino alla pensione. Non bana-le!12 L8 maggio 1961 viene assunto dagli Antinori, dove lavora con passione come di-rettore tecnico per trentanni. Luomo che arriva dal Piemonte contadino inizia cos a lavorare con i nobili toscani. A questo punto ho trovato il modo di appassionarmi al vino, prima di tutto per non rendere il lavoro una condanna, seconda cosa mi piaceva la chimica; allora ho co-minciato a occuparmi di queste cose, di microbiologia, eccetera, eccetera. Dopo di che mi sono appassionato dello studio dei microbi, dei batteri da qui nata la predilezione per il vino. Ho passato tante notti a leggere le cose che mi piacevano. Molti leggono i romanzi, io leggevo i testi di chimica e di microbiologia. Dopo aver lavorato per anni per i prodotti finali del vino, liquori e grappe, finalmente Tachis inizia a occuparsi di vino. Dai laboratori delle distillerie si trasferisce nelle cantine: si butta a capofitto tra tini e filari, e presto arrivano i primi successi. Col senno di poi possibile affermare che non poteva essere pi fortunato: un pro-duttore ambizioso e un territorio che porta nellanima il seme della viticoltura. evidente come sia un connubio perfetto e nato nel momento migliore, quello tra Giacomo Tachis e la famiglia Antinori.13 Li accomuna tanto una spiccata vocazione alla lungimiranza e allinnovazione quanto un solido ancoraggio alle tradizioni del passato. Se da un lato Tachis non dimentica mai di fare un tuffo nella storia interrogando i libri, dallaltro la Famiglia Antinori ha un legame inscindibile con il passato: basta pensare che il loro nome legato al vino da pi di 600 anni. Sono la famiglia dei pi antichi vinattieri della Toscana14. Nel XVII secolo Francesco Redi ne immortal i successi nel suo Bacco in Toscana, con questi versi incredibilmente moderni: 12 Come Tachis stesso dice riferendosi alla propria carriera, il suo curriculum lineare: nel 1961 stato assunto dallazienda Antinori come direttore di produzione, e tale rimasto fino alla sua pensione nel 1992. 13 Se vero che dobbiamo principalmente agli Antinori la Rinascita del Chianti, anche vero che gli An-tinori hanno potuto realizzarla avendo un enologo come Giacomo Tachis. Cos come vero che Giacomo Tachis diventato lenologo pi importante dItalia, e la sua fama si estesa in campo internazionale, grazie alle possibilit che gli sono state offerte dagli Antinori e alla loro politica innovatrice. Come dire: gli Antinori trovarono lenologo ad hoc assumendo il giovane Tachis, e il giovane Tachis, piemontese di alba, diplomato allistituto Enologico di Alba, trov il produttore ad hoc scendendo in Toscana e accet-tando di vivere nel Chianti la sua carriera. in A. Santini, Chianti, amore mio, Franco Muzzio Editore, 2005, p. 201 14 Cfr. P. Nanni, Vinattieri fiorentini dalle taverne medievali alle moderne enoteche, Firenze 2003.


23 L daAntinoro in s quei colli alteri, Chan dalle Rose il nome, Oh come lieto, oh come Dagli acini pi neri Dun Canaiuol maturo Spreme un mosto s puro, Che ne vetri zampilla Salta, spumeggia, e brilla! E quando in bel paraggio Dogni altro vin lo assaggio, Sveglia nel petto mio Un certo non so che, Che non so dir segli O gioia, o pur desio: Egli un desio novello Novel desio di bere, Che tanto pi saccresce Quanto pi vin mesce. Il tuffo nel linguaggio universale e senza tempo della poesia ci riporta direttamente al racconto della vita di Giacomo Tachis, sempre impregnata di terra, cultura, al-chimia, musica ed arte. Nel 1961 Tachis fu ingaggiato da Niccol Antinori, un uomo che ha sempre ammira-to. Lo descrive con la voce rotta dallemozione: un grande uomo, galante, sensibile, molto intelligente e lungimirante. Un uomo che stato capace di farlo ricredere su ci che il mondo del vino rappresentava ai suoi occhi ancora acerbi e inesperti: A me non piaceva il mondo del vino, un mondo di contadini, un mondo di ricchi, che oltre i soldi non avevano niente. Andavano allestero solo perch i genitori li mandavano a prendere il titolo di enologo, ma in testa non avevano niente. Quando Tachis arriv nellazienda degli antichi vinattieri fiorentini, erano anni dif-ficili quanto effervescenti per il vino italiano. Era ancora lepoca del romantico fia-sco, ma il Chianti godeva di una reputazione vicino allo zero. Il mondo del vino attraversava una profonda crisi economica, con i giovani che fug-givano in citt per cercare maggior fortuna e scappare dalla miseria delle campa-gne, e i vecchi proprietari erano schiacciati sotto il peso dei debiti15. Molte aziende agricole furono abbandonate e comprate a prezzi stracciati da imprenditori allavanguardia dalle origini pi diverse16. 15 Tante vicende, belle e meno belle: negli anni Sessanta, per esempio, la media e grande propriet attravers momenti difficili in cui valut seriamente la convenienza della coltura della vigna, sia per i co-sti di gestione, sia per la crisi di mercato, che per la concorrenza straniera nei confronti dei nostri vini, i quali si presentavano al gusto del consumatore internazionale con serie incertezze qualitative. in G. Tachis, La vite e il vino dalle origini ai nostri giorni, Regione Toscana Dipartimento dello Sviluppo Eco-nomico, 2000 16 cfr. G. Tachis, I vini nuovi, in Z. Ciuffoletti (a cura di) Storia del vino in Toscana. Dagli etruschi ai nostri giorni, Edizioni Polistampa, Firenze 2000.


24 La mezzadria era scomparsa17 e la campagna richiedeva una profonda ristruttura-zione. Tutto ci che fino ad allora aveva voluto dire produrre vino doveva essere rivisitato e ripensato. Era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e vestirsi dumilt per produrre nuovi vini realmente richiesti dal mercato. Sotto la spinta di ingenti inve-stimenti ogni singolo bullone della macchina di produzione del vino fu sostituito. Sono quindi anni di ricerche ed esperimenti, trascinati dalla frenesia del mercato ma con il ritmo della calma e della pazienza che il vino esige. Quando Tachis arriv nella campagna toscana, non era il solo a muovere i primi passi della professione. Infatti in quegli stessi anni Niccol Antinori cominci a in-trodurre nellazienda il figlio Piero, fresco di laurea in economia e commercio, che presto avrebbe preso il suo posto. La personalit di Piero Antinori rispecchia quella del padre: dinamico, sensibile, intelligente, dallo spirito innovativo e innamorato del vino. Tachis ne ha sempre lodato il palato fine. Cos, durante gli anni 60, tutti e tre cominciarono a lavorare in sincronia per cerca-re di trasformare il vino in un prodotto di qualit capace di sfondare i confini nazio-nali. Girarono il mondo, viaggiando soprattutto in Francia, Germania e Stati Uniti, per ve-dere e assaggiare ci che i produttori stranieri producevano. Sapevano che limmagine del Chianti era ormai deteriorata e non riusciva a compe-tere con quei mercati esteri. Quello di allora era un vino rosso leggero e con aromi fugaci che piaceva ai toscani ma non era in grado di affrontare la concorrenza fran-cese18. Dopotutto si ignoravano ancora i segreti pi nascosti della struttura del vino. Botte vecchia fa buon vino non era solo un detto, ma pratica quotidiana nella produzione di un vino nato da un mix di uve bianche oltre che rosse, e invecchiato in enormi botti di slavonia. Larretratezza tecnologica pesava sulle spalle dei pro-duttori e inevitabilmente sulla qualit finale che troppo spesso si dimenticava pun-tando solo sulla quantit. Inoltre le conoscenze in microbiologia erano ancora scarse e il ruolo dellenologo nella maggior parte dei casi si limitava a dover assicurare la stabilit del vino in bottiglia, oppure vestito da santone gli si richiedeva di fare miracoli trasformando uve mediocri in grandi vini. Gli Antinori volevano produrre un vino di nuovo concetto ed erano consapevoli che il difficile passo da compiere era quello di costruire una nuova cultura enologica. 17 Il volto della viticoltura toscana mut drasticamente dopo la seconda guerra mondiale, quando co-minci ad essere smantellato lormai vecchio sistema della mezzadria. Dal XVI secolo ogni grande a-zienda era stata divisa in varie piccole fattorie, ognuna curata da una famiglia. Il proprietario provvedeva allinvestimento finanziario, comperava le sementi, gli attrezzi e quantaltro serviva, mentre i contadini contribuivano con il loro lavoro. Ogni coltivazione, olivo, grano e vino, era divisa tra il proprietario e i suoi mezzadri, i quali potevano vendere quanto sopravanzava alle loro necessit. Una villa padronale, le case dei contadini e la cappella formavano una comunit autonoma. In caso di assenza del proprietario, lazienda era spesso condotta dal suo fattore, una posizione che spesso passava di padre in figlio. La fattoria toscana dallinizio del nostro secolo costituiva un esempio di agricoltura di sussistenza autosuf-ficiente. R. George, Chianti e gli altri vini della Toscana, Idealibri, Milano 1991, p.33 18 cfr. G. Tachis, op. cit.


25 Tachis luomo che con umilt e intuizione riuscito a tradurre in tecnica ci che loro desideravano, esprimendola nella teoria e su cui investivano ingenti somme di denaro. La carta vincente di questo trio formato da tre grandi uomini stato il sapersi met-tere in gioco e laver creduto fino in fondo a ci che stavano facendo. Hanno esplo-rato sentieri sconosciuti allItalia vitivinicola di allora nonostante il tanto scetticismo che li circondava. Sono stati anni di duro lavoro e profonda trasformazione dellazienda stessa. Nien-te poteva essere dimenticato dalla vigna alla commercializzazione delle bottiglie. Eravamo umiliati dallestero e c stata subito una reazione a cui ha corrisposto unazione innovatrice Cos i primi passi si fecero sulla terra, acquistandola e rivoluzionandola: ad esem-pio dalla coltura promiscua si pass ai vigneti specializzati, con una maggior densi-t di piante per ettaro, ma una resa pi bassa per ceppo. Poi fu la volta della cantina che venne trasformata sia nellarchitettura che nellapproccio. Infine non hanno mai dimenticato di curare con grande attenzione la commercializ-zazione dei loro prodotti, giocando molto sullimmagine che ogni singola etichetta portava, o poteva portare con s, come valore aggiunto. Questo quanto scrisse Tachis negli anni 70 in uno studio accurato sui vigneti to-scani, quando la rivoluzione era ormai innescata, e si potevano vedere i primi risul-tati di tanto lavoro: Oggi la Toscana produce pi vini di ieri e produce vini che esporta in grande quanti-t e che potr esportare ben di pi se i produttori riusciranno a migliorarne la quali-t, aggiornandola alle caratteristiche della richiesta internazionale. Un gran male dei Toscani lesasperato tradizionalismo in fatto di agricoltura. Oggi queste cose si sono comprese o stanno per essere comprese e quindi prende il via la ventata di tecnica innovatrice in campo di viticoltura e specialmente di enologia.19 Ripercorrendo i momenti significativi che hanno segnato il suo percorso lavorativo dagli Antinori, i pensieri di Tachis ritornano indietro nel tempo, proprio a quegli anni votati allinnovazione. Ricorda con piacere e con orgoglio la creazione della nuova cantina e cos la rac-conta: Quando sono arrivato cerano due capannoncini. Si facevano 800/900.000 bot-tiglie gi allora. Quando sono uscito se ne facevano 16 milioni. Allora abbiamo do-vuto costruire lo stabilimento nuovo. Ricordo che Niccolo Antinori mi disse: Tachis, un dovere civile che noi facciamo la cantina. Ci sono stati dei momenti bellissimi in cui mi sono dedicato anima e corpo. Continuando il viaggio nei suoi ricordi ci tiene a sottolineare come gli anni che ha trascorso nellazienda Antinori sono sempre stati piacevoli ed entusiasmanti, lavo-rando volentieri e con soddisfazione. Una professione che gli permetteva di studiare la chimica e la microbiologia e spesso gli consentiva di viaggiare, girando il mondo in lungo e largo, alla scoperta di nuovi luoghi e nuovi approcci allenologia. 19 G. Tachis, Studio sui vitigni in Toscana, San Casciano in Val di Pesa, 4 Aprile 1979


26 Poi il suo sguardo si illumina e mi racconta con trasporto del suo incontro con Pe-ynaud. Allinizio del percorso intrapreso, investito di un ruolo fondamentale dalla famiglia Antinori, pens che per raggiungere lobiettivo prefisso avrebbe avuto bisogno di un consulente, ma non uno qualsiasi: ne voleva uno molto pi bravo di s. Tachis, infatti, non si mai ritenuto un fuori classe e ha sempre avuto coscienza dei propri limiti. Fin da subito sapeva dove orientare la sua ricerca: Bordeaux. Cos chiese agli Antinori di poter andare alluniversit di Bordeaux per ingaggiare come suo consulente Ribereau-Goyon, il cui Trattato di enologia la bibbia di o-gni enologo: Marchese, io vorrei un consulente, ma lo vorrei bravo, molto pi bravo di me, altrimenti inutile cercare un consulente. Io vorrei Ribereau-Gayon. Gli Antinori capirono e accettarono la richiesta di Tachis, cos lo mandarono nella patria dei vini francesi con la missione di trovare il consulente perfetto. Una volta arrivato a destinazione Tachis non riusc a parlare con Ribereau-Guyon perch era allestero, ma il caso ha voluto che tra i corridoi delluniversit incon-trasse Peynaud. Del grande enologo francese Tachis gi ammirava le ricerche effet-tuate e i loro rapporti epistolari andavano avanti fin dai suoi studi allistituto di Alba. Quando lo incontr limpressione positiva che ne aveva e lammirazione che prova-va furono solo confermati, se non esaltati. La sintonia fra i due fu immediata: fin dalle prime parole che scambiarono capirono di viaggiare sulle stesse frequenze. Tachis gli raccont il motivo del suo viaggio, lo mise a conoscenza delle difficolt che lazienda Antinori incontrava e gli chiese: Professore vuol fare lei il consulente da noi? Peynaud accett subito linvito: Avec grand plaisir. Cos inizi la loro collaborazione: Tachis andava una volta ogni due o tre mesi in Francia, mentre Peynaud scendeva nel Chianti almeno una volta lanno. Oltre al rapporto lavorativo si instaur unamicizia vera e profonda fra i due enologi che ancora oggi emoziona Tachis e gli concede ricordi che lo fanno sorridere. Peynaud era consulente delle pi grandi aziende del mondo, tutti i nomi sopra la fantasia addirittura. Peynaud era un uomo altissimo, grande e grosso, mangiatore straordinario anche lui. Un giorno vado a Bordeaux, facendo scalo a Parigi, perch ancora non cera il colle-gamento diretto, e la valigia va a finire a New York. Sono arrivato a Bordeaux la se-ra e pioveva moltissimo, ma non avevo niente, allora Peynaud mi prest il suo im-permeabile (ride) che mi arrivava alle caviglie. A questo punto ai tre pionieri italiani del Rinascimento del vino si aggiunta la nota francese del grande Peynaud. I personaggi della storia sono scritti, non resta che rivivere la nascita dei nuovi vini che con il tempo hanno avuto ragione e hanno segnato il percorso della rinascita del vino italiano. 1.6 La nascita del fenomeno SuperTuscan Il 1968 rappresenta sicuramente un anno fondamentale tanto per la vita del princi-pe degli enologi quanto per il secondo Risorgimento vitivinicolo tutto italiano.


27 allora che, dopo linvito da parte degli Antinori, il giovane enologo si presenta alla porta del marchese Incisa della Rocchetta un po controvoglia, come Tachis stesso rivela. Un incontro colorato da qualche dissapore iniziale, da cui nasce una grande amicizia e il Sassicaia, il primo grande vino italiano in grado di competere con gli Chateaux doltralpe. Io mi sono occupato del Sassicaia mio malgrado, perch non avevo mica tanta vo-glia di occuparmi dei vini. Ho dovuto farlo. Poi siamo diventati grandi amici, soprat-tutto io e Niccol Incisa, il figlio di Mario. Lui era un orgoglioso, era un grande mar-chese, un vecchio marchese, un classico marchese. Fu proprio il vecchio Marchese Incisa della Rocchetta ad avere lintuizione madre della celebre etichetta con la stella doro a otto punte in campo blu. Non si pu, per, dimenticare di ricordare come oggi non avremmo il piacere di co-noscere quella bottiglia se due giovani contessine della antica famiglia dei Della Gherardesca non avessero fatto innamorare un Antinori e un Incisa della Rocchetta. grazie ai loro matrimoni che un vinattiere professionista e un vinattiere dilet-tante arrivarono in Maremma, a Bolgheri, quando ancora quel territorio non cono-sceva una vocazione enologica. I due sposi iniziarono le loro avventure enologiche in modo autonomo e individuale; infatti Antinori piant vigne da cui produrre un vino Ros di tutto rispetto, mentre Mario Incisa della Rocchetta si immerse in unavventura enologica innovativa, che cercava di rispondere a ununica esigenza: il proprio gusto. Il Marchese era piemontese dorigine, e piemontesi erano le radici del suo gusto: come poteva piacergli il Chianti? Troppo rissoso, come i toscani. Amava i grandi rossi di Bordeaux e per molti anni cerc di produrre con le sue vigne un vino per pochi (pensava agli amici) che fosse in grado di soddisfare il suo palato e di com-petere con la bevanda prodotta dallamico Barone di Rothschild. La sua avventura cominci nel 1944, piantando 1000 barbatelle di Cabernet Sauvi-gnon in una vallata a 350 mt. S.l.m nei pressi di Bolgheri. I risultati iniziali furono scoraggianti. Ne fece una prima etichetta nel 58 ma il responso del fattore e degli amici a cui ne offriva un bicchiere era sempre deludente: vino imbevibile, duro e scontroso. Al Marchese non rest che lasciare quelle bottiglie in cantina. Ben dieci anni dopo il figlio Nicol Incisa riprese in mano quelle prime bottiglie e con stupore la stoffa di quei vini fece nascere un entusiasmo dimenticato. I cugini Antinori, da imprenditori lungimiranti come sono, seppero cogliere la palla al balzo e decisero di investire proprio su quelloutsider prendendo in mano la parte commerciale e prestandogli il loro fiore allocchiello: Tachis. Eccoci arrivati al 1968 quando Tachis entra a far parte della leggenda del Sassi-caia. Allinizio gli si richiese solo una valutazione tecnica e una degustazione delle botti-glie dimenticate in cantina. Ne fece un blend di diverse annate, che le prime 3000 bottiglie con etichetta 1968 contenevano. nello spaccio aziendale lungo lAurelia dove i primi acquirenti poterono comprare quelle fortunate bottiglie.


28 Con il tempo Tachis ha iniziato a seguirne completamente il processo evolutivo dal-la vigna al vetro e non ne ha mai lasciato la consulenza, neanche quando lazienda Antinori usc dal progetto Sassicaia. Il Sassicaia infatti occupa un posto insostituibile nel cuore di Tachis. Sar perch Bolgheri un luogo stupendo, raccontato poeticamente dalle parole di Carducci. Sar perch lamicizia con il Marchese Niccol Incisa della Rocchetta vera e sin-cera. Sar perch il primo vero successo con la sua firma ed ha insegnato tanto al giovane enologo. insindacabile che il Sassicaia sia stato il vino pioniere di tante novit in vigna e in cantina che negli anni 60/70 potevano sembrare frutto di fantascienza o follia, mentre oggi sono la base dellenologia italiana: vigne specializzate non pi coltivate ad alberello ma con il metodo a cordone speronato, orientamento dei filari non pi a nord ma a sud, raccolta delluva anticipata, fermentazione a temperatura control-lata, fermentazione malolattica, invecchiamento nelle barrique e affinamento in bot-tiglia. Fin dalla sua prima uscita nel 1968 conobbe i favori del pubblico e nel corso degli anni leccezionale collaborazione Incisa Tachis ha introdotto miglioramenti che hanno permesso la creazione di un vero mito dellenologia. Un vino che pi di altri sa raccontare la propria leggenda, tra certezze e misteri, e sa essere portavoce delleccellenza italiana nel campo della vitivinicoltura. Un vino che nonostante na-sca da uve internazionali, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, capace di sus-surrare con i suoi profumi lessenza toscana della terra da cui proviene. Un vino, inoltre, che ha fatto scoprire un territorio fino ad allora sconosciuto: Bolgheri. Sono tanti i grandi vini nati proprio da quelle colline che guardano il mare, dopo il successo del pioniere Sassicaia: Grattamarco, Guado al Tasso, Masseto, Messo-rio, Ornellaia. Forti del successo riscosso dal Sassicaia i Marchesi Antinori decisero di seguire quella strada anche nel Chianti. Insieme a Tachis desideravano fortemente valorizzare quel territorio e iniziarono con la Tenuta di Santa Cristina. Lidea era di produrre un vino a base di Sangiovese che fosse capace di oltrepassare i confini nazionali, con un forte carattere tradizionale ma ridipinto nella modernit. Alla luce del fatto che lintento era limmissione nel mercato internazionale, evi-dente come il progetto fosse sostanzialmente diverso da quello del Sassicaia, volu-to, inizialmente, solo per soddisfare il piacere del Marchese Mario Incisa della Roc-chetta. E un progetto nato perch eravamo stufi di sentirci dire che i vini italiani non vale-vano nulla. Ci prendevano quasi a pesci in faccia tanto il Chianti di allora era de-gradato. Il percorso che seguirono per poter raggiungere lobiettivo prefisso richiese anni e un totale cambio di rotta rispetto al prodotto tipico di quella zona, fregandosene dei disciplinari e della ricetta20 del Barone di Ferro, Bettino Ricasoli. Questa scelta 20 Nel 1841, Bettino Ricasoli, dopo molti studi e sperimentazioni effettuate nella Tenuta di Brolio, divul-g la composizione che gli sembr pi idonea per i vini del Chianti: 70% Sangioveto, 15% Lanaiolo, 15%


29 nasceva dalla consapevolezza che quel vino rosso a pronta beve, frizzante e sim-patico non soddisfaceva il gusto internazionale. Dopo una prima uscita nel 1971 come Chianti Classico fecero la scelta coraggiosa di eliminare completamente dalluvaggio (previsto dal disciplinare) le uve bianche. Fu cos inevitabilmente declassato a vino da tavola. Unaltra carta fino ad allora insostituibile del Chianti fu rimpiazzata: il governo. Tachis, infatti, ne segu attentamente la fermentazione malolattica che conosceva bene grazie allesempio francese e californiano. Fecero riposare il vino in piccole botti di rovere francese (le cosiddette barriques) poi affinato in bottiglia. Quando a tavolino si trovarono di fronte alla scelta del nome da donargli, per valo-rizzarne la territorialit puntarono al toponimo del vigneto stesso. Nel 1971 il risultato quello che oggi conosciamo: il Tignanello, una miscela di Sangiovese e Cabernet. Un nome sufficiente ad evocarne il successo. Il vino che come pochi altri suoi con-temporanei ha saputo tracciare la strada del rinascimento enologico e che gli ame-ricani hanno chiamato con indubbia efficacia Super Tuscan, cercando di rimediare al solito pasticcio allitaliana che lo considerava, per i disciplinari allora in vigore, un semplice vino da tavola. Oltre oceano riscosse, infatti, fin da subito un gran successo. In Italia invece non tutti applaudirono a quella creazione, non compresa fin dallinizio e accusata di offuscare la tradizione toscana. Poi con il tempo diventata una vera e propria ispirazione per un numero sempre maggiore di vini che ne hanno seguito la scia. Tra i primi fautori di quelletichetta si ritrova il grande Veronelli, luomo che ci ha in-segnato a saper bere il vino e amarlo come espressione della civilt di un paese. A questo punto era il momento e la volont cera di immergersi in una nuova avven-tura. Lidea era di creare un Super Tignanello. Cos nel 1978 fece la sua prima appari-zione nel mondo del mercato enologico il Solaia, con proporzioni opposte alla botti-glia ispiratrice, il 20 per cento di Sangiovese e il resto di Cabernet, ma con metodi di vinificazione molto simili. Dopo quattro anni di assaggi ed esperimenti nel 1982 esce con la composizione che ancora oggi conosciamo e che le ha regalato un suc-cesso unico: 75% Cabernet Sauvignon, 5% Cabernet Franc e 20% Sangiovese. Nel 2000 il Solaia 1997 stato protagonista di un duplice primato che rimarr nel-la storia: stato eletto come miglior vino dellanno dallautorevole rivista Wine Spectator ed stato il primo vino italiano a sedersi sul gradino pi alto di quel po-dio tanto ambito. I degustatori-giudici di Wine Spectator hanno definito il Solaia 97 come indimen-ticabile e per le loro scelte hanno tenuto conto di quattro criteri: qualit, prezzo, produzione e un fattore x, definito eccitazione. A questo punto sarebbe facile accusare Tachis di tradimento alla tradizione tosca-na. Malvasia. I disciplinari del secolo successivo prevedevano la possibilit di far entrare nelluvaggio anche il Trebbiano, fino a consentirne una presenza pari al 30%. Cfr. A. Santini, op. cit.


30 Ad una rilettura superficiale la presenza di uve internazionali (Cabernet) in questi grandi vini, lutilizzo di metodi in cantina come la fermentazione malolattica e linvecchiamento in barrique al posto del governo e delle grandi botti di slavonia potrebbero essere facili bersagli di critiche di esterofilia. Non si pu trascurare di vedere ci che veramente . Proprio grazie a quelle novit in vigna e in cantina, Sassicaia, Tignanello e Solaia sono vini che hanno saputo e sanno raccontare la Toscana. Forse vero che portano con s limmagine di una regione un po diversa da quella del Chianti fino agli anni 60: hanno fatto conoscere una Toscana innovativa, a passo con i tempi, multiforme e con peculiarit tanto forti da rendersi riconoscibile attraverso vitigni nuovi. Un esempio? Quale vino pi del Sassicaia ha saputo rivalutare un territorio? Oggi tutto il mondo conosce Bolgheri grazie a quella bottiglia che ha fatto il giro del pianeta. La Costa degli Etruschi vive un presente economico florido, che 30 anni fa sembrava impossibile, grazie ai tanti investimenti fatti sulle sue terre per piantare e specializzare nuovi vigneti per produrre vini di qualit apprezzati in tutto il mondo. , inoltre, sempre pi meta di turisti italiani e stranieri che vogliono vedere e assapo-rare il profumo riconoscibile in ogni goccia del suo sangue. Basta unocchiata per veder come Solaia e Sassicaia abbiano una composizione di uve molto simile, ma sufficiente un sorso per capire che sono due vini completa-mente diversi, perch capaci di ricordare nel gusto e nel profumo due territori di-stinti: Bolgheri e il Chianti. inutile soffermarsi troppo su ci che c scritto sulletichetta quando il valore di una bottiglia la si pu scoprire solo ed unicamente degustando quel liquido che contiene. Oggi si sente tanto parlare di Terroir come mix di tradizioni, cultura, clima, storia che un territorio porta con s e che si ricerca nei vini figli di quello specifico territo-rio. Questo Tachis lo insegna. Ogni sua creazione viene concepita prima di tutto in una attenta rilettura del territo-rio nel passato e nel presente e con la consapevolezza che la tradizione non deve essere sinonimo di immobilismo, ma riletta in chiave moderna. Solo cos la tradi-zione stessa diventa il vero strumento dellinnovazione. Daltra parte, come ha scritto Carlo Cambi in modo magistrale, la strada maestra valorizzare le nostre identit-diversit, perch in un mondo che tende a omogeneiz-zare occorre pensare s globale, ma agire locale.21 Dopotutto il primo segno di rispetto la conoscenza profonda di ci che si vuol pla-smare. 1.7 Vecchi e nuovi prodotti toscani Il risultato del lavoro di Tachis in Toscana non stato solo la nascita di nuovi pro-dotti enologici, ma, anche, la rivalorizzazione dei pi tradizionali. 21 C. Cambi, Tachis, la mia guida degli autoctoni, in Il Sommelier Italiano, Luglio/Agosto 2003


31 Al prodotto toscano per eccellenza Tachis ha riservato infinite attenzioni: il Vin San-to. Un vino a cui ha dedicato un testo appassionante, romantico e tecnico allo stesso tempo22. Non ha saputo resistere al fascino delle leggende che lo circonda. Gi il nome, Vin Santo, oggetto di contesa storica. Non esiste bevanda che pi del Vin Santo sappia rappresentare la Toscana e le sue identit plurali, sociali e territoriali. Un vino misterioso e affascinante come la terra stessa che rappresenta, difficile da definire una volta per tutte, perch caratterizza-to da variet di colori, uve e percezioni sensoriali. Tachis lo descrive cos: il vino dellospitalit, dellamicizia, della cortesia e in pi il vino di tutte le ore del giorno. Chi, in Toscana, non offre infatti un bicchierino di Vin Santo ad un ospite, ad un a-mico?23. Un vino che oggi apprezza ancora pi perch nel mare dellarroganza, del rumore e della falsa eleganza della societ attuale capace di esprimersi con forza attraver-so una semplicit troppo spesso dimenticata. Con parole recenti cos lo racconta: Il Vin Santo ha unanima acuta e vasta che non si arresta ad ogni episodio, ad o-gni evento enologico, ma avanza sempre. Esso si stanca della stordente attualit vitivinicola, delle produzioni gigantesche e pubblicizzate, rumorose Si avvicina al grande perch grande in umile semplicit.24 Quando ho letto queste parole mi ha sorpreso come tutti gli aggettivi usati per con-notare il Vin Santo siano gli stessi che userei senza paura di sbagliare per raccon-tare chi Giacomo Tachis oggi. Forse se per gioco gli chiedessi quale vino sarebbe se nascesse come tale direbbe proprio il Vin Santo. Basterebbe ricordare cosa scrisse Cecco da San Salvi nel 1879 per descrivere locchio di pernice, uno degli ingredienti pi tradizionali e capace di produrre vino spritoso da navigazione. Quel nettare degli dei, dolce o secco che sia, portavoce di una toscanit vera, maturata nei secoli nei singoli nuclei familiari pi per diletto che per imprenditoriali-t. Infatti, nonostante conosca una tradizione di secoli, a partire dagli anni 70 che si riscoperto il gusto di produrne di qualit grazie alla necessit di individuare alternative destinazioni per luva bianca di Trebbiano e la Malvasia eliminate dalluvaggio dei vini rossi toscani di nuova generazione. Laudace scelta di abbandonare la ricetta del Barone Bettino Ricasoli del Chianti Classico, di cui Tachis il promotore, ha avuto come conseguenza ulteriore anche una novit, ancora una volta nata dallesigenza di riconvertire la funzionalit di quei vigneti colorati da acini candidi, sotto forma di un nuovo prodotto toscano che si 22 G. Tachis, Il Vin Santo in Toscana, Ci. Vin., Siena, 2003 23 Ivi, p. 11 24 G. Tachis, Presentazione del testo, Il Vin Santo ad Arezzo tra tradizione e innovazione, Provincia di A-rezzo, 2007. Dal 2003 al 2006 Tachis ha infatti partecipato con entusiasmo al progetto sperimentale, con gli enologi Federico Staderini e Giorgio Marone, voluto e finanziato dalla Provincia di Arezzo e dalla Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura di Arezzo.


32 affacciato nel mercato enologico degli anni 70: il Galestro, che prende il nome dal tipico terreno roccioso della Toscana centrale. Un vino bianco leggero e neutro, la cui principale uva il Trebbiano seguito da Ca-naiolo e Malvasia, prima, appunto, utilizzate quasi esclusivamente per il Chianti Classico. A differenza dei SuperTuscans ha conosciuto maggior fortuna in Italia che fuori dai confini nazionali, forse perch, anche se colorato di bianco, ricorda il gusto di quella bevanda servita per decenni nel fiasco. Nel tempo ha poi raggiunto livelli di ottima qualit grazie ai miglioramenti nelle pra-tiche di vinificazione. Cos, grazie a quella scelta in favore di vini rossi pi corposi, anche luva bianca ha acquistato una precisa personalit e ha individuato un suo esclusivo e nuovo pro-cesso evolutivo. E, come ha detto Aldo Santini nel suo testo Chianti, amore mio: il Galestro, richiamando sotto linsegna delle sue etichette tutto il Trebbiano, ingenti-lendolo magari con altre uve, salv letteralmente il Chianti rosso.25 Sempre in quegli anni turbolenti e frenetici Tachis stato lartefice di unaltra inno-vazione nel panorama dei prodotti enologici toscani26: il Novello. I viaggi in Francia, le continue ricerche e gli studi relativi alla produzione dei cugini doltralpe hanno infatti stimolato molte delle novit introdotte nelle cantine toscane dal principe degli enologi. Proprio al ritorno da un viaggio in Francia alla scoperta del Beaujolais noveau nel 1975, Tachis propose e decise con Antinori di affrontare una nuova sfida. Dopo i successi planetari dei grandi vini rossi invecchiati volevano offrire una giusta alternativa agli amanti del nettare degli dei. Una novit che esaltasse i sapori au-tunnali, un ritorno alla tradizione, ai frutti del bosco, ai funghi, alle more di rovo e alle ballotte: il Novello. Non ci sono parole migliori di quelle di Tachis per descriver-ne lessenza: Vino novello: sapore di primo autunno, anticipo di caratteri e colori della nuova vendemmia. Attesa tentazione al liquore di Bacco di primo fervore Ti-pologia di vino alla carpe diem, che genera emozioni subitanee, che piace al con-sumatore e che va bene al produttore. Tipologia di vino che non vuole essere il vino nuovo, ossia linizio, il rampollo di generazione tradizionale, ma a s stante: gene-razione novello.27 Certo Tachis non poteva rimanere a guardare i francesi produrre quel vino che per un suo corretto processo evolutivo richiede una meticolosa attenzione alla microbio-logia, la scienza che ha sempre amato. , infatti, possibile produrre il novello grazie alla macerazione carbonica che esige di essere controllata passo dopo passo. San Giocondo di Antinori: ecco la risposta alloligarchia doltralpe. Ancora adesso uno dei vini novelli pi stimati in Italia. Il San Giocondo stato lapripista di un nuovo mercato enologico, vergine e promet-tente. Nuovo a tutti gli effetti perch conosce una logica e dei tempi completamen-te diversi. Immesso sul mercato quando ancora i mosti dei vini sono in fermento 25A. Santini, op. cit. 26 Negli stessi anni Gaya, un grande imprenditore-enologo, faceva lo stesso nel Piemonte. 27 Fonte www.vinonovello.it


33 nei chiassosi tini, deve essere bevuto nel giro di sei mesi, ed prodotto in quantit predefinite. Mi spiego meglio: si basa su prenotazioni di anno in anno, cos che gi lanno prima della sua produzione le aziende vinicole sanno quante bottiglie confe-zionare per gli ordini ricevuti. N pi n meno il sogno di ogni industriale: produrre su commissione. Un successo su tutti i fronti. E poi le bollicine Tachis e Antinori non si accontentarono di far nascere dalle proprie botti grandi e piccine vini rossi giovani e invecchiati, ros, bianchi di nuova generazione, novello e Vin Santo. Nelle cantine toscane, infatti, unaltra novit fa la sua entrata grazie allintuito di Tachis: il metodo nature per produrre spumanti. per difficile scoprire o farsi raccontare da Tachis qualcosa in merito perch un ricordo troppo pesante da sopportare si ripropone allenologo. Come mi ha raccon-tato con le lacrime agli occhi e le parole cadenzate da pensieri gravi: Nel 68 croll il capannone dove producevamo gli spumanti. Crollando ha schiac-ciato 8 operai. Due di loro erano padre e figlio, lavoravano insieme negli spumanti. Il figlio morto. Episodi.! 1.8 In Toscana oltre la porta dellazienda Antinori Per ora ho parlato di Giacomo Tachis e della casa vinicola Antinori. Ma, oggi, basta unocchiata agli scaffali delle enoteche per accorgersi che tanti produttori hanno seguito quellesempio. Lofferta di Super Tuscan, di Galestro, di Novello eccetera, eccetera sempre pi ampia e variegata. Talvolta le aziende hanno saputo inter-pretare quelle novit nella direzione giusta e il nostro palato gode, altre volte, per, ci troviamo di fronte a bottiglie che vogliono portare nomi che creano aspettative disilluse. , comunque, inequivocabile quanto quelle novit introdotte dal fruttuoso matrimo-nio Tachis-Antinori abbiano giovato alla Toscana vitivinicola, tracciando la strada da seguire per una vera e propria rinascita. Finalmente un mercato che fino ad allora sembrava conoscere una sola direzione ha scoperto di avere le capacit (e che ca-pacit!) per avventurarsi anche in nuove realt. Riconoscendogli lalto valore che gli appartiene tante volte la Regione Toscana ha cercato Tachis, lha consultato e inviato in giro per il mondo come fiore allocchiello, come portavoce della regione stessa. stato membro del Comitato Vitivinicolo Regionale della Toscana. Tra laltro Tachis in Toscana non ha vissuto solo tra le mura Antinori. Anche se fino al 1992: Consulenza ad altre aziende? No! No! Facevo consulenza alle aziende che ci davano il vino per farlo meglio, cio per farlo come andava bene a noi. Se meglio o peggio non lo so. Durante il suo rapporto con gli Antinori, infatti, Tachis ovviamente non poteva fare consulenza a aziende in competizione diretta con la famiglia. Ma cos ampio il circuito Antinori tra parenti impegnati sempre nella produzione del vino e aziende che indirettamente appartenevano alla grande firma. Questo il motivo per cui


34 lenologo ha fatto consulenza a numerose altre case vinicole. Un esempio su tutti lo stesso Sassicaia. Era il 1979 quando inizi a collaborare con Alceo di Napoli, cugino degli Antinori, nelle sue tenute del Castello dei Rampolla, a Panzano in Chianti. Insieme crearono il blasonato Sammarco. Ancora oggi legato alla famiglia dei principi Di Napoli Rampolla per un affetto di amicizia con il Dott. Alceo Di Napoli Rampolla. Poi ha collaborato con Castellin Villa, della Principessa Coralia Pignatelli della Leo-nessa. Poi con la tenuta di Argiano in Montalcino della Contessa Noemi Marone Cinzano. Eccetera, eccetera. Altre volte gli Antinori hanno saputo chiudere un occhio, lasciando che il loro enolo-go potesse aiutare altri produttori quando si fosse dimostrato sinceramente inte-ressato a nuove esperienze. Cos stato, ad esempio, per la collaborazione di Tachis con lazienda vinicola Fal-chini di San Gimignano. Una collaborazione nata per amicizia, come racconta Tachis stesso: Riccardo Falchini un impresario edile e un giorno lho conosciuto perch con il marchese Antinori gli si chiese di costruirci un capannone. Lui ci disse di non avere tempo per i troppi impegni di lavoro, per mi rimasto simpatico e siamo diventati amici, lui aveva gi la fattoria, e dal rapporto umano da cosa nasce cosa. cos che abbiamo cominciato a produrre insieme. nato un rapporto di amicizia tra le famiglie, e la Pasqua di Falchini diventata la Pasqua di tutti noi. Non esiste Pasquetta che non si vada a pranzo da loro. Questo importante! Da unamicizia nata la collaborazione, e da quella collaborazione nato un gran-de rosso (in prevalenza Cabernet accompagnato da una minima percentuale di Mer-lot): Il Campora. Quando Tachis arriv nelle vigne Falchini, nonostante quella fosse terra di Vernac-cia, si accorse subito delle enormi potenzialit che quel territorio aveva per la pro-duzione di un vino rosso di spessore: vigne esposte benissimo, in una vallata stu-penda da cui si possono vedere le affascinanti Torri di San Gimignano. Iniziarono subito a piantare filari di Cabernet, venne migliorata la cantina e il risultato labbiamo gi detto, Il Campora28. Facciamo un salto di anni e arriviamo al 30 aprile 1992, il giorno in cui Tachis si regala e stappa in solitudine una bottiglia di Cartizze29: voleva festeggiare la sua storia in Antinori, la costanza, i successi e soprattutto laver mantenuto quella pro-messa fatta ben 15 anni prima: Io andr in pensione il giorno del mese e dellanno in cui mi maturer la pensio-ne. 28 Carlo Cambi, nel suo testo Il buon vino, non dimentica di parlare con piacere di questo enorme vino, e descrive lo stesso Riccardo Falchini con parole precise e azzeccate, che mi hanno fatto rincontrare quelluomo affascinante: Riccardo Falchini un self made manuno che si sudato la vita con unimpresa edile sulle sue spalle un uomo gentilissimo per quanto timido. Ama il vino e la terra, curioso di tutto unisola di vera umilt. 29 B. Donati, Giacomo Tachis, enologo corsaro, Terra Ferma, Vicenza 2005.


35 Infatti: Io stavo benissimo dagli Antinori, ma avevo sempre questo spirito di di-pendenza. Allora, 15 anni prima dissi allAntinori: Marchese si ricordi bene che mancano ancora 15 anni, ma, se io andr bene a voi e voi a me, il giorno in cui mi scade la pensione io vi saluto, me ne vado subito. Non per snobbare lei, ma perch non ho pi voglia. Sono stato di parola con me stesso, eh? Detto fatto! Senza, peraltro, concepire la pensione come non lavoro, ma solo come lavoro non stipendiato. Con quel Cartizze ripercorre 30 anni vissuti tra vigne e cantine Antinori, e si fa una promessa solenne: mi promisi davanti allo specchio, senza testimoni, di non fare consulenza da Firenze in su. Una cosa seria! Ebbi offerte dalla Cinzano, da Fontanafredda, dalle Generali, da tutti i nomi impor-tanti, ma non ho mai accettato. Ho detto: piuttosto faccio consulenza gratuita a un contadino del sud ma non vado al nord. Quando pensava a quella pensione che lo aspettava non sapeva quale nuovo per-corso avrebbe intrapreso. Si sarebbe finalmente dedicato alle sue letture? Con il sorriso racconta che proprio quella era la sua intenzione. Ma la reale oppor-tunit che nacque quel 30 Aprile stata il gestire autonomamente, come meglio desiderava, la professione. Essere un uomo libero da contratti e firme. Enologo e enologo rimane. Cos da quel giorno Tachis inizi a vestire completamente i panni del consulente esterno muovendosi a ritmi frenetici tra cantine toscane e non. Proprio in Toscana ha cominciato a dedicarsi con anima e corpo a quei luoghi che gi da tempo studiava e osservava: la Maremma e il suo Arcipelago. In quel territorio ha collaborato con numerose aziende tra cui lazienda agricola Al-berese. Il simbolo di questa cooperazione un prodotto che oggi conosce un cla-moroso successo: il Barbicato (85% San Giovese e 15 % di altri vitigni autorizzati nella zona: Shiraz, Merlot, Cabernet Sauvignon). Un Morellino di Scansano, che mostra la sua bottiglia con orgoglio sia su scaffali di supermercati e che sotto la luce pi calda delle enoteche e vede il suo nome luccicare in carte dei vini di risto-ranti pi o meno blasonati. Sempre in Maremma ha lavorato nellazienda Le Pupille del professor Augusto Gen-tili e di Alfredo Gentili30. Ha voluto toccare le terra, conoscere il profumo e ascoltare il cuore di questaffascinante frammento di Toscana. Per loggi e il domani Tachis punta il dito e crede fortemente in un futuro enologico di qualit e successo proprio in Maremma, la patria del vino toscano. Perch l che nata la progenitrice del Sangiovese: i vigneti, insieme alle altre colture, conferiscono un aspetto ridente, solare, invitante, ad un paesaggio che re- 30 Proprio Gentili stato tra i primissimi a produrre il Morellino di Scansano, il fondatore si pu dire.


36 ca con s la storia mitica di un passato talvolta ancora presente come nella vite e nel vino Ma non solo questo ad accendere la sua curiosit e bramosia di conoscenza. Tutto sembra acquistare una seduzione particolare agli occhi di Tachis se nella car-ta di identit c scritto Maremma, nome il cui suono affascina quanto la terra che rappresenta. I fattori naturali, oltre che culturali, necessari per poter fare grandi vini sono presen-ti al completo: i profumi del Mediterraneo, la luminosit, il sole, le correnti marine e di montagna. E certo non mancano anche produttori professionisti e appassionati. Tutti elementi che concorrono a far pensare ad un futuro sempre pi roseo dellenologia maremmana, capace di produrre grandi vini rossi che ne sappiano tra-sportare tutta la magia del territorio. Per poter arrivare a questo traguardo Tachis ha pronta una ricetta: puntare alla semplicit Nel Chianti dice prevale ormai spesso la ricerca della bottiglia im-portante, dimenticando che, a volte, le cose migliori sono quelle pi semplici.31 e insegna che bisogna saper respirare laria della storia perch il futuro del vino nella tradizione e nella storia, seppure in edizione moderna. Oltre la costa, nelle acque del generoso Tirreno ci sono delle splendide isole che regalano pittoreschi paesaggi, caratterizzati da rocce, insenature, onde e vigneti che guardano il mare. Tachis non ha mai dimenticato di buttare lo sguardo oltre quel mare per toccare lo stupendo arcipelago toscano. La certezza che quelle iso-le producono e possono produrre grandi vini rossi e bianchi a cui non manchino pro-fumo, sapore, struttura e colore. Il sole e il clima costiero sono fattori indiscutibili che donano alluva che nasce dalle terre insulari un carattere forte e da ricercare. Dopotutto la vigna una pianta mediterranea e per la sua evoluzione nessun eco-sistema migliore dellisola. Forte di questa consapevolezza Tachis molte volte si fatto portavoce di una ri-scossa possibile e irrinunciabile del vino dellElba e delle sue sorelle. Il carattere delle isole talmente deciso da conferire al vino la forte essenza della propria per-sonalit. unidentit cos pronunciata che viene trasmessa con energia alluva custodita su quelle rocce di terra in mezzo al mare. Uva, quindi, che non ha paura della solitudine e nella bottiglia non ricerca la compagnia di vitigni internazionali. Una su tutte: lAnsonica. I vini delle isole vanno difesi: la loro identit vuol dire conservare un patrimonio va-rietale, genetico e vuol dire continuare la storia della vite e del vino. Luva delle iso-le armonia ed il vino pieno di profumi. La vite mediterranea ed il prodotto che nasce dalle isole un vino di isole e di mare. E poi nelle isole ci sono delle rarit, che sono il vero patrimonio della storia enologica32. Se essere isola talvolta ha voluto dire essere dimenticati dalla realt continentale nei programmi di rivalutazione di enti pubblici e privati, quellisolamento stata an-che una fortuna perch ha permesso di conservare vitigni locali altrove ignorati. 31 Giacomo Tachis rivela i segreti del miracolo dei vini di Maremma, in La Nazione, 17 Dicembre 2006. 32 Salvaguardare la viticoltura eroica ed umana delle isole del mediterraneo, in www.winenews.it, 6 Otto-bre 2000


37 1.9 La sua isola della natura Quanto Tachis ami il mare non quantificabile. I miti, le leggende, la storia che il Mediterraneo custodisce tra le sue acque sono sempre state per lenologo un ri-chiamo irresistibile. Come lui stesso spesso ricorda, ironizzando ancora una volta sul suo personaggio, ama le isole e il mare ma come corsaro ha i suoi limiti perch non ha mai imparato a nuotare. Si accontenta cos di lunghe camminate sulle rive che gli regalano emozioni insostituibili, di quelle che ha saputo mettere nel suo scrigno pi profondo, per poi tirarle fuori sotto forma di ispirazione e intuizione, dando vita a storie di profumi e sapori sempre nuovi. Unisola che nasce dai fondali del Mediterraneo, e sa di Mediterraneo, con la sua macchia, i suoi colori, le dune e le onde ancora libere di trasportare legni levigati da miglia e miglia di mare, la consistenza unica del granito, quasi paragonabile alla te-stardaggine degli abitanti, lha ammaliato e affascinato fin dai primi incontri: la Sar-degna. Lha battezzata isola della Natura perch capace di risvegliare quel rapporto u-nico e intimo delluomo con la natura che oggi tra asfalto, cemento e tanta tecnolo-gia abbiamo dimenticato. Custodisce luoghi vergini, dove la natura fa da padrona soprattutto nel sud dove si pu conoscere la vera anima dellisola. Chiunque ha detto Tachis – abbia avuto la possibilit di aver gioito del paesaggio della costa sarda nei pressi di Teulada, pu ritenersi veramente fortunato. Il mix di aria, sabbia, luce, mare, forme dei colori, che qui ci colgono in un impatto straordi-nario rendono questo percorso assolutamente incantevole. Unisola che sa di Tachis. Anche lantica leggenda della nascita della Sardegna un mito frammisto di terra, mare ed ironia, proprio come piace allenologo. Si racconta che il Creatore stesse osservando la sua opera quasi compiuta, quando lo sguardo cadde su un mucchio di terra avanzato, caduto in mare per caso, dove il mare stesso appariva meraviglia. Allora il Creatore decise che quel figlio del destino diventasse testimone della sua opera e ci pos sopra il piede sinistro, dando origine alla perla del Tirreno, che ri-sponde al nome Sardegna. Spinto dalla grande sensibilit e dal contatto con Madre Natura che lo contraddi-stingue, quando torna nel continente Tachis avverte immediatamente la mancanza di quel piede sinistro. Per attenuare il mal di Sardegna nel suo giardino tra le colline toscane ha pianta-to uno splendido cespuglio aromatico di mirto, che con lodore risveglia il ricordo e addolcisce la malinconia. Tanto tempo ha trascorso in questa isola unica e scenografica, scoprendone angoli nascosti al turista sprovveduto, attento solo alla moda e al luccichio della falsa fa-vola della Costa Smeralda. Ma andiamo avanti per passi: la prima volta che Tachis andato in Sardegna sta-to spinto dalla passione per larcheologia. Non ha saputo resistere al richiamo delle leggende e dei misteri intrisi nei preistorici nuraghi. Per questo motivo giungo in Sardegna alla fine degli anni sessanta, per vedere Domus de Janas e i nuraghi. Ne approfitto e visito la cantina sociale di Tortol dove trovo delle uve veramente ecce-zionali.


38 Poi, allinizio degli anni 80 Antonello Pilloni, il presidente della cantina Santadi, lo cerc e gli chiese di essere loro consulente per aiutarli nellopera di trasformazione e crescita di quel territorio. Fu subito entusiasta allidea di poter lavorare in quella terra splendida e profumata. Il contratto monomandatario che aveva con gli Antinori lavrebbe potuto mettere di fronte a una scelta impossibile. Lo ricorda bene il giorno in cui and da Piero Antinori per riferirgli della proposta sarda. Avevo un contratto esclusivissimo con gli Antinori: ero un dipendente. Un giorno, per, ad un certo momento della vita, mi vennero a cercare dalla Sardegna. Allora dissi a Piero: Guardi Marchese, io avrei questa offerta, mi chiedono una consulenza. Piero mi rispose Ah! Mi complimento con lei!. Loro mi chiederebbero di andare l 2 o 3 volte al mese, il sabato e la domenica. Mi fa: Rimane tacito tra noi! E allora cominciai ad andare in Sardegna. Quindi, praticamente, che io sono in Sardegna sono 35 anni! Il Marchese fiorentino, infatti, accolse la richiesta di Tachis a patto che ci non a-vesse interferito con il suo lavoro presso lazienda Toscana. Tutto questo sottolinea la sensibilit, la lungimiranza e la perspicacia tipica della famiglia Antinori. Piero Antinori conosceva bene il passionale Tachis e sapeva che sarebbe stato im-possibile oltre che ingiusto impedirgli di fare ci che desiderava. Inoltre, da acuto imprenditore come , era consapevole che se il suo enologo avesse avuto succes-so anche in Sardegna avrebbe acquisito un ulteriore riconoscimento, cosa di cui a-vrebbe inevitabilmente giovato anche lazienda Antinori. Cos inizi la sua consulenza in Sardegna, lavorando per la regione nelle vacanze e nei weekends. Lo aspettava unavventura che gli regaler tante soddisfazioni, in una terra di cui amava lo spettacolare paesaggio e di cui conosceva la situazione enologica per studi personali: gi da tempo apprezzava le importanti qualit dei viti-gni sardi, in particolar modo il Cannonau di Tortol e il Carignano33. Le parole che riserva a quella regione dimostrano la forza della potenzialit che ne percepisce: La Sardegna baciata da un clima straordinario e da una luminosit eccezionale. Loro hanno una luce e un sole benedetti da Dio. Pensate al riflesso della luce sullacqua del mare. Pensate ai terreni sabbiosi che hanno. Non hanno mai venduto fumo, perch hanno dei vigneti di qualit straordinaria. Se i francesi lo sapessero correrebbero a comprarli. Gli conviene non dirlo. Hanno anche delle viti su piede franco con unet di 150 anni. Pensate se un francese lo sapesse… Cosa succederebbe? Come la stessa Cantina Santadi non dimentica mai di ricordare, larrivo di Tachis rappresent una vera e propria svolta nel loro percorso evolutivo. 33 Tachis e Antinori facevano parte di quel gruppo numeroso di produttori del continente che acquista-va quelluva sarda per aiutare i propri vini ad avere maggior corposit e forza nel taglio.


39 Fondata nel 1960 la Cantina sociale ha fatto scuola, imboccando per prima la stra-da della qualit. Gli esordi, per, furono tuttaltro che semplici. Nonostante la lunga tradizione vitivinicola della Sardegna (almeno fin dallepoca fenicia) era assente una cultura enologica e la pubblica amministrazione aveva fatto ben poco per aiutare la regione a conoscerne una. Fino ad allora gran parte dei mosti sardi attraversavano il Mediterraneo per raggiun-gere la Francia e lItalia settentrionale per arricchire i vini di quelle terre. quindi comprensibile quanto fosse difficile convincere i contadini che la viticoltura poteva essere una risorsa economica fondamentale del territorio, abituati gi a guadagnare con il commercio del mosto. Solo negli anni Ottanta la Sardegna inizi il percorso del riscatto che le ha permes-so di conoscere il successo dei giorni doggi. Tra i condottieri di questa flotta emerge proprio il nome del corsaro Giacomo Ta-chis, che ha saputo indicare la rotta delleccellenza e delleleganza. Laver ricercato e voluto la consulenza di un enologo che aveva fatto conoscere la propria stoffa con i successi toscani, mostra come linversione di rotta fosse gi stata chiamata dai timonieri sardi. Ancora una volta Tachis si trov a confrontarsi con una realt in fermento. Non poteva chiedere di meglio. Gli anni 80, infatti, sono un momento fondamentale per la storia vitivinicola della Regione, non solo della Santadi. Proprio in quegli anni si assisteva ad un doppio fronte di azione. Con linvito della Comunit Europea, allespianto e alla riconver-sione dei vigneti (senza diritto di reimpianto) molte aziende agricole e cantine socia-li furono ammaliate dagli appetibili incentivi economici. Mentre altre aziende e can-tine, come la Santadi appunto, lessero nel momento la svolta da cui partire per una vera e propria riconversione alla qualit, facendo propria la mission di puntare sul vino imbottigliato e dare visibilit e identit ai vitigni tradizionali del territorio (per citarne alcuni: Carignano, Vermentino, Nuragus e Nasco). Il feeling tra Tachis e gli ospitali sardi fu immediato. Se deve descriverli, gli apprezzamenti non si fanno desiderare: gente buona, leale e valorosa, tenace e lavoratrice, non si tirano mai indietro di fronte alle difficolt e nonostante levidente fortuna che hanno sono modestissimi. Dunque anche in Sardegna Tachis ha portato limmaginazione e la scienza in canti-na, e ha saputo nuovamente andare contro la moda del tempo. Negli anni novanta eravamo, infatti, nel pieno del boom dei SuperTuscans, e come conseguenza era diventato impopolare parlare di autoctono; eppure Tachis ha cre-duto e puntato con molta determinazione su quei tipici e difficili vitigni (carignano, cannonau, bovale, vermentino e nasco solo per citarne alcuni), ottenendo grandi risultati sempre riconosciuti dalla critica. La battaglia portata avanti da Tachis per far elevare a dignit la viticoltura sarda at-traverso quelle viti che ne rappresentano appieno la regione testimone di come abbia saputo interpretare ogni territorio a partire dalle peculiarit storiche, culturali, geografiche e climatiche. Cos, nelle terre del Sulcis, la Cantina di Santadi, con il fondamentale apporto di Tachis, inizi un consapevole lavoro di rinnovamento puntando sul vitigno principe


40 di quel territorio: il Carignano. Quella vite che disegna il profilo delle dolci colline del vergine, misterioso e selvatico Sulcis. Due sono le aree pi adeguate ad una sua corretta evoluzione: la costa dellIglesiente, con le sue scenografiche dune bianche delle spiagge di Porto Pino, e SantAntioco, la piccola isola non-isola di fronte a Portoscuso, che custodisce un vero e proprio patrimonio unico di viti franche di piede34. Un vigneto coltivato ad alberello, per affrontare senza cedere il maestrale che soffia quasi tutto lanno, e capace di regalare unuva importante, che porta con s la for-za e il calore della luce che la accompagna e il profumo della macchia mediterranea che la avvolge. Il lavoro che la Cantina di Santadi intraprese per raggiungere lobiettivo prefisso di una produzione di qualit di vini imbottigliati capaci di rappresentare il sole, la terra, il carattere e la cultura del Sulcis inizi proprio da una rivalutazione del ruolo della vigna. Limpegno fu tanto di carattere tecnico e colturale quanto culturale. Questo perch fu necessario sensibilizzare, coordinare e indirizzare il lavoro in vigna di ogni socio conferente, con incentivi anche di carattere economico, per promuovere la produzione di uva dalle qualit sempre maggiori, con la volont di far dimenticare le controproducenti esigenze quantitative. Fin dagli anni Settanta la Cantina di Santa-di, inoltre, si interess con competenza e costanza ai disciplinari in vigore con la consapevolezza che era necessario modificarli radicalmente, perch premiavano produzioni di uva in quantit eccessive a discapito della qualit ed escludevano dal riconoscimento proprio quei vini figli di viti franche di piede, il patrimonio unico e da custodire gelosamente del territorio del Sulcis. Ecco la descrizione del carignano dalle innamorate parole di Tachis: una variet gentile, nel senso che ha una grande nobilt di fondo. Stile e classe non le fanno difetto. Diciamo che da vita a rossi aristocratici, ricchi di polifenoli e di tannini dolci. Allo stesso tempo regala prodotti molto moderni, uno dei motivi per i quali i produt-tori di Bordeaux venivano in Sardegna a caricare il mosto con le cisterne. Un altro tratto saliente che si presenta come un vino prettamente marittimo: basti pensa-re che a Porto Pino le viti sono letteralmente spruzzate dallacqua del mare, tanto sono vicine alla costa. Infine ha una socialit organolettica assai spinta, si sposa cio con altri vitigni mantenendo una sua impronta precisa e riconoscibile.35 Proprio da questa uva accompagnata da un cinque per cento di un altro vitigno loca-le, il Bovaleddu, e magistralmente addomesticate in barrique dosate con grande saggezza sotto la regia di Tachis, nasce un grande vino rosso, elegante ed emozio-nante: il Terre Brune. Un vino pioniere che ha fatto riscoprire una vocazione alla qualit e ha fatto cono-scere una Sardegna enologica capace di fare concorrenza a regioni italiane con una storia tecnica e culturale meno recente come Toscana e Piemonte. Un vino che og- 34 A SantAntioco, infatti, le viti grazie al loro habitat insulare, con un microclima invidiabile, non hanno conosciuto il terribile parassita della filossera cos salvandosi dal reimpianto di viti innestate in piede americano. 35 G. Gariglio (intervista a cura di), Lenologo corsaro. Tre domande a Giacomo Tachis, in Slowine, Marzo 2007.


41 gi, nonostante lo scetticismo iniziale, chiacchierato, desiderato e ricercato in tutti i salotti che contano. Oggi la cantina produttrice di numerose etichette di cui andare fieri e con cui po-ter raccontare lanima sarda del vino. Da unattenta cura delle vigne, una fermentazione in tini di acciaio inossidabile, unevoluzione nelle tradizionali vasche di cemento, un passaggio in piccole botti di quercia nuove e un lungo affinamento in bottiglia, nascono altri grandi vini rossi come il Grotta Rossa e il Rocca Rubia. La professionalit della Cantina Santadi emerge in ogni momento del processo pro-duttivo, curando con unattenzione particolare la gestione e selezione delle uve, a tal punto che, come ha affermato Raffaele Cani: Da noi non si improvvisa nulla. Per ogni partita conferita da ciascun socio36 conferente conosciamo la bottiglia riempita del vino derivato. La riqualificazione non si limitata a vini figli di bacca rossa: grazie alla collabora-zione Tachis Santadi sono nati raffinati bianchi che fanno conoscere il piacere di gustare un sorso di Sardegna. Una nota particolare la merita il magnifico vino da dessert Latinia che nasce da una perfetta evoluzione delluva nasco. I risultati di oggi gratificano Tachis che finalmente vede riconosciuta alla sua amata Sardegna il valore enologico che merita, anche se i sentieri da scoprire sono ancora tanti. Per ottenere questo ha creduto non solo in ci che questa splendida terra pu do-nare, ma anche, per non dire soprattutto, al valore di quegli uomini associati, vi-gnaioli di proverbiale pazienza e di gran carattere, sentendo come sue le parole che descrivono il pensiero comune di questi protagonisti: Lo spirito innovativo, nel rispetto della tradizione, diventa per i nostri produttori un impegno assiduo e costante, che non solo vuole onorare la stessa Cantina, ma an-che salvaguardare un vero patrimonio di tradizione, cultura, gusto, stile e storia.37 Daltro canto la Sardegna ha visto e creduto nelle sue mani per modellare artisti-camente, tecnicamente e fisiologicamente quelluva che la loro terra gli donava da secoli. La Sardegna era pronta a regalare nuove sfide e ambiti obiettivi al principe degli enologi. Sempre a partire dagli anni 80, infatti, Tachis lavora in perfetta simbiosi con gli Ar-giolas, una famiglia dallantica tradizione di vinattieri, con splendide tenute a pochi chilometri dal porto di Cagliari. Anche loro, come la Cantina Santadi, risposero allinvito della comunit europea, rinnegando la proposta allespianto e alla riconversione dei vigneti, armati dello spi-rito vincente: agire con determinazione sulla loro azienda vinicola puntando tutto sulla qualit. Pina Casulas Argiolas, moglie di uno dei figli del patriarca, lo ricorda bene quel momento e le lascio la parola (in occasione di Vinitaly 2000) per il racconto: 36 Oggi la Cantina di Santadi conta quasi 300 soci 37 www.cantinadisantadi.it


42 C stato un periodo negli anni 80 in cui la CEE incentivava, anzi, sovvenzionava proprio, lestirpazione delle vigne. E pensate che estirpare oltre 200 ha di vigneti avrebbe voluto dire diventare miliardari! Invece mio suocero, con grande lungimiran-za, si rifiutato. Molti dei nostri vicini ci prendevano per matti: rinunciare a unoccasione simile! Poi arrivato Giacomo Tachis, che ama molto la Sardegna e le nostre zone, e ci ha detto: Voi spiantare con questo clima e vigne esposte in questo modo? Dovreste essere matti!38 Infatti, forti della consapevolezza dei loro limiti, desiderarono investire non solo in strumenti ma anche e soprattutto in risorse umane. Cos si guardano intorno: il minu-to piemontese adottato dalla Toscana e appena sbarcato sulla loro isola, conosciuto per il grande entusiasmo, e per le capacit artistiche oltre che tecniche ormai com-provate, cattura la loro attenzione. Gli propongono di collaborare con la loro azienda e Tachis non ha saputo resistere anche a questa seconda sfida sarda. Gli Argiolas, i-noltre, sono persone che Tachis ha apprezzato fin dal primo istante sia umanamente che professionalmente: ancora una volta il rapporto interpersonale determinante. Cos accompagnati dalla consulenza dellenologo piemontese, nel rispetto delle tradizioni e del territorio a cui appartengono, gli Argiolas iniziano la loro opera di ri-qualificazione aziendale: adottano nuovi processi di produzione, ristrutturano la can-tina, sfruttano le pi moderne tecnologie. una vera rivoluzione. E come tutte le rivoluzioni una volta innescate devono raggiungere gli obiettivi pre-fissi: la nascita di grandi vini. in quel momento che prese il via una collaborazione gomito a gomito fra Tachis e la famiglia Argiolas, con lintento primo di comprendere, poi di creare. La prima cosa che venne allevidenza fu che la fortissima connotazione dei vitigni autoctoni rendeva praticamente inutile lutilizzo di uva internazionale. Inoltre essendo gli Argiolas dediti alla sperimentazione nelle loro tenute avevano osservato e testato ogni tipo di vitigno sardo. Allinterno di questa variet luva su qui decisero di puntare per prima fu il Canno-nau, anche perch fino ad allora il mercato non aveva riconosciuto la qualit e va-riet organolettica che appartiene a quel vitigno. E fu su questa consapevolezza che nacque il primo grande vino: il Turriga. Lascio nuovamente spazio alle parole della signora Pina Casulas Argiolas che ne ha vissuto da spettatrice la nascita: Mio marito imbottigliava vini solo da monovitigno; Giacomo li assaggiava e ne con-statava pregi e difetti. Dunque ha iniziato a fare assemblaggi. Del resto lui dice sempre : Io sono solo un mescolatore di vini.39. Per ottenere questo meraviglioso risultato il nostro mescolavino un al Cannonau il Carignano, il Bovaleddu e la Malvasia nera. Ecco di seguito riportati i ricordi dalla viva voce di Tachis: il Turriga nato nel 1988, fu fatto in una stanzuccia dove cera un piccolo condizionatore dufficio in 38 www.acquabuona.it 39 ibidem


43 casa degli Argiolas. Avevano delle uve eccezionali, in terreni eccezionali ed ecco quel vino eccezionale di nome Turriga.40 Inoltre doveroso sottolineare come Tachis abbia sempre messo laccento sulla principale presenza dellazienda dietro quel grande vino. Degli Argiolas ammira la naturale e costante capacit che hanno di interpretare le idee, realizzare e portarle a buon fine.. Quando una giornalista gli ha fatto presente che Senza lenologo Tachis non ci sa-rebbe stato il Turrga. lui ha replicato con queste parole precise e taglienti: Non cos. Dietro il Turrga, come dietro ogni vino che si rispetti, c lazienda che lo produce. Intanto fondamentale una uva che va coltivata in un determinato con-testo, dove il terreno deve avere la sua qualit, una qualit che nessun enologo – n in terre n in cielo – potrebbe creare o inventare. Occorre un microclima partico-lare, un determinato sistema di allevamento, una corretta gestione della pianta e del vigneto. E mica facile gestire correttamente la pianta e il vigneto tutto. Occor-re metodo e costanza, attenzione e perseveranza. Gli Argiolas hanno tutti questi re-quisiti. E poi sanno gestire la cantina. Ecco, solo a questo punto entra in gioco lenologo. Che pu fare un allenatore se non dispone di giocatori capaci? Col Turr-ga loro hanno avuto una fortuna meritatissima.41 Erano passati pochi anni dallesordio del Turriga, quando nel 1992 Tachis decise di consigliare agli Argiolas un giovane e promettente enologo con cui collaborare: Ma-riano Murru. Negli anni successivi nascono molti altri prodotti, dei quali due che si possono fre-giare delleccellenza: lAngialis e il Mirse. LAngialis un elegante vino da dessert, ottenuto da uve Nasco di vendemmia tar-diva. Il Mirse non un vino, ma una rilettura Tachis del tradizionale Mirto di Sardegna, un po digestivo e un po aperitivo, profumato dalle bacche e dalle foglie del mirto. Ma non finita: la Sardegna pronta con altre sfide. Nellagosto 2002 nasce una nuova realt. Le premesse hanno il sapore di una leg-genda. I personaggi di questa storia li conosciamo bene e non hanno mai deluso: Antonello Pilloni, il Marchese Niccol Incisa della Rocchetta, Sebastiano Rosa (manager della tenuta San Guido) e dulcis in fundo Giacomo Tachis. Proprio Tachis, infatti, stato lartefice e il paziente e tenace promotore del matri-monio tra la Tenuta di San Guido e la Cantina Sociale di Santadi, sotto la protezio-ne di Bacco. In effetti, quella divinit ha sempre avuto un occhio di riguardo per il nostro mesco-lavino Sar rimasto affascinato dalla sua tenacia, o dalla sua poetica, o forse dal suo vo-ler godere la vita. 40 S. Cenni, (intervista a cura di) Giacomo Tachis e il vino sardo. Brindisi col Turrga di Argiolas, in Sar-diNiews, n 5 Maggio 2001 41 Ibidem


44 Certo che Tachis quando non aveva sfide dichiarate da vincere se le andava a cercare. Ed cos che ha fortissimamente voluto questo incontro fra la Toscana e la Sarde-gna, fra il Sassicaia e il Carignano, i suoi veri amori. Eravamo a Bolgheri quando dissi al Marchese Incisa: C una terra bellissima in Sardegna con delle viti stupende, meravigliose. Io la comprerei. Come ogni volta che gli propongo qualcosa ci ha meditato su. Poi gli ho detto: Credo che non la venderanno a lei perch i sardi sono molto orgo-gliosi, dovrebbe prenderla insieme a qualcuno della Sardegna. A quel punto il Sig. Pilloni si fatto avanti. Si sono messi insieme e il resto storia. Siamo arrivati alla nascita dellAgricola Punica, composta da due tenute, Barrua e Narcao, nel Sulcis meridionale, la culla del Carignano. Attenzione, in questa sfida dal sapore romantico viene fuori con grande determina-zione anche laltra parte di Tachis, quella concreta e spinta verso la commercializ-zazione, una ricetta vincente formata da tre ingredienti: profonda conoscenza del territorio, applicazione delle tecniche moderne e comunicazione dimmagine. Tachis sempre stato un grande comunicatore, forte del proprio bagaglio culturale, dellesperienza sul campo e delle intuizioni. In uno dei nostri colloqui relativamente a questo argomento ha fatto una riflessio-ne, che mi ha colpito: Effetto di Lvi-Strauss: il cibo deve essere pensato buono prima che assaggiato buono. I francesi qui sopra ci marciano moltissimo, sono bravi e noi dovremmo im-parare da loro. Non un caso che il primo prodotto dellazienda, il Barrua, un vero e proprio capo-lavoro dellenologia italiana, morbido, elegante oltre che equilibrato, ha suscitato tanta curiosit fin dalla gestazione da conoscere un successo straordinario ancora prima di essere immesso sul mercato. Come in tutte le cose della vita fondamentale conoscere quanto siano determi-nanti non solo nel presente, ma anche nel futuro. Seguendo questa idea, spinta dalla performance del Barrua, ho chiesto a Tachis quanto conti il nome dellazienda nel successo di un prodotto. La sua risposta stata diretta e chiara a tal punto da risultare quasi disarmante: Solo a breve termine, poi per fortuna la natura fa le cose per bene, e viene fuori il vero valore delle cose. Chiudendo con il solito sorriso, che sa di cose che vanno oltre. Ed , appunto, al di l di quel limite che arriva il triplice rapporto Tachis-Bolgheri-Sardegna. Prima ho parlato di amore: non trovo altro termine per definirlo. Nello studio del mescolavino si sente nellaria, fuori dal recinto delle parole. Quello studio dove ormai si definisce un pensionato, mentre in realt continua a seguire attentamente il mondo del vino. Durante i nostri incontri il telefono e il fax spesso suonano per ricordargli che il vino vuole la sua regia, e agronomi, amici o conoscenti bussano alla sua porta con in mano fogli che certo non sono auguri di compleanno o di Natale.


45 Quando gli ho chiesto quali consulenze ancora oggi mantiene mi ha risposto: Io ho mantenuto la Sardegna, ho lasciato perdere le Marche, lAbruzzo, la Sicilia e buona parte della Toscana. Mantengo solo Sassicaia – San Guido – perch Bolgheri nel mio cuore e poi la Sardegna. Laltra met del suo cuore. Poi per mi confida di aver lintenzione di lasciare anche lisola sarda, ma senza abbandonarla: sarebbe impossibile. Per questo ha gi in mente chi proporre come suo successore. Nei prossimi giorni vado in Sardegna e porto con me il professor Alpi, dellUniversit di Pisa, perch, proprio recentissimamente, stato costruito un consorzio in Sardegna per volere del presidente della regione Soru. Lui vuole porta-re avanti la Sardegna e mi ha chiesto di occuparmene, vorrebbe che io facessi il coordinatore scientifico del consorzio un consorzio dalla capacit di tanti miliardi, decine di miliardi! Porto con me Alpi perch dovr essere il mio successore: io non ho pi voglia. 1.10 Le sfide dellisola della cultura Come tutti i corsari, anche quelli che non sanno nuotare, Tachis sente nelle isole una carica di storia ed energia dal magnetismo a cui impossibile opporsi. Lesperienza della Sardegna gli aveva regalato pi del previsto, la sua fama aveva ormai varcato ogni limite territoriale. Cosa chiedere di pi alla propria professione? Tachis non voleva chiedere niente: questa era la verit. E incontr uno dei doni pi preziosi che Madre Natura ha fatto al Mediterraneo: la Sicilia. Nacque un nuovo amore, che poteva far ingelosire tutti gli altri, dando vita ad un ennesimo trionfo. Prima il vino era soltanto un frutto del sole, e ne recava tutti gli eccessi e linfiammata, fragorosa meridionalit. Ora Tachis ne ha ammansito lirruenza, ne ha forgiato il carattere, costruendone un impeccabile, elegante, invidiato, cittadino del mondo.42 Per molti anni ha collaborato con la Regione come consulente dellIstituto regionale della Vite e del Vino, stato consigliere damministrazione delle Case Vinicole di Sicilia, che raggruppano Duca di Salaparuta e Florio ed stato pura ispirazione per tanti produttori emergenti. Ma come nato quel fortunato incontro tra Tachis e la Sicilia? Quando sono andato in pensione il vino mi usciva anche dagli orecchi, non ne po-tevo pi. Dissi mi dedicher alle letture. Fino a che un giorno, lanno prima di andare in pensione, una sera ricevo una telefonata : Vorrei parlare con il Dott. Tachis Sono io mi dica pure Ah!? Io sono Diego Planeta. Vorrei chiederle se pu fare il consulente da noi, per la regione Sicilia 42 B. Donati, op. cit., p. 13


46 E io gli ho detto: No! E sai perch? Prima di tutto sto per andare in pensione, se-conda cosa ho un contratto fisso con Antinori, monomandatario, non posso fare il consulente Ma lei ha detto che andr in pensione. S, andr in pensione ma tra circa un anno. Allora quando lei andr in pensione, se lei potesse fare il consulente per noi, ci farebbe una cortesia. Allora ho dovuto La Sicilia mi interessava, non per guadagnare, ma per viaggiare un po. Che non pensasse ai soldi quando ha accettato quellofferta vero. Tutto ci che economicamente poteva chiedere alla sua professione, lenologo piemontese di o-rigini certo non ricche, laveva gi ricevuto: viveva nellagio e da padre premuroso aveva raggiunto il suo obiettivo di comprare casa allamata figlia Ilaria. Ma, ad una richiesta di aiuto tanto gentile, di cuore e detta con talecortesia non poteva dire di no. Inoltre, erano 30 anni che quella terra attendeva di scrivere il capitolo Tachis, con il vino che si metteva in mezzo, arrivando da destra, da sinistra, o dalcielo. Io non conoscevo la Sicilia, anche se avrei dovuto conoscerla gi da un pezzo, per-ch quando mi sono sposato ci dovevo andare in luna di miele, ma non ci sono po-tuto andare, perch ebbi una disgrazia notevolissima in Antinori. Un biglietto aereo di andata e ritorno per Palermo aspetta ancora di essere sfrutta-to. Un biglietto che portava scritto 30 gennaio 1965, la data del suo matrimonio con la dolce e paziente Maria. Un problema tanto gigantesco quanto impensabile rub la magia di quel giorno ai due giovani sposini e richiese limmediata presenza di Giacomo a San Casciano: ci arriv ancora vestito da cerimonia. Cos dopo la pensione ha potuto riscattarsi di quellinfausto sgambetto del destino, iniziando a lavorare nella impaziente Sicilia. Ho iniziato ad essere un mescolatore di vini ambulante con la Sicilia Mi piaceva da morire, sai? Guarda quanti raccoglitori ho sulla Sicilia. Io chiamo la Sicilia lisola della cultura, e La Sardegna Lisola della natura. Nel-la mia vita ho dato la preferenza alla Sardegna. Per io ho avuto soddisfazioni e-normi dalla Sicilia, proprio enormi. Ed cos bella quella terra che ci vivrei. pericolosa! Perch pericolosa? Perch Tachis ammette che quella isola talmente seducente che chiunque la osservi con sguardo sensibile vorrebbe farla diventare la propria casa. Quella regione dalla natura sensuale e avvolta da una cultura biblica non poteva non ammaliare lenologo. I suoi studi e le sue ricerche nella storia della vite e del vino lavevano pi volte preso per mano e condotto in letture tanto affascinanti am-bientate proprio in quellisola da ricostruire nella mente scorci di passato. Per limmagine di s che la Sicilia esporta in tutto il mondo sapeva che avrebbe incon-trato luoghi spettacolari ed emozionanti. E cos stato. La Sicilia ha delle cose bellissime; devi andare a Selinunte uno dei posti pi belli che io conosca, uno dei posti pi spirituali. Una sorpresa lo aspettava: il siciliano.


47 Tachis non conosceva personalmente lantico popolo dellEtna. Aveva ascoltato pa-reri contrastanti, ma come al solito si sarebbe affidato solo ed esclusivamente alla propria capacit di analisi e alla propria intuizione. Quando venni a fare la sperimentazione per lIstituto regionale della Vite e del Vi-no, trovai una squadra di enologi preparatissimi, affiatati, coinvolti in un progetto. Dietro a quella svolta ricercata dal mondo enologico della regione si cela la volont di far conoscere la vera essenza dellisola e del suo popolo, con vini di qualit e sostanza, veri e propri strumenti di un concerto nuovo e forte di s. Poi si innamorato ed emozionato in compagnia di quel popolo che conosce il vero segreto della sua terra e ogni giorno la onora tenendo sempre ben unito e teso quel filo che la collega allo straordinario mondo della cultura. Per questo uno dei ricordi pi belli e forti che possiede sa di commozione e gli fa rivivere nei pensieri leccitazione adrenalinica: Una volta io andai a Segesta. Mi avevano invitato ad una conferenza sul rapporto tra vino e cultura nel Teatro Greco di Segesta. Cerano 1400 persone! Bellissimo! Unemozione indescrivibile. Mi mancava anche la voce per le emozioni che avevo, che provavo. Pensa che il te-atro greco di Segesta non ha mica gli altoparlanti, ha unacustica fantastica, ti fac-cio vedere le foto Mentre mi sottolinea il suo stupore per la presenza di un pubblico tanto numeroso, 1400 persone arrivate da ogni angolo della regione, sospira amaro al pensiero di come si trasformata la sua terra adottiva e mi dice: I siciliani sono gente veramente colta, in Toscana la Toscana passa per la regio-ne pi colta, in passato era la regione pi colta. Dunque, tutto iniziato nellagosto del 1992 quando, accompagnato dalla figlia, Tachis atterrato a Palermo, fedele alla promessa che si fece di fronte allo spec-chio quando and in pensione. Ed ecco lennesima sfida affrontata col solito piglio, senza una strategia precisa, e con tutti i ricettori del corpo e dellanima pronti a imprimersi di quellessenza che il territorio porta con s. Si affacciato nella Sicilia del vino con lentusiasmo di un bambino alla ricerca di un tesoro perduto. La possibilit di sperimentare, cercare e magari scoprire realt nuove la scintilla che ha spinto Tachis a non adagiarsi mai sul conosciuto. Ha sempre respinto il demone chiamato abitudine. Con lanimo un po scienziato e un po archeologo spesso ricorda come le emozioni pi forti gliele ha regalate proprio la scoperta del nuovo, e niente ha saputo eccitare tanto il nostro enologo quanto la scoperta del nuovo nellantico. Quale miglior incentivo di una terra dove la vite si coltivava gi mille anni fa. Pensa che la zona del Chianti da questo punto di vista un infante. Finalmente approdato nella splendida isola vulcanica inizia il suo lavoro armato di quaderno dove immortalare ogni sensazione percepita, ogni pensiero ispirato. Cos inizia a sperimentare e assaggiare ci che la Sicilia aveva da offrire. Isola fortunata, la Sicilia, in fatto di clima, di terreno e di posizione geografica, per la viticoltura


48 E se la fortuna arride alla vite, certamente il vino se ne avvantaggia. Ma la fortuna bisogna saperla identificare, coltivare e sfruttare nel verso giusto.43 Con questa consapevolezza d il via alla rinascita dei vini siciliani, armato di tecni-ca, esperienza, e, soprattutto, di passione. Ogni impresa di Tachis parte proprio dal cuore. E partendo dal cuore si prefisso un obiettivo principe che stato il filo conduttore della multiforme esperienza siciliana: la qualit. Bisogna considerare che il prodotto tipico quello che corrisponde a una memoria storica, popolare, mentre il prodotto di qualit deve corrispondere a una volont deccellenza e di perfezione. In breve, ci a cui miriamo riuscire a far convergere in un unico punto che si chiama qualit la tradizione e la tecnica moderna, il tutto nel rispetto del passato e della realt viticola attuale, anche se non convertibile in tempi molto brevi.44 Si fa, cos, promotore di una vera e propria rivoluzione. In quellisola dove, fino ad allora, la produzione maggiore era il vino bianco, ben il 75%, invita i siciliani a per-correre la strada meno scontata e apparentemente pi difficile: arrivato il momen-to di puntare sui vini rossi, ingiustamente costretti in una posizione di secondo pia-no. Si tuffa con uno sguardo attento nelle vigne, del presente e del passato, e incontra una Sicilia ancora troppo legata alle false necessit quantitative prima che qualita-tive. I Greci la soprannominarono Enotria (appellativo poi guadagnato dallItalia inte-ra). Per onorare questa sua essenza doveva fare la scelta coraggiosa di abbando-nare lArbestrum Gallicum, il sistema di allevamento a tendone, in favore del gre-co Sistema Vinea, la coltivazione ad alberello. Questo avrebbe permesso una produzione di uve di qualit maggiore anche se in quantit molto minore. Era la prima e irrinunciabile mossa da compiere, perch senza unuva di qualit neanche la bacchetta magica ha i poteri necessari per fare il miracolo di un vino importante. Dopotutto che il vino nasce dalluva e luva nasce dalla vigna. una certezza pari al calare e al sorgere del sole ogni giorno. Quindi, nessuno si pu permettere il lus-so di trascurare che la qualit del vino si fa in vigna. Cos tutto iniziato da una attenta ristrutturazione dei vigneti. Fondamentali sono stati gli studi effettuati in collaborazione con lIstituto della Vite e del Vino a cui appartengono persone dalle comprovate competenze che hanno ri-posto grande fiducia in Tachis, mettendogli a disposizione un supporto determinan-te di carattere sia tecnico che umano. Tachis, infatti, non dimentica mai, anzi sotto-linea limportanza del sostegno ricevuto durante il percorso da uomini lungimiranti come Diego Planeta, Leonardo Agueci, Vincenzo Melia e Elio Marzullo. Le ricerche effettuate dallIstituto della Vite e del Vino hanno assunto una capillari-t totale dallinnesto della vite alla vendemmia, tanta attenzione stata dedicata allindividuazione del momento della giusta maturazione delluva al fine di identifi-care lepoca della raccolta. 43 G. Tachis, Vigni e vini di Sicilia, relazione del 2 febbraio 1993 44 G. Tachis, Studio e sperimentazione per i vini siciliani da commercializzare e vini sfusi siciliani integra-tivi di qualit, Vinitaly 1996.


49 A tal proposito, qualche anno pi tardi, nelle vigne dellazienda Donna Fugata, Ta-chis ha introdotto una novit che ha suscitato grande interesse e che sa di roman-tico: la vendemmia al chiar di luna. In realt nasce da una lettura attenta e raziona-le dellisola. Valutando che durante il giorno ci sono enormi escursioni termiche, di circa 10-12 gradi, ha, infatti, pensato che fosse la notte il momento migliore per raccogliere luva a una temperatura fresca e costante necessaria per non disper-derne profumi e aromi. I risultati ancora una volta gli hanno dato ragione e altre aziende iniziano a speri-mentare quella curiosa vendemmia. Dopo tante letture, esperimenti, e assaggi ha deciso di puntare la sua scommessa del vino Siciliano, su vitigni che gi sanno di storia per il connubio perfetto con quel territorio: Nero dAvola, Frappato, Pinot nero dellEtna per i rossi, lInzolia, il Grillo, il Cataratto e il Caricante per i Bianchi. Questo elenco fa intuire di quale portata fossero gli studi effettuati da Tachis e da lIstituto della Vite e del Vino. Lobiettivo dichiarato era cambiare volto alla Sicilia enologica: niente poteva essere trascurato. Nella lista delle cose da fare non cera spazio per il caso. Cos come Tachis ha raccontato al giornalista Bruno Donati: la sperimentazione si orientata su tre obiettivi principali. Il primo riguarda la produzione di vini bianchi e rossi per la grande distribuzione e per quelle a medio livello. Il secondo si riferisce alla produzione dei grandi vini bianchi e rossi di alto e di altissimo pregio, fino alla bottiglia bandiera. Il terzo mira alla produzione e alla rivalutazione dei vini dolci siciliani, con particolare riguardo a quelli pi importanti da dessert, principalmente provenienti da Pantelleria, Lipari, Noto e da altre zone, mentre il Marsala viene in-serito in un programma a parte.45 Il suo supporto allisola, inoltre, non si limitato a individuare la strada da percor-rere in vigna e in cantina. Il suo esempio stato fondamentale anche per capire come valorizzare economicamente i vini. Ha, poi, messo a disposizione dellisola il suo intuito, la sua inventiva, la sua arte anche per ideare nomi e etichette di botti-glie. Quando Tachis sbarcato in Sicilia, ogni regione aveva gi scelto quale vitigno met-tere sulla bandiera tranne la Sicilia. Lenologo non ha avuto dubbi su quale incoro-nare imperatore dei siciliani: il Nero dAvola. E il tempo, ancora una volta, gli ha da-to ragione. Per capirlo sufficiente leggere la carta dei vini che ci propongono i ristoranti dove andiamo a far godere i nostri palati. Scommettiamo che lattento ristoratore non lha dimenticato? Poi Tachis ha scelto una nuova sfida personale. Dove? Sul gigante addormentato: lEtna. Cosa? Un Pinot nero capace di primeggiare con quelli prodotti dai cugini francesi. La geografia, la luce, il terreno e le condizioni climatiche del vulcano glielo hanno suggerito. 45 B. Donati, op. cit., p. 37


50 Come volevasi dimostrare il risultato stato leccellenza: sangue di terra, come fosse sgorgato dalle cicatrici del pianeta, i crateri in sonno. Vi assicuro ha detto lo stesso Tachis che una cosa straordinaria. Confesso di aver rubato una volta, allIstituto della Vite e del Vino, delle bottiglie di quel Pinot dellEtna. Un giorno vado a pranzo da un mio amico, il ristoratore Latini, e porto quella botti-glia di vino. Era invitato anche un mio amico degli Stati Uniti, il massimo opinion leader del vino. Glielo ho fatto assaggiare senza rivelargli cosa fosse e lui ha detto: un gran Bor-gogna, vero? No caro, questa qui una bottiglia sperimentale di Pinot dellEtna. E poi un incontro fatale, un colpo di fulmine: Mozia e il suo grillo. Sono sufficienti due righe di un suo poetico articolo pubblicato pochi mesi fa su Ko-rem per capire quale alchimia esista tra Tachis e questa piccola isola: Solo il Mediterraneo con Mozia soddisfa allo stesso tempo corpo e spirito; nes-sunaltra realt di ieri e di oggi al contempo umana e sacra, celebre e familia-re.46 E il grillo, appunto, il vitigno che vive su quella terra da pi di mille anni. Quando Tachis con i piedi su quella terra galleggiante ne ha assaggiato la dolcezza salito sulla macchina del tempo, ha incontrato i Fenici, ed tornato tra noi con la missione di creare un vino unico. E cos ha fatto. Dallidea di far conoscere al mondo quella splendida isola e la sua storia nato il Vino di Mozia: il suo orgoglio, la sua creazione. Un vino simbolo della civilt del Mediterraneo, che appartiene a vari regni: della bellezza, della natura, dellarte delluomo e della storia. Nato proprio dalla vinificazione delluva bianca grillo del-la millenaria tradizione enologica di Mozia. Come ha detto alla giornalista Daniela Vassalli: un vino del tutto particolare. Un vino che ha un colore insolito, un colore che se ne frega dellestetica e della regola dei colori imposta dai consumatori, dai giornali-sti specialmente, e dagli enologi. I quali hanno tutti riferimenti fasulli che non ri-spettano la natura. un colore che segue landamento della natura. Dorato, quasi ambrato. Ha un profumo soave, piacevolissimo, un grado molto elevato che sfiora i 16 gradi. I profumi evocano laria della Sicilia, espressi nella maniera pi naturale. un vino non trattato, non filtrato, non snaturato dalla mano dellenotecnico. I pro-fumi ricordano luva che fermenta, che d un vino che si evolve con un suo grado notevole e diventa non aromatico ma etereo. Il sapore mediamente dolce, non acidulo, rotondo, che rispecchia il clima e il sole. un vino di un certo fascino che va bevuto col cervello pi che col palato.47 I siciliani si sono cos trovati fra le mani un prodotto destinato a rappresentare i mi-gliori nettari dellisola enoica. Per questo ne hanno voluto fare dono a tutti i grandi 46 G. Tachis, Mozia isola mediterranea, in Kals, luglio/settembre 2007 47 D. Visalli, (intervista a cura di) Focus sul vino di Mozia, intervista a Giacomo Tachis, in www.siciliaoniline.it


51 uomini dei nostri tempi: dal Presidente degli Stati Uniti alla Regina Elisabetta di In-ghilterra Elisabetta. Credo che proprio quel successo abbia regalato una magia in pi allavventura sici-liana di Tachis. Lesperienza in Sicilia stata bellissima pensa io mi sono occupato di Mozia e quella s che stata una bella soddisfazione. E lisola lo ha ringraziato facendogli vivere unesperienza unica e straordinaria: il ritrovamento nel fondale del mare di due cimeli senza prezzo. Infatti furono rinvenute unanfora del XIII secolo, ancora sigillata, a San Vito Lo Ca-po, e una bottiglia di peltro di epoca quattrocentesca, anche questa perfettamente conservata, a Favignana, nelle isole Egadi, ed entrambi contenevano vino48. Immaginatevi con quanto amore e quanta attenzione il nostro mescolavino archeo-logo abbia seguito gli studi fatti. Non rimane che dire: grazie Sicilia. 1.11 Non solo Toscana, Sicilia e Sardegna vero che la maggior parte della sua vita professionale Tachis lha trascorsa tra vigne toscane, sarde e siciliane. La sua esperienza non si limita per a queste re-gioni. Anche il Trentino Alto Adige, il Piemonte e le Marche hanno voluto e potuto conoscerne lorma. Tachis stato accolto e cercato da unaltra splendida regione italiana, conosciuta in tutto il mondo per le magiche montagne verdi destate e bianche dinverno: il Trentino Alto Adige. Proprio in uno degli angoli pi scenografici del trentino, ai piedi delle maestose alpi, ci sono le tenute del marchese Carlo Guerrieri Gonzaga. Un uomo che, forse educa-to proprio da quei paesaggi in cui cresciuto, ha una sensibilit per il bello, per larmonia e per leleganza fuori dal comune49. Ne ha fatto una vera e propria filoso-fia di vita e, grazie alla consulenza di Giacomo Tachis, lha trasmesso nel gusto del suo vino principe: il San Leonardo. (60% Cabernet Sauvignon, 30% Cabernet Franc, 10% Merlot) Anche in questa avventura possiamo parlare di amicizia e il caso ha voluto che i due fuoriclasse si siano conosciuti grazie al Sassicaia. Negli anni 60, fresco di di-ploma agrario, Carlo Guerrieri Gonzaga venne chiamato proprio da Mario Incisa del-la Rocchetta per imparare il mestiere tra le vigne e le cantine di Bolgheri. Cos co-nobbe Tachis e i loro percorsi si intrecciarono tra le fila della nascita del Sassicaia. Nel 1974 Carlo torna nella terra dorigine perch il padre era morto e lazienda di famiglia reclamava la sua direzione. Con amore e convinzione prende in mano la tenuta, accompagnata dalla cultura che Bolgheri gli aveva trasmesso. Subito ha in mente di fare grandi cose. Inizia un duro lavoro in vigna piantando Cabernet e Mer-lot e fa laudace scelta di abbandonare la tradizionale coltivazione della vite a per-gola trentina scegliendo il metodo guyot. Da subito accanto a lui ha voluto il suo amico Tachis e insieme iniziano ad avventurarsi in un terreno fino ad allora scono- 48 cfr, AA. VV. La Sicilia del Vino, Giuseppe Maiomone Editore, Catania 2003 49 G. Coronini, Il Gran Lombardo, in Euposia, Dicembre 2006 Gennaio 2007


52 sciuto al Trentino. La certezza di trovarsi nel luogo giusto con gli strumenti adatti era cos forte da non perdere mai di vista il loro obiettivo: creare un grande vino bordolese. Erano sordi alle voci invidiose, avevano orecchi solo per la natura. Na-sce cos il San Leonardo, il primo grande rosso del Trentino. Quando fece la sua comparsa sui mercati lo scalpore fu tanto perch era un vino contro corrente, non imitava nessuno ed era fuori da ogni logica enologica fino ad allora sperimentata in Trentino. Oggi un vino simbolo del rinascimento enologico trentino e oggetto di culto per schiere di appassionati. uno dei pi importanti vini italiani, universalmente ap-prezzato. sufficiente ricordare che tra i pochi (sono solo otto) a meritarsi il mas-simo del punteggio su tutte le guide enologiche italiane. Poi unaltra regione, una nuova amicizia e un nuovo capolavoro. Colline armoniose, con una fantastica visione prospettica di vigneti rigogliosi e olivi argentei, dipinte in tutte le tonalit del verde, con quadri marrone intenso per la ter-ra ricca di umus, e grigi ed ocra caratteristici dellargilla e del tufo, si affacciano su un orizzonte che arriva fino al mare ed oltre: siamo nelle Marche. La visione tanto struggente da catturare prima lo sguardo e poi il respiro: impos-sibile resistere. Ecco la storia che sa di magia raccontata dalle parole del petroliere Aldo Brachetti immerso nella sfida del vino per diletto: Appena acquistata la tenuta di cui su 150 ettari solo 18 erano a vigneto, una nevi-cata distrusse la vigna intera, allora piantata a tendone. Credo fosse un segno divino, cos come il mio incontro con il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga, proprieta-rio della celebre Tenuta S. Leonardo a Borghetto Alto Adige in Trentino. La viticoltu-ra una scienza esatta come la matematica, e leggendo le analisi dei terreni de Il Pollenza il marchese mi sugger, convincendomi, che i miei terreni erano congeniali per coltivare vitigni bordolesi come Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot, Pinot Noir e Petit Verdeau e che il migliore fra tutti gli enologi, che sapeva creare con queste uve veri e propri capolavori, era Giacomo Tachis50 Il conte non perse tempo, alz la cornetta del telefono e compose il numero di Ta-chis per proporgli una consulenza. Lenologo senza mezzi termini gli rispose di no perch non aveva a disposizione il tempo necessario per affrontare nuove avventure enologiche. Con quella telefonata, per, si raggiunse almeno laccordo di un incon-tro in Toscana. Cos si ritrovarono nello studio dellenologo per parlare e confron-tarsi, da subito assunse i toni di una chiacchierata tra amici di lunga data. A quel punto Tachis non ha potuto rifiutare laiuto ad un amico. Nel raccontarmi lepisodio Giacomo ha sfoderato lormai consueto sorriso ironico, ha lasciato per un attimo il pensiero sospeso sul silenzio, e poi mi ha detto: E poi, sai, mi vengono a prendere con lelicottero, il mezzo dei ricchi. E nel 1996 inizia lavventura marchigiana. Sotto locchio attento di Tachis prende il via una vera e propria ristrutturazione dellazienda: la costruzione di una cantina modernissima, limpianto di nuovi vigneti di Cabernet, Merlot, Pinot Noir, Syrah, Gewurztraminer e Sauvignon Blanc, oltre che 50 Petroliere e vigneron, in Vie del Gusto, Marzo 2007


53 il recupero qualitativo di vitigni tradizionali come Trebbiano e Sangiovese. La tra-sformazione porta alla rinascita di una casa vinicola che oggi un modello per la realt marchigiana: Il Pollenza. In questa impresa Tachis ha portato oltre la sua esperienza anche due dei suoi al-lievi prediletti: il piemontese Umberto Trombelli e il giovane tecnico siciliano Vin-cenzo Melia. Con questo valido team ha creato grandi vini che si sono da subito conquistati un ruolo da protagonisti nel mondo dellenologia italiana. Il fiore allocchiello Il Pol-lenza, un grande rosso in stile bordolese, un mix di Cabernet Sauvignon e Merlot in cui solo nelle annate giuste entra una piccola percentuale di Sangiovese. Nasce da una attenta fermentazione in tini di cemento vetrificato, poi invecchiato in barrique. Dal 1992 al 2001 ha fatto da consulente a unaltra azienda vinicola marchigiana: Umani Ronchi. Giusto il tempo necessario per creare, insieme alla famiglia Bernetti, un ennesimo vino che ormai fa parte a pieno titolo dei grandi vini italiani: il Pelago. Nel nome si racchiude lessenza della bottiglia perch nasce da viti di Cabernet, Merlot e Montepulciano dAbruzzo che conoscono bene il salmastro.


54


55 2 Capitolo LA RIVOLUZIONE DELLENOLOGO DALLA VIGNA ALLA CANTINA, DALLA CANTINA AL MERCATO finita unaltra giornata, gli uomini della vigna tornano a casa credo che molta felicit sia agli uomini dove si trovano i buoni vini il buon vino frutto di fatica, perch la Terra da sola non basterebbe. – Leonardo Da Vinci – Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nel vedere con nuovi occhi. – Marcel Proust – Bevanda, cibo, medicina, piacere, sfida, cultura, natura, colori, profumi e lavoro: il vino. Queste e tante altre cose descrivono solo superficialmente il nettare degli dei. La variet eccezionale di tutti questi fattori ha permesso la capillare, costante pre-senza del vino nella millenaria storia delluomo. E negli ultimi cinquanta anni un tecnico pi di altri ha contribuito allevoluzione dellenologia italiana: Giacomo Tachis. Tachis, avvalendosi di una cultura, un ingegno, una conoscenza ed una sensibilit originale, nel labirinto dellinsuccesso in cui lItalia vitivinicola sembrava intrappola-ta, ha saputo riprendere il cammino iniziato tanti anni prima dai pionieri del Risor-gimento vitivinicolo italiano. Ipotesi, concetti e tesi innovative, nate nella conoscenza del passato, hanno de-scritto il suo cammino, rimanendo, per, con i piedi sempre ben piazzati nella con-sapevolezza della forza della natura, tanto da poter sintetizzare il tutto in unaffermazione di poche parole: il vino interpretazione umana delluva. Ecco perch corretto affermare che il dono pi prezioso che Tachis ha fatto allenologia non n uno strumento tecnico, n uninnovativa formula chimica, ma un nuovo sguardo, figlio di occhi diversi, arricchiti da una cultura classica unica, che ha illuminato nuove strade da percorrere per raggiungere lobbiettivo della qualit e del successo nei mercati. Tutto questo lavoro, tutta questa energia ha portato allammissione generale che Giacomo Tachis riconosciuto dentro e fuori dal nostro paese come uno dei pi grandi enologi contemporanei, anche se il primo ad invitare alla prudenza proprio lui stesso.


56 Non ha mai pensato di essere il pi bravo e questa una delle certezze su cui ha costruito la propria carriera. Ancora oggi a 74 anni continua a mettersi in gioco. Non ha mai avuto paura di cambiare opinione. Questo perch un uomo di scienza e come tale la sua sfida sempre la scoperta del nuovo, anche rivalutando ci che aveva affermato in precedenza. Ha sempre voluto conoscere altro, senza cercare consensi di maniera ma lasciando il giudizio finale ai fatti. Lobiettivo non mai cambiato: la conoscenza e quindi leccellenza. Per raggiungerlo ha saputo essere umile e tante volte ha bussato alla porta di chi credeva potesse insegnarli il nuovo. Non importava chi fosse al di l di quella porta: persone, fatti, libri o natura; ha avuto orecchi per ascoltare tutti e tutto. O meglio quasi tutto: ogni qualvolta abbia voluto introdurre delle novit in vigna o in cantina non si fatto intimorire da coloro che lo indicavano come un pazzo. Questa stata la sua forza, il coraggio che gli ha permesso di percorrere sentieri fino ad allora sconosciuti, rendendolo artefice di una rivoluzione professionale. 2.1 Lenologia come scienza e come professione Linvenzione del vino non porta la firma n di un personaggio, n di un luogo, n di un fatto. Archeologi, storici, scienziati e umanisti hanno perseguito lobiettivo di po-ter ritrovare quella prova ancora sconosciuta, che confermi o smentisca le numero-se leggende51 che raccontano il primo incontro tra luomo e il vino. Una cosa certa: gi quel primo risultato doveva essere stato positivo visto che gli uomini hanno lavorato instancabilmente per millenni al fine di replicare ci che, con tutta probabilit, avvenne in modo casuale. Ecco cosa ha detto a riguardo Giacomo Tachis: che larte del vino sia stata in tutti i tempi la preoccupazione costante dei popoli agricoli civili dimostrato dal fatto che ciascuno vorrebbe avvalersi del pri-mato della coltivazione della vite e quindi di essersi saziato per primo del nettare di Bacco.. Il desiderio di avere il pieno controllo del processo produttivo storia di ogni popolo che ha conferito al vino un posto centrale nella propria civilt. Eppure ancora oggi con le macchine pi sofisticate e la tecnologia pi avanzata il vino non pu essere totalmente domato dalle mani delluomo perch un prodotto che dipende da fattori con cui ci si pu solo confrontare: il tempo, la meteorologia, la natura. Proprio il mistero, limprevedibilit e lautonomia donano al vino il fascino della sfi-da. 51 La pi citata fra le leggende sulla scoperta del vino certamente la versione persiana. Si racconta che alla corte di Jamsheed, un semi-mitico re della Persia, luva era amata e conservata in vasi per essere mangiata fuori stagione ma purtroppo una partita and a male e lorcio venne etichettato come veleno. Una delle donne dellharem, che soffriva di pesanti mal di testa, bevve per errore dallorcio o proprio per cercare sollievo dalle emicranie nervose, tent di darsi la morte con questo presunto veleno cadde in un sonno profondo, da cui si risvegli miracolosamente guarita. La donna inform dellaccaduto il re, che nella sua saggezza comprese che il veleno era in realt succo duva fermentata, cio vino con effetti medicinali, e dunque ordin di preparare altri orci di quel veleno. Cos lumanit part per la sua secolare odissea del vino., in P.E. McGovern, Larcheologo e luva. Vite e vino dal Neolitico alla Gre-cia arcaica, Carocci Editore, Roma 2004, p. 18.


57 Ancora tanto deve essere scoperto e come ogni realt della vita dove c qualcosa da scoprire l che le scienze si incontrano e scontrano, l dove si concentrano gli sforzi della ricerca. Al vino dunque appartiene il fascino della terra ancora da scoprire. Per capirne completamente il potere seduttivo necessario considerare che questa bevanda ha accompagnato luomo nella storia, dagli albori ad oggi. Infatti il vino stato testi-mone e strumento dellavanzata della civilt: frutto del lavoro e dellingegno umano, come merce preziosa e oggetto di scambio ha favorito i contatti fra culture molto lontane fra loro; ha offerto loccasione a persone estranee di incontrarsi in unatmosfera di allegria e di apertura mentale52. Non trascurabile anche la conno-tazione passata e presente del vino come ponte fra gli uomini e le divinit. Ogni popolo che si cimentato nella produzione lha interpretata proprio come unarte indice del livello di civilizzazione. Dopotutto come disse Victor Hugo Dio a-veva fatto soltanto l’acqua, ma l’uomo ha fatto il vino! e non opinabile laffermazione di Ernest Hemingway: Il vino uno dei maggiori segni di civilt nel mondo. Dunque il vino un prodotto della natura che, nella forma che conosciamo, non e-sisterebbe senza lintervento delluomo. Ha sempre costituito parte integrante del territorio, delleconomia e della cultura, pertanto nel corso dei millenni ha assunto significati e funzioni diverse come e-spressione delle trasformazioni e dellinterazione fra strutture economiche, sociali, ideologiche e politiche di un certo popolo in un certo momento53. Ogni disciplina umana ne ha subito il fascino e si interessata al mondo del vino per studiarne i segreti, per interpretarne levoluzione, per rileggerne il simbolismo e per immortalarne la funzione sociale. Dopotutto studiare la storia del vino significa studiare la storia delluomo. La presenza capillare e continua della vite e del vino in opere letterarie, nelle arti figurative, nella musica, nei miti, nei proverbi un evidente documento del forte impatto culturale e sociale esercitato fin dalle epoche pi remote. Come risposta alle esigenze culturali, sociali ed economiche il vino nel corso dei millenni ha conosciuto una profonda trasformazione nel gusto, percepibile solamen-te dalle tante parole scritte nei secoli sotto forma di trattati, poesie, canzoni, drammi e romanzi. In ogni caso il colore, il profumo e il sapore del vino stato ed plasmato dagli occhi, dal naso e dal palato del bevitore, seguendo e testimoniando il cammino dellumanit. Come bevanda ha sempre dovuto assecondare e soddi- 52 Cfr. H. Johnson, Il vino. Storia, tradizioni, cultura, Franco Muzzio Editore, 2003 53 Il vino e la viticoltura hanno assunto ruoli di fondamentale importanza in campo economico, sociale, politico e ideologico nelle diverse parti del mondo e lungo il corso della storia. Per esempio dal punto di vista economico, attestato luso del vino come moneta di scambio fatto dai romani in Gallia, limportanza del commercio del vino con lEuropa del nord per gli abitanti di Bordeaux in epoca medieva-le inoltre il vino e la vite si sono caricati di significati e di simbologie importanti, dalla presenza nei rituali bacchici a quella nelle eucaristia cristiana. A tutti questi fattori va aggiunta anche limportanza politica della viticoltura e del commercio del vino, espressa nel I secolo dal fomoso editto di Domiziano ma anche dagli effetti della Guerra dei centAnni sul commercio del vino anglo-sassone T. Unwin, Sto-ria del vino. Geografie, culture e miti dallantichit ai giorni nostri, Donzelli editore, 2002, p.4


58 sfare tutti i bisogni delluomo: la sete, la malattia, la stanchezza fisica e mentale, la celebrazione civile o religiosa o semplicemente il piacere. Ecco perch il processo produttivo del vino si evoluto nel tempo adeguandosi e diversificandosi al fine di interpretare levoluzione del gusto. Luomo ha imparato a rispettare il vino, seguendone con attenzione il percorso dalla terra alla bottiglia, dando vita a nuove scienze per studiarne il processo, per scoprirne i segreti e per indicare le nuove strade da perseguire con lobiettivo di una produzione pi consa-pevole. Proprio questo percorso ha portato alla nascita di numerose professioni con il compito di accompagnare particolari momenti dellevoluzione: lagronomo, il can-tiniere e lenologo (per dirne solo alcune). Con ingegno e costanza, oppure con lintroduzione di pratiche innovative, luomo ha cercato di conoscere sempre pi approfonditamente quel processo che permette alluva di trasformarsi in vino. Fondamentale stata la realizzazione del primo microscopio composto da parte di Galileo (1590) che ha aperto la strada al grande futuro dello studio delluva, del mosto e del vino. Una strada lunga e difficoltosa, percorsa da tanti fino ad arrivare a Pasteur ed agli scenari attuali. Il XIX secolo rappresenta, infatti, un momento di svolta, perch solo allora, grazie agli esperimenti e ai risultati pubblicati delle ricerche effettuate da Pasteur a partire dal 1863, si arriv ad una coscienza tecnica e scientifica di cosa fosse la vinifica-zione. Senza una spiegazione scientifica quel fenomeno sfruttato per millenni al fi-ne di produrre vino rimaneva un processo empirico, esposto ai capricci della natura. Lesperienza aveva insegnato che luva pigiata avrebbe subito una fermentazione, trasformandosi in vino, ma prima dei risultati delle ricerche effettuate dallo studioso francese, luomo, nel migliore dei casi, riusciva ad esercitare un controllo parzia-le.54 cos nato un rapporto inscindibile tra il vino e la scienza, la chimica e la microbio-logia, rapporto che si poi consolidato in seguito allemergenza affrontata dalla vi-ticoltura per combattere lattacco di malattie della vite, quali loidio e soprattutto la filossera, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Questo trauma, infatti, fece riflettere la viticoltura europea e nacque la consapevolezza che le tradizioni tecniche e culturali, ancora fortemente legate allepoca di Columella, non erano sufficienti a garantirle un futuro. allora che si sent con urgenza la necessit di stabilire un legame stabi-le con la ricerca, la sperimentazione, ed una tecnologia capace di sopperire ad e-ventuali nuove calamit. Da allora una professione si sempre pi specializzata, ritagliandosi uno spazio di primo piano nellintero processo produttivo: lenologo. Non a caso nel 1876 nasce-va a Conegliano (Treviso) la prima Scuola di viticoltura e di enologia dEuropa pro-prio con lo scopo di formare uomini specializzati e preparati, in grado di seguire e far proseguire, su basi scientifiche, il settore vitivinicolo del giovane Stato appena nato55. 54 ibidem. 55 Fonte, www.assoenologi.it


59 Lenologo una professione con radici molto antiche, tanto che ai tempi degli anti-chi egizi il capo cantiniere che seguiva con attenzione il processo produttivo, e sulle anfore che contenevano il vino, accanto allindicazione territoriale, metteva la pro-pria firma, come segno di riconoscimento e garanzia di qualit del vino stesso56. Inoltre, innegabile quanto abbiano contribuito allo sviluppo della viticoltura e dellenologia i popoli antichi che hanno gettato le fondamenta della nostra societ: Greci, Etruschi, Egiziani, Fenici, Babilonesi e tanti altri ancora. E stata la tecnica di quelle civilt secondo Giacomo Tachis – (allora empirismo pi che vera tecnica) la progenitrice della scienza attuale.57 Sono tanti i nomi che si meritano un posto nella storia del vino per le ricerche, gli studi e le intuizioni che hanno avuto in un passato anche molto lontano: Columella, Burgundione, Plinio, Catone, Galeno, De Crescenzi58, Galileo, solo per dirne alcuni. La loro forza e la loro fortuna era proprio lintuizione, perch ancora nessuno aveva saputo spiegare scientificamente cosa fosse la vinificazione59. Eppure molte delle affermazioni e delle pratiche proposte da questi uomini di scienza hanno un nesso diretto con la moderna e attuale enologia. Ma nella connotazione professionale attuale, lenologo una professione relativa-mente recente. Nata per introdurre la scienza nella produzione del vino, porta con s la conoscenza tecnica e scientifica nelle vigne e nelle cantine, ma per poter fare la differenza ha ancora bisogno proprio di quellintuito. Con il tempo le competenze e i ruoli che ha rivestito si sono moltiplicati fino a di-ventare anche strumento di promozione dellimmagine aziendale. Negli ultimi cento anni ogni cantina, ogni casa vinicola di una certa importanza ha fatto sempre pi ricorso a questo professionista. E, a partire dagli anni 60, in Italia il binomio azienda enologo stato lartefice di una vera e proprio rivoluzione dellenologia nazionale per rispondere alle nuove richieste del mercato. Lenologo ha iniziato a ricoprire ruoli di primo piano e le aziende hanno cominciato a dargli tanta importanza dal momento in cui lattenzione si spostata dalla produ-zione quantitativa alla qualitativa. Quindi, quasi per assurdo, pi si visto diminuire 56Quando nel 1922 fu riaperta la porta della tomba di Tutankhamon, morto nel 1352 a.C., legittologo Carter si trov di fronte a un vero e proprio tesoro tra cui trentasei anfore di vino che dovevano accom-pagnare nel suo viaggio lo spirito del re. Su tutte le anfore, salvo le tre pi vecchie, scritto il nome del capocantiniere. Uno di questi, di nome Khay, aveva fatto cinque vini della tenuta di Tutankhamon, ma anche uno di quelli della residenza di Aten: ci fa pensare che questi funzionari dirigessero entrambe le propriet, oppure che khay fosse un cantiniere tanto abile che, come fa oggi il proffesor Peynaud a Bor-deaux, fosse responsabile di parecchie grandi tenute allo stesso tempo., in H. Johnson, op. cit. 57G. Tachis, Considerazioni sul passato, presente e futuro della vitienologia, Universit di Pisa Facolt di Agraria, Marzo 1999 58 Proprio Piero De Crescenzi identificabile come il precursore della vitienologia moderna, come ha det-to Giacomo Tachis limpiego odierno dei pi studiati chiarificanti del vino, la vinificazione delluva rossa nei vasi vinari (considerati sul piano tecnico di ultimo grido), ci richiamano agli scritti di quellillustre stu-dioso di fine 200 che passato anche per Pisa quando si occup insieme ad altri giudici della storica tragedia del conte Ugolino. 59 Un esempio che avvalora quanto ho detto il fatto che la prima macchina diraspatrice automatica in legno stata realizzata nella seconda met del 400 da Michelangelo Tanaglia (autore di De Agricoltura) pur senza conoscere in teoria i principi chimici della cessione dei aspri, delle catechine dal raspo al mo-sto e al vino che gli conferiscono il sapore amaro e vegetale.


60 il consumo pro capite di vino, pi la professione dellenologo ha assunto posizioni di rilievo: da semplice trasformatore delluva in vino, diventato interprete del gu-sto e dei mercati. Non un caso che la maggior parte delle grandi aziende vitivini-cole italiane (dalla Banfi alla Antinori, dalla Corvo alla Florio, dalla Cavit alla Spu-manti Ferrari, dalla Fontanafredda alla Marchesi di Barolo) hanno come direttore e responsabile di produzione proprio un enologo, ovvero colui che con esperienza e tecnica deve farsi garante della produzione e della qualit dei vini. Oggi in Italia la pratica di produrre vino ben lontana da quella che fino a met se-colo scorso era abitudine. Nel sistema mezzadrile erano i fattori, o gli agenti di a-zienda, o gli stessi proprietari i veri detentori del sapere: coltivavano la vite con il sistema promiscuo, pigiavano luva a piedi nudi in tini aperti di legno e fermentava-no il mosto con i raspi, facendo invecchiare il vino per lunghi anni in enormi botti. Raramente si aprivano le porte ai tecnici. Daltro canto il mercato del momento richiedeva proprio il prodotto di quel proces-so, figlio della consuetudine. Come ha detto Peynaud, infatti, in qualche modo la qualit del consumatore che fa la qualit del vino. Se ci sono vini cattivi proprio perch ci sono cattivi bevitori. Il gusto conforme alla rozzezza dellintelletto: ognuno beve il vino che merita.60 Riflettendo sulla qualit del vino che si produceva nel passato , dunque, necessa-rio tenere presente che fino a met del secolo scorso il consumo pro capite di vino era il triplo rispetto a quello che conosciamo oggi, e nella logica mezzadrile la coltu-ra della vite rispondeva ad esigenze di sussistenza, e il vino prodotto dipendeva quindi da unuva che oggi definiremo mediocre. Poi molteplici fattori hanno concorso alla trasformazione del panorama vinicolo ita-liano: la diminuzione del consumo pro capite e il conseguente aumento della quan-tit di prodotto eccedente, un mercato estero che non apprezzava i prodotti italiani, la scomparsa della mezzadria e la trasformazione nellimmaginario collettivo del bicchiere di vino da strumento per dissetarsi e nutrirsi a oggetto di culto e piacere. Cos negli anni 60 ha preso il via una nuova epoca del vino, grazie ad una rivolu-zione partita dalle fondamenta della struttura enologica che, da allora in poi, non ha lasciato niente al caso. In quegli stessi anni, per, si apr la porta anche allillusione di unonnipotenza delluomo sul vino attraverso una errata interpretazione del ruolo della chimica nella produzione. La chimica spicciola, quella delle polverine e delle soluzioni miracolo-se o quella delle macchine da vino che recavano danno ai suoi naturali processi biochimici, che lo rendevano limpido e brillante attraverso prepotenti e violenti in-terventi o lo stabilizzavano senza tenere conto delle esigenze fisiologiche del pro-dotto, aveva sostituito quanto di delicato e sacro poteva invece fare la natura.61 In Italia la professione non godeva ancora di un riconoscimento pari a quello di og-gi, ma il terreno era fertile. 60 E. Peynaud, Il gusto del vino, Bibenda Editore, Roma 2005. 61 G. Tachis, Considerazioni sul passato, presente e futuro della vitienologia, Universit di Pisa Facolt di Agraria, 13 Marzo 1999.



61 Proprio allora Giacomo Tachis arrivato sulle colline toscane e ha iniziato a vestire i panni dellenologo per lazienda Antinori. Proprio Giacomo Tachis, che non perde occasione per sottolineare come lunica co-sa fatta, sempre e comunque, sia stata mescolare vini, stato uno degli artefici della rivoluzione di una professione prima troppo legata al camice bianco da chimi-co. Ha saputo interpretare il fare lenologo secondo una logica integrale, ovvero par-tendo dalla terra per arrivare alla cantina e al mercato. Ha insegnato che lenologia non la professione della cantina, ma la professione del vino. Questo vuol dire che lenologo, come interprete del gusto del mondo, deve saper vestire non solo il camice bianco da laboratorio: nel proprio guardaroba quotidiano devono essere presenti anche le calosce, le cesoie, e deve saper leggere tanto nel presente quanto nel passato e nel futuro. Lintuito e la volont di mettersi in gioco sono stati due strumenti fondamentali del suo viaggio, allo stesso pari della conoscenza e dellamore per il mondo classico e per la tradizione, ingredienti insostituibili ed unici dei suoi vini. Assaggiando i pro-dotti nati con la sua collaborazione e ascoltando le sue dirette parole evidente come abbia voluto interpretare una professione, che potrebbe sembrare asettica e dettata solo dalle leggi della chimica, votandola allo studio e al rispetto della vita, perch il suo obiettivo sempre stato produrre vini motivo di piacere e di soddisfa-zione del consumatore. Ma non solo. Ha saputo e voluto vedere il vino sia come semplice bevanda, per poterla osservare con gli occhi obiettivi del distacco, che come prodotto della natura con una vita propria. Questo stato un fondamento forte e profondo, che lo ha forgiato sia come enolo-go, che come uomo: Tachis ama e rispetta la vita senza nessuna limitazione. E amare la vita vuol dire prima di tutto gioire dei doni di ogni giorno. E il vino gioia, piacere, godimento a patto di cercare sempre e comunque leccellenza, sia nella produzione che nella comunicazione. sulla finezza di una stoffa, sulla linea di un mobile, sulla perfezione di una mac-china incidono soltanto il gusto, la soddisfazione o il guadagno del mondo dei pro-duttori e dei consumatori. Leccellenza di un vino tocca la gioia, la serenit e la salubrit delluomo, sino a rinvigorire il suo umore, ed alleviare le sue pene, attutire il peso della sua et, in-fondergli speranza, coraggio, risolutezza. Chi coltiva la vite, pi che svolgere un lavoro, coltiva una missione nel campo del buon vivere e delletica moderna.62 cos che Tachis ha vissuto e vive il privilegio, cercato e meritato, di lavorare alla realizzazione di un veicolo di piacere, portandolo ad insegnare che il vino, come o-gni cosa che vive di vita propria, deve essere rispettato e maneggiato con coscien- 62 G. Tachis, Vino: ebbrezza e malinconia, in Zattini M. (a cura di), Lebbrezza di No, Il Vicolo, 2003, p. 28


62 za, perch ogni dettaglio concorre a definirne il carattere: il paesaggio, la terra, la storia, la cultura, larte del contadino, i mestieri di contorno come il bottaio Lenologo, dunque, come responsabile di produzione e garante della qualit del vi-no prodotto deve saper interagire con ogni fattore che influisce nella creazione dellidentit del vino e gestire ogni momento della produzione: dallidea alla viticol-tura, dalla vigna alla vinificazione, dalla vinificazione alla maturazione e dalla canti-na al mercato. Dovendo rappresentare lenologo con una figura cinematografica, nasce spontanea la similitudine con il regista, perch ha il compito di seguirne il processo dalla ge-stazione dellidea alla messa in commercio del prodotto, garantendo coerenza e armonia dal primo allultimo ciak. Per capire il ruolo e le competenze che oggi lenologo ha, riporto qui di seguito la definizione della professione proposta dallAssociazione Enologi Enotecnici Italiani: LOrganisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv), ossia lente intergoverna-tivo che a livello mondiale riunisce i principali Paesi produttori, ha definito lEnologo e lEnotecnico persone altamente qualificate, tecnicamente e scientificamente pre-parate che, dalla coltivazione della vite alla raccolta delluva, dalla vinificazione allimbottigliamento, sovrintendono e determinano quanto serve a garantire, sia pu-re nei diversi livelli, la qualit del prodotto. LEnologo e lEnotecnico sono quindi i professionisti della produzione, la loro professionalit si sviluppa principalmente nella responsabilit e nella gestione di complessi viticoli, enologici e vitivinicoli con grandi ricadute quindi anche sulla salubrit e genuinit del vino e pertanto verso i consumatori. Formano oggetto della professione di enologo principalmente la direzione e lamministrazione di aziende vitivinicole dalla trasformazione delluva alla commer-cializzazione dei vini e dei prodotti derivati. Rientra tra le attivit professionale dellenologo e dellenotecnico anche leffettuazione dei controlli microbiologiche, enochimici ed organolettici dei vini e la valutazione dei conseguenti risultati. Allenologo in Europa ed in diversi Paesi extracomunitari demandata la responsa-bilit delle aziende vitivinicole attraverso la scelta della tecnologia relativa agli im-pianti del vigneto e degli stabilimenti vinicoli, nonch di alcune specifiche pratiche enologiche, tra cui ricordiamo quelle riferite alle resine scambiatrici di ioni, al ferro-cianuro di potassio, al fitato di calcio, all’acido DL-tartarico Fa sempre parte dellattivit dellenologo lorganizzazione aziendale della distribuzione e della com-mercializzazione dei prodotti vitivinicoli, compresi gli aspetti di comunicazione, di marketing e dimmagine.63 Queste parole fanno capire la complessit del lavoro svolto dallenologo e le nume-rose responsabilit di cui investito. Per una cosa fondamentale assente tra le conoscenze richieste al professioni-sta qui descritto: le scienze umane. Lenologo, infatti, non deve essere solo un tecnico della vite e del vino, deve essere anche un umanista del vino. Questo ap-punto lha insegnato Giacomo Tachis che ha saputo reinterpretare la propria pro-fessione capendo e partendo dal concetto fondamentale che il vino espressione 63 Fonte: www.assoenologi.it


63 di civilt. Lapproccio alla bevanda per eccellenza ha detto – non poteva essere soltanto limitato a studiare il vino dal punto di vista analitico e tecnico, anche se questo mi ha aiutato a conoscere le sue qualit, la sua evoluzione e la sua compo-sizione su un piano prettamente chimico e scientifico. Anche se per anni ho fatto solo questo, non potevo assolutamente, e anche per completezza di analisi, trala-sciare laspetto culturale che accompagna questa bevanda la cui storia si perde nella notte dei tempi. Se non avessi approfondito lo studio del passato, le leggende e le tradizioni del vino che si legano al vino mi sarei sentito un robot. Insomma, non riuscivo a togliermi dalla mente una semplice considerazione: quando assapori un vino bevi anche un sorso del mito. Ne avverti la presenza e senti lesigenza di approfondire e svelare il mistero che lo circonda. E dallassaggio che deve nascere la curiosit e poi, come una catena, ti trovi sommerso dai libri alla ricerca del sape-re puro. E poi, non posso negarlo i miti del vino mi sono stati utili per apprezzare maggiormente i paesaggi che lo hanno reso possibile Lenologo dunque non pu mai prescindere dal rispetto della natura e della cultura. Questo significa conoscenza. Una conoscenza aperta, estesa e profonda, proiettata nel passato, nel presente e nel futuro, sicuramente con forti radici nel mondo della classicit, intesa come grande serbatoio di esperienze e di cultura. E la classicit una peculiarit unica di Tachis: si formato nel mondo classico, lha osservato con la mente e con il cuore e se ne appropriato. Il suo appartenere al mondo classico gli ha permesso di saper trovare la giusta mediazione per raggiungere larmonia che rende unico ogni vino nato con la sua col-laborazione. 2.2 Il territorio Non esiste un grande vino senza un grande terroir. Il clima, il sole ed il vitigno so-no i fattori naturali della qualit ma essi hanno bisogno, per unadeguata valorizza-zione, dei fattori umani e del lavoro umano.64 Questo quanto affermava con co-scienza il grande Emile Peynaud. Tachis ha fatto proprie le parole del suo maestro, interpretandole e adeguandole alle proprie esigenze, approfondendone la conoscenza attraverso lesperienza per-sonale e di coloro che hanno vissuto in epoche anche molto lontane dalla nostra. Esperienze che gli hanno permesso di comprendere il vino e quindi interpretare la professione di enologo come quella professione che ha il compito di forgiare lidentit del vino, educandolo e accompagnandolo nel suo processo creativo. Per poter fare ci una sola strada possibile: interagire con ogni fattore che intervenga nella creazione dellidentit del vino. Il primo e potente agente della specificit identitaria del vino proprio il territorio. Il rapporto tra territorio e vino , infatti, ineccepibile. Oggi se ne fa un gran parlare, dimenticando troppo spesso come non sia una sco-perta contemporanea, ma una realt con una storia antica quanto linvenzione del vino. I preziosi e numerosi testi antichi che ci sono stati donati dal passato sono 64E. Peynaud, op. cit., p. 64


64 una testimonianza di quanto il concetto di denominazione di origine correlato ai prodotti agroalimentari fosse gi pensato, interpretato e sfruttato65. Ulisse ubriac il ciclope Polifemo (Odissea, IX) non con un vino qualunque ma con quello di Ismaras(Tracia). I primi a introdurre lindicazione geografica del vino, non sono stati i francesi (a cui gli si pu attribuire la indubbia capacit di insegnare a ogni lingua del vino il termine terroir) o gli italiani del secolo scorso, ma gli antichi egizi: Tutankhamon volle e impose che sulle anfore contenti il vino fosse scritto il luogo di produzione66. In tempi pi vicini a noi, nel 1685, Redi espose nel suo Diti-rambo in Toscana unampia e particolareggiata rassegna dei vini toscani, con fre-quenti e caratterizzanti riferimenti alle zone di produzione. Oggi proprio questo rapporto tra territorio e vino sembra avere molti riflettori puntati addosso: produttori, enologi, legislatori, media e bevitori. Tante parole spese in merito non sempre sono supportate da una reale conoscenza e consapevolezza del tema. Infatti negli ultimi anni il vino tornato finalmente di moda, e sfoggiare una conoscenza in merito diventato gratificante non solo nei salotti pi esclusivi; conseguenza ne che parlare di terroir spesso risponde pi alla arida volont di partecipare a chiacchiere mondane che allo sforzo di compren-derne appieno il significato. Purtroppo in questo modo una delle denominazioni pi importanti del vino, per non dire la pi importante, assume la forma di una falsa scorciatoia per incapacit eno-logiche, e quel rapporto, ostentato anche dove non realmente percepibile, si tra-sforma in mero (anche truffaldino) strumento di promozione e di garanzia del liquido contenuto nella bottiglia. Un esempio: ancora oggi, nonostante i numerosi disciplinari oltremodo restrittivi, sul mercato circolano bottiglie che evidenziano sulla fascetta e/o sulletichetta lappartenenza ad un territorio, ma contengono uva proveniente da pi parti di Italia (in particolar modo il sud Italia). Per fortuna esistono persone che con professionalit, e quindi con competenza e onest, fanno il proprio lavoro e smentiscono il luogo comune dellitaliano che fatta la legge trova il modo e il mezzo di eluderla. Giacomo Tachis indubbiamente appartiene a questa cerchia e il successo non mo-mentaneo ma costante nel tempo dei prodotti nati dal suo lavoro ne sono una ine-quivocabile testimonianza. Proprio lui uno di coloro che hanno permesso al mondo enologico di comprendere cosa si intenda per rapporto tra vino e territorio. E ancora una volta lo strumento pi opportuno per arrivare ad una reale propriet del concetto la conoscenza. Per intraprendere nel migliore dei modi losservazione di questo rapporto, riporto qui di seguito le parole con cui Tachis ha descritto il Territorio: 65 Erodoto, che ricorda i profumi di Arabia, Orazio che menziona la porpora di Tiro, i vini di Falerno, di Sorrento e di Cos, il marmo di Frigia e la clamide tessuta a Mileto, Marziale che discerne il formaggio etrusco dalla impronta della luna (caseus etruscus signatus imagine lunae), ne sono eclatanti testimo-nianze. Dunque il Terroir stato scoperto ben prima di oggi!, in G. Tachis, Orchestrato di Gela e i co-mandamenti della buona tavola, Universit di Pisa Facolt di Agraria, 2001 66 cfr. H. Johnson, op. cit.


65 Il territorio un insieme di componenti del vino e della sua immagine: qualit del terreno, clima, esposizione del vigneto, tradizione, mito, cultura del contadino e del vinificatore, cultura del venditore. Anche il paesaggio, l’arte, la storia e la poesia sono componenti importanti del territorio, cos come la cucina, l’ospitalit e persino l’economia locale. La valorizzazione di un territorio inizia con veri dati di fatto sia per quanto concerne la cultura e il commercio sia per i fattori pedoclimatici. Sovente la valorizzazione di un territorio viene iniziata da personaggi singoli, che in seguito si associano o tro-vano imitatori interessati a percorrere una certa strada ritenuta valida. Ne consegue cos un fatto sociale o di ordine economico, che pian piano con studi, contrasti, ac-cordi e disaccordi, conduce a sviluppi pi o meno rapidi. E’ importante che tali svi-luppi restino al di fuori del dominio delle folle e delle loro passioni, e che vengano affidati alle serene ed equilibrate menti degli uomini di scienza e di diritto. Questo il territorio. Grazie a questa descrizione intuibile il ruolo fondamentale che gioca il territorio nella costruzione dellidentit del vino, partendo dal concetto che, come per gli uo-mini, lidentit memoria: rivela tutto ci che siamo stati, magari fino a un attimo prima67. E, allo stesso tempo, chiaro quale debba essere il ruolo dellenologo: va-lorizzare il territorio nel quale opera, per ottenere dei vini che rappresentino la mas-sima espressione qualitativa della zona, in linea con le nuove e sempre pi com-plesse esigenze del mercato moderno. Con la parola territorio si esprime, infatti, tutto ci che contribuisce a una produzio-ne enologica di qualit, e tutto ci che il vino, attraverso pratiche enologiche effica-ci, pu ricordare al suo degustatore. Rappresenta tanto il punto di inizio, dove il vi-no viene pensato e prodotto, quanto il traguardo da raggiungere, perch quella be-vanda deve essere capace di raccontare il territorio che lo ha generato. Racchiude in s lappartenenza del vino tanto allemisfero sociale quanto allemisfero naturale. Quindi parliamo di terra, dove la vigna getta le proprie radici. Parliamo di clima, di luce che accompagna la maturazione delluva. Parliamo di profumi che la natura dif-fonde nellaria che la vigna respira. Parliamo di uomini che si confrontano con la potenza della natura, coltivando la vite e trasformando luva in vino. Quindi parliamo anche di cultura e conoscenze proprie di quegli uomini. allora evidente la doppia connotazione del territorio: una fortemente legata alla natura, laltra direttamente connessa alluomo. Se per cultura si intende tutto ci che stato manipolato dalluomo68, assiomati-co come il territorio sia dove natura e cultura si fondono nel dialogo, e ne la pi eclatante delle espressioni percepibili: da un rapporto di scambio e rispetto nasce quello che possiamo ascoltare, leggere, respirare, vedere, e gustare. Le strade del vino rappresentano un’affermazione umana e culturale di alto ed ampio valore. Come il vino, anche le sue strade fungono da elemento conduttore di incontri, di comunicazioni, di scambi di informazioni e in particolare agiscono sul 67 cfr. G. Jervis, La conquista dellidentit, Feltrinelli, 1997 68 cfr Z. Bauman, Pensare sociologiacamente, Ipermedium Libri, Napoli, 2000


66 “palato civile” degli uomini. Le strade del vino inoltre svolgono un altro ruolo impor-tantissimo: non solo rappresentano una fra le espressioni pi esplicite dell’influen-za dell’attivit umana sul paesaggio, ma il loro percorrerle permette all’uomo di ap-prendere e di avvicinarsi alle “impronte storiche” del passato, il cui ambiente non soltanto modificato dalle varie attivit economiche, ma anche da azioni determi-nate da una forte motivazione spirituale.69 Cos, come gli uomini hanno lopportunit di respirare la storia attraversando le strade del vino, grazie agli inconfondibili segni che le civilt presenti e passate hanno seminato, nel rapporto di reciprocit tra natura e uomo le vigne hanno la possibilit di respirare la cultura dei popoli che le coltivano. Cercando di concretizzare quanto detto ci dobbiamo porre una domanda: qual il reale apporto che il territorio ha col vino? Il territorio cos ha risposto Giacomo Tachis apporta pi tipi di vantaggi alla qualit del vino: 1. vantaggi produttivi e quindi tecnici 2. vantaggi di commercializzazione 3. vantaggi di immagine 4. vantaggi di pubblicit e di conoscenza della zona. Il tutto dovuto alla specifica cultura della zona. incredibile che lorigine e la spiegazione di concetti tanto attuali siano nelle stra-ordinarie deduzioni di grandi uomini del passato come Galileo Galilei70 e Leonardo da Vinci. Ecco come Tachis mi ha descritto con poche parole la visione di Leonar-do:Leonardo da Vinci disse che gli uomini sono felici di abitare in un posto bello: lui infatti abitava in Toscana. Disse anche che i vini sono molto validi se nascono in posti molto belli. Questo vuol dire sole , luce, caldo. Vuol dire soprattutto luminosi-t. Tachis al primo posto mette proprio i vantaggi produttivi e tecnici, perch anzitutto il territorio, oltre che utile ed efficace strumento di valorizzazione dellimmagine del vino, influisce positivamente sul prodotto se ha quei fattori naturali e culturali che gli sono tanto cari: clima, microclima, luce, terreno, latitudine, altitudine, tecnica colturale e di vinificazione. Accanto agli insostituibili fattori pedoclimatici utili a uno sviluppo qualitativo, sono, infatti, inevitabilmente necessarie tecniche e strumenti enologici modificabili che siano capaci di valorizzare gli elementi naturali permanen-ti, vale a dire quel mix di natura e cultura di cui ogni grande vino non pu fare a meno. Ed un mix che Tachis ha ricercato, trovato e interpretato in ogni territorio in cui abbia lavorato, con la consapevolezza di poter fare di quei vini anche uno strumento efficace di valorizzazione territoriale. Questo lo testimoniano i suoi vini e le sue pa-role. Non un caso che quando gli viene chiesto di parlare di un vino non apre mai il racconto con le qualit organolettiche, con la composizione chimica della bevan-da, ma parla del territorio a cui appartiene, della storia da cui nasce, delle persone che hanno lavorato alacremente per permetterne la nascita. 69 G. Tachis, Introduzione a I. Piscolla, Le Strade del vino e dei sapori, Ci.Vin, Siena, 2004 70 Il vino un composto di umore e luce


67 Alla luce di tutto ci diventa indispensabile sapersi guardare intorno e vedere non solo quello che vino o vigne ma anche ogni altra cosa che identifichi e definisca la memoria di quello specifico territorio. Altrimenti come imprimere al vino stesso un carattere che possa essere riscontrato al primo sorso? Un esempio che vale pi di tante parole la Sardegna, in particolare il Sulcis. Qui Tachis ha saputo cogliere la potenzialit della natura grazie al racconto che fa di s non solo attraverso i magni-fici vitigni, ma anche con tutte le altre piante come i grandi ulivi, che hanno messo le radici su quella terra oltre mille anni fa, e ancora oggi non hanno nessuna inten-zione di abbandonarla. Quindi necessario sia saper osservare che ascoltare la na-tura, al fine di intuirne e rispettarne ogni minima manifestazione. E proprio il rispetto della natura la necessit primaria che la professione di enolo-go ha insegnato a Tachis. La sua forza, la sua potenza esigono che luomo si pieghi al suo volere: non sar mai la natura a modellarsi sulluomo. Certo con le conoscenze e la tecnologia di oggi si pu fare quasi tutto ci che si vuole, ma se lobiettivo leccellenza questa una regola a cui nessuno si pu sottrarre, perch quel quasi equivale ad un tutto o ad un niente. Produrre vino interpretando il territorio significa allora coltivare la vite ascoltando le esigenze della pianta e le particolarit pedoclimatiche che quel territorio ha da offri-re. Ma non solo. Significa anche rispettare la tradizione, la cultura dei popoli che ci vivono, rileggen-do il passato con gli occhi del presente e lo sguardo puntato nel futuro. Tachis ha sempre un profondo e sincero rispetto delle culture locali e lo dimostra con il suo lavoro e la sua conoscenza. Studia e interpreta il territorio proprio nella ricerca di mantenere le tradizioni che gli sono proprie, rileggendole in chiave mo-derna. Il fondamentale concetto di partenza che le tradizioni sono cose ben diverse dalle semplici ed a volte noiose consuetudini. E ben vero che non si pu buttar via il passato, in quanto la tradizione ha diritto al massimo rispetto, ma bisogna che es-sa sia valida e abbia un legame giustificato con linnovazione Anzi, a volte la tra-dizione, come ha detto Oscar Wilde, una innovazione ben riuscita.71 Tutto ci storia perch altrimenti non si spiegherebbe levoluzione del vino nel corso dei secoli. evidente come il ventre materno del vino sia sempre stato la ter-ra, eppure nel tempo si modificato nel gusto proprio perch plasmato dalle mani delluomo che in ogni epoca gli ha trasmesso il proprio sapere culturale oltre che tecnico-scientifico, cercando di trasformare il frutto della vigna secondo le proprie esigenze e gli strumenti a disposizione. Dalla profonda attenzione e rispetto del territorio nasce lamore, la passione e la predilezione di Tachis per un territorio: il Mediterraneo, il bacino della storia e della cultura del passato, ed qui che la vite ha avuto la sua culla. Il Mediterraneo, infatti, rappresenta tanto lhabitat ideale per la vite (luce, sole, cli-ma sono quelli che richiede), quanto quel luogo ricco di storie da raccontare che ne forgiano il carisma. 71 G. Tachis, Presentazione in AA. VV., La Sicilia del vino, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2003


68 Il Mediterraneo antico considerato la culla della civilt occidentale, il luogo reale e virtuale di incontro e di interconnessione fra tutti i popoli conosciuti. Lincontro fra cultura e natura, fra saggezza spirituale dei suoi abitanti e purezza selvaggia di al-cuni suoi paesaggi, costituisce il suo pi grande fascino e riscalda alla vita. La sua unit geografica si riscontra nella natura sincronica delle terre, come nel ritmo uniforme dei climi. Nella ripartizione zonale delle terre coltivate quella mediterranea prende la qualifica di regione della vite e dellolivo, piante che crescono dalluno allaltro termine di questo mare esso vanta una concentrazione di paesaggi natu-rali e umanizzati e un patrimonio culturale unici al mondo.72 La miglior testimonianza di quanto ho detto in questo paragrafo la degustazione dei vini nati sotto gli occhi attenti e vivi di Tachis, ma ogni parola sarebbe insuffi-ciente e forse anche inadeguata a descrivere le sensazioni. Allora il miglior epilogo di questo paragrafo quanto ha detto lenologo Carlo Casa-vecchia73: Si capisce assaggiando i vini che Giacomo Tachis pi che un grande enologo co-lui che ha cambiato il modo di interpretare il vino. Io faccio parte dei suoi vecchi al-lievi, ed lui che mi ha insegnato a interpretare un territorio. Non parliamo soltanto di concentrazione, di polifenoli, ma cerchiamo di interpretare una zona indipenden-temente dai vitigni. Quando si in un luogo dobbiamo immedesimarci e cercare con il vino di trasmettere quelle sensazioni, in modo tale che ogni persona beva quel vino in qualsiasi posto del mondo possa ricordare quel luogo con la mente. 2.3 Lenologo in vigna Giacomo Tachis, il principe degli enologi, non ha dubbi: la qualit del vino si pro-duce in vigna. Da enologo e quindi da alchimista, biologo, scienziato e umanista ha voluto far ca-pire allenologia italiana che la vera arte della sua professione non pu e non deve essere il trasformare unuva mediocre in un grande vino, perch qualsiasi ricetta chimica, qualsiasi elemento artificiale o naturale non capace di un tale miracolo. Lenologo deve lavorare in perfetta sintonia con i viticoltori e in cantina deve essere capace di estrarre le qualit organolettiche insite nelluva: la bravura risiede non nel migliorarle ma nel non peggiorarle. Si pu, infatti, dire che la vinificazione rivela il profumo primario e la fermentazione il profumo secondario, entrambi nascosti ma presenti nel frutto. Innumerevoli volte Tachis ha scritto e detto che: Il valore reale di un vino si basa su due elementi: 1. la qualit delluva nel senso pi completo del termine (soprattutto intendo la ricchezza dei suoi caratteri specifici): 2. lespletamento dei processi microbiologici ed enzimatici a partire dalla bacca al momento della vendemmia. Tutte le altre operazioni tecnologiche incidono pi o meno profondamente, ma non quanto i due elementi appena menzionati. 72 G. Tachis, Introduzione in Piscolla I., op. cit. 73 Carlo Casavecchia oggi lenologo dellazienda vinicola siciliana Duca di Salaparuta.


69 Di questo Tachis si fatto portavoce tanto convinto e irremovibile da assumere tal-volta le sembianze del cavaliere di una crociata. Del resto il concetto di vigna come fonte primaria della qualit del vino era gi stato intuito e sottolineato da altri illuminati del passato ma vissuti in epoche che non potevano n volevano accettare questa realt. Un esempio: Plinio Il Vecchio. Osservando larcaica Italia vitivinicola, Plinio Il Vecchio non aveva remore nellimputare la colpa della perduta fama dei vini italiani alla negligenza e ignoranza dei coltivatori. Andando alla ricerca di un secondo illuminato illustre facciamo un salto non di anni, ma di secoli, fino ad incontrare Galileo Galilei che in anni ancora sterili alla qualit enologica arriv a una deduzione di una modernit assoluta, che solo un uomo dal-la sensibilit e intelligenza pari alla sua poteva avere, ovvero: il vino un compo-sto di umore e luce. Poi gli anni a cavallo tra Settecento e Ottocento hanno visto accendersi i riflettori proprio sulle pratiche agricole e in particolare la coltivazione della vite, grazie alle ricerche portate avanti da numerosi studiosi e a tante iniziative nate per far incontra-re quelle menti e sviluppare unevoluzione corale.74 Lincipit era stato generato dallosservazione dei vini che i francesi riuscivano a produrre e commercializzare nonostante non avessero sempre una fortuna territo-riale, quindi pedoclimatica e culturale, pari a quella italiana75. Nel 1774 Ferdinando Paoletti76, nel suo Larte di fare il vino perfetto e durevole da poter servire allesterno commercio, scriveva con semplicit e chiarezza: A formare un vino prezioso, e durevole contribuisce in primo luogo, anzi essenzialissima la buona cultura procurata alle piante che lo producono. Sempre nel 700 un altro toscano, Cosimo Villifranchi, affermava con fermezza che i prodotti vinicoli presenti sul mercato rispondevano ad esigenze di quantit che mal si allineano con la qualit77. Nella prima met dell800, lagronomo e parroco di San Gimignano, Don Ignazio Malenotti scriveva la scarsit dei raccolti crea disamore e disattenzione verso la terra, cos il circolo diventa vizioso; per sopravvivere si tira via e si bada pi alla quantit prodotta che alla qualit. Si origina quindi per la vite in particolare un mec- 74 Non si pu dimenticare di citare almeno la pubblicazione di Thomas Henry, Esperienze ed osservazioni sui fermenti e le fermentazioni, la fondazione nel 1778 del Diario economico di agricoltura a Roma, nel 1783 fu fondato a opera del dottor Luigi Targione il Magazzino Georgico, nel 1786 fu pubblicato a Firen-ze il Giornale di Agricoltura, Arti, ecc. ad opera di Adamo Fabroni 75 Gi nel XVII secolo infatti a Firenze fu pubblicato un opuscolo anonimo intitolato Sul modo di fare il vino alla francese. 76 Ferdinando Paoletti era pievano di San Donnino a Villamagna, accademico dei Georgofili, il suo studio Larte di fare il vino perfetto e durevole da poter servire allesterno commercio fu approvato e pubblicato dallAccademia dei Georgofili nel 1774. Il titolo di questa ricerca testimonia la centralit che aveva la questione della stabilit dei vini, che dovevano affrontare viaggi oltreoceano e con il suo studio Paoletti allargava il discorso dalle pratiche in cantina alla viticoltura. 77coltivatori che valutano pi la quantit che la qualit del vino. G.C. Villifranchi, Oenologia toscana o sia memoria sopra i vini ed in specie toscani, Firenze, 1773, vol. I, p. 68


70 canismo di frenetica coltivazione scarsamente controllata e di bassissima qualit: il vino finisce per essere smerciato nelle bettole e nelle taverne.78 Il rapporto conflittuale tra quantit e qualit era, dunque, gi conosciuta da secoli, ma la quantit di vino richiesta dal mercato era tale da non permettere una messa in atto di una politica riduzionistica di produzione delle uve e quindi del vino. Il bic-chiere di vino sulle tavole, dopotutto, era parte integrante del nutrimento delle per-sone, e non conosceva la connotazione odierna di status symbol. Inoltre la cultu-ra promiscua delle campagne toscane, anche se rappresentava la principale causa della scadente qualit delle produzioni enologiche dei secoli scorsi, era una neces-sit oltre che una virt.79 Il concetto di vino come nutrimento dominava la tecnica produttiva della vigna e della cantina e la vecchia formula pauperis coena pane, vinu, radic, concorde con Orazio (un po di pane, un po di vino e qualche legume quanto occorre per vivere) si protratta per molti secoli, quasi fino al nostro nella fascia media e bassa della popolazione.80 Proprio per rispondere a queste esigenze di quantit gli errori pi gravi compiuti nel-la pratica enologica sono riscontrabili nella coltivazione della vite destinata a una convivenza forzata con altre colture arboree e erbacee, con un uso alla rinfusa delle variet di vitigni, e se talvolta erano selezionati, la scelta cadeva sulla pianta pi resistente e produttiva. Tutto in vigna rispondeva ad esigenze quantitative: dalla scelta dei vitigni, alla pota-tura lunga, alla coltivazione a vite alta. Questa era una politica che permetteva di raggiungere lobiettivo di una produzione a quantit elevatissime, ma il vino che ne derivava era un vino incerto e debole, con un gusto mai costante da un anno allaltro, commercializzato e bevuto nelle bettole e nelle taverne. Fino alla scom-parsa della mezzadria negli anni sessanta la cultura esclusiva della vite, ancor pi la cultura specializzata in vigna, era uneccezione riservata alla produzione di vini pregiati destinati alle tavole aristocratiche o alla sperimentazione di pochi illuminati. La diagnosi era quindi esatta e dichiarata ormai da secoli, ma la svolta stata resa possibile solo dal momento in cui il mercato ha iniziato a voltare pagina chiedendo una qualit di vino fino ad allora sconosciuta in Italia. Dobbiamo quindi attendere gli anni 60 per assistere ad una vera e propria rivolu-zione della coltivazione della vite, quando la scomparsa della mezzadria ha lasciato lo spazio allinnovazione. inequivocabile come, grazie allesempio e alla costanza di lungimiranti e illuminati, quali il Barone Ricasoli e Vittorio degli Albizi, gi a partire dalla seconde met dell800 lItalia vitivinicola inizi a percorrere una strada inno- 78 I. Malenotti, Manuale del vignaiolo toscano, Tipografia Pacini e figli, Siena, 1831, ristampa anastatica a cura del Comune di San Gimignano nel 2001 79 legame originario tra il prodotto del podere e la sussistenza della famiglia colonica, costituiva il carattere fondante della mezzadria, poich obbligava il mezzadro alla massima erogazione di lavoro per raggiungere il duplice ma non contraddittorio scopo di conseguire la maggiore e insieme pi variata pro-duzione possibile. La quantit era indispensabile per sfamare la famiglia, la variet per garantire una dieta accettabile oltre che per difendersi dallandamento del clima., C. Pazzagli, Et Lorenese, in Nanni P. (a cura di) Storia della vite e del vino in Italia, Toscana, Ed. Polistampa, Firenze 2007, p. 71. 80 G. Tachis, Considerazioni sul passato, presente e futuro della vitienologia, Universit di Pisa, 13 mar-zo 1999


71 vatrice. Comunque, come gi detto, solo a partire dagli anni Sessanta che la rivo-luzione enologica assunse un piano nazionale. 81 allora che il vino italiano ha iniziato a dar voce alla propria essenza di composto di umore e luce. Come sottolineato ripercorrendo le esperienze professionali di Tachis in Toscana, proprio nella vigna che a cavallo tra gli anni sessanta e settanta si iniziato a rivo-luzionare il mondo enologico, trasformando profondamente il paesaggio agrario to-scano. Zone con una consolidata tradizione vitivinicola come il Chianti hanno inizia-to a cambiare volto, e luoghi a cui non era attribuita una vocazione enologica di qualit, come Bolgheri, hanno cominciato a conoscere una nuova realt su cui po-ter costruire il proprio futuro. Ha cos preso il via un lavoro duro e ininterrotto di reimpianto delle vigne: vigneti specializzati, con maggior densit di piante per ettaro, ma una resa pi bassa per ceppo. La parola dordine finalmente era la qualit e quindi: produrre meno e meglio. Questo perch non pu esistere eccellenza in bottiglia senza leccellenza in vigna. Con questa consapevolezza i vini toscani e soprattutto il Chianti si sono lanciati verso il futuro, trainando nel tempo lintera vitivinicoltura italiana. Come ha detto Tachis: Finalmente, dopo anni, di percorsi paralleli lenologia ha sposato la viticoltura. Mi spiego meglio. Lenologo per decenni stato lo stregone e il viticoltore era il modesto agricoltore che produceva luva. Il suo ruolo finiva un metro dopo la vigna. Lenologo non pu disconoscere la viticoltura, il suo ruolo si valorizza soltanto se sa perfezionare e trasformare ci che ha fatto il viticoltore. Queste due figure devo-no viaggiare in sintonia, solo dalla collaborazione e fusione tra viticoltura ed enolo-gia ci sar una crescita nel mondo del vino.82 Siamo ai giorni nostri: nello scenario attuale dove lenologo ha una visibilit pari a nessunaltra professione del vino (sono sempre pi numerosi i produttori che sul biglietto da visita accanto al nome dellazienda mettono quello dellenologo), e Ta-chis non ha dubbi a chi vada attribuito il merito delleccellenza dei vini prodotti: lagronomo. Lagronomo deve essere superiore allenologo. Solo che, a differenza dellenologo, non mette il camice bianco, e il colore del bianco fa medicina. E ancora oggi il me-dico una figura carismatica. Dunque enologo e viticoltore devono operare in perfetta armonia, perch il loro dif-ficile compito interagire con la natura, ascoltandola e guidandola. E poich i grandi vini devono avere la capacit di trasmettere armonia ed eleganza, questo un risultato ottenibile esclusivamente con un processo, appunto, armoni-co dove ogni professionista lavora in sintonia con laltro. Lenologo il maestro 81 Dopo la fine del secondo conflitto mondiale la coltura specializzata in Toscana, ad esempio, interes-sava ancora solo 30.600 ettari contro i 500 mila a coltura promiscua. R. Bandinelli, M. Borselli, P.L. Pisani, Vitigni e portainnesti, in P. Nanni (a cura di) Storia della vite e del vino in Italia, Toscana, Ed. Po-listampa, Firenze 2007, p. 327. 82 quanto ha risposto alla domanda Dottor Tachis, qual il ruolo dellenologo oggi? Dellintervista pubblicata il 17 Luglio 2000 sul portale www.winenews.it


72 dorchestra e come tale ha loneroso compito di garantire che ogni strumento si armonizzi agli altri seguendo il ritmo della sinfonia vino. Ma non basta. Infatti, dato ormai per scontato che deve essere capace di rispettare ed esaltare le qualit delluva, lenologo deve essere pronto a sporcarsi le scarpe con la terra del-la vigna, per curarla come un figlio e conoscerne levoluzione dallinnesto alla matu-razione. Solo cos tornando in cantina gli sar possibile estrarre dalluva quei pro-fumi primari e secondari nascosti nel frutto. E la vigna non scherza, perch proprio in vigna che enologi e agronomi incontrano molteplici difficolt: l che si vive il duro confronto con la natura. Usando le parole dello stesso Tachis, la natura difficile, esigente e potente. E tutto. Ricompensa e punisce se stessa. Rallegra e tormenta se stessa. ruvida e mite, amabile e terribile, fiacca e onnipossente. Tutto sempre presente in es-sa.83 Sicuramente la conoscenza, la competenza e lesperienza sono necessarie e inso-stituibili, ma, come ha detto Tachis, la differenza tra un agronomo e un enologo bravo e meno bravo la fa la sensibilit, che, seppure innata, deve essere curata ed alimentata incessantemente. Per produrre grandi vini , dunque, fondamentale unuva coltivata in un determinato ambiente che deve avere qualit che non possono essere ne create, ne inventate, ma solamente percepite da enologi ed agronomi preparati da ogni punto di vista e con le antenne ben alzate. Queste qualit offerte direttamente da madre natura sono: un microclima, un sole e soprattutto una luminosit particolare. Occorre poi una corretta gestione della pianta e del vigneto, operazione che richie-de ancora una volta e prima di tutto sensibilit, poi metodo, costanza, attenzione e perseveranza. Lagronomo superiore allenologo ha detto Giacomo Tachis – per questa ragio-ne, perch non questione di vitigno. Io posso dimostrare alla societ che il vitigno conta ma fino a un certo punto. E il clima, la luce, lambiente che fa la diffe-renza. Se un toscano va a abitare in Sicilia prende la mentalit siciliana. Si tratta di saper coltivare la vite, di saper essere sensibile allambiente e scegliere il vitigno che reagisce meglio a quellambiente. Ovvero quello che respira meglio, quello che vegeta meglio, quello che, in un certo senso, produce meglio. E difficile, non una cosa semplice. Parlo di sensibilit! Quella sensibilit che lo ha portato anche a veri e propri scontri sullargomento. Le parole che riporto di seguito ne sono un esempio forte come il carattere di Ta-chis: inutile che si produca San Giovese in certe zone come negli Stati Uniti. inutile che si produca Nebbiolo in zone come Bolgheri. Io l ho provato e non venuto be-ne. Perch la natura sempre pi forte delluomo. 83 G.C. Tobler, La natura, pubblicato nel 1783 sul Tiefurther Journal, e in tutte le opere scientifiche di Goethe perch ne rispecchia le concezioni. , inoltre, un testo che Tachis ama e spesso rende partecipi i suoi ascoltatori.


73 La vita insegna molto, soprattutto le botte sul naso insegnano. Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo, spostiamo vitigni, portiamo Cabernet, Merlot. Ma mi volete dire che un Cabernet prodotto in Veneto uguale al Cabernet del Sassicaia, prodotto in Toscana in genere o in Sicilia o in Sardegna, eh?! Arrivato in Toscana negli anni 60, la forza di Tachis stata proprio quella di capire, in stretta collaborazione con i viticoltori, che il vino prodotto dalla regione e soprat-tutto nel Chianti, era un vino con qualit organolettiche deboli e instabili, e questo era il risultato di uno sfortunato connubio tra una viticoltura quantitativa e una tec-nica enologica priva di sensibilit84. Quando intraprese la sua professione di enologo si trov, infatti, a dover gestire uva nata da piante non selezionate, a cui era ancora richiesta una produzione ec-cessiva. Dopotutto in Toscana cera un vitigno dalla tradizione consolidata e con una poten-zialit pari a pochi: il Sangiovese. Ma ancora una volta ci troviamo davanti al problema numero uno della vecchia filo-sofia produttiva: la quantit. Infatti fino ad allora le scelte vitivinicole non riuscivano ad essere svincolate da prospettive di grandi quantit, rendendo quelluva incapace di espletare le proprie potenzialit anche in un territorio in cui luce, sole, clima e cultura sono oggetto di invidia di tante terre meno fortunate. Tachis, forte di una preparazione adeguata e di una sensibilit gi sufficientemente sviluppata, si fatto promotore di una nuova corrente di pensiero, partecipando con passione a molti studi e ricerche per una miglior selezione clonale del Sangio-vese, selezione sulla quale non ha mai avuto il minimo dubbio: Il Sangiovese ri-marr il vigneto rosso della Toscana: un Sangiovese perfezionato pi grasso e pi rotondo, con tannini dolci, ma pur sempre Sangiovese. E il Sassicaia gli ha insegnato che, nellattesa di una maggior fortuna qualitativa del Sangiovese, per ridar respiro alla vitienologia toscana era necessario dare inizio a una nuova generazione di bottiglie di qualit elevata, capaci di oltrepassare i confini nazionali con lapporto dei cos detti vitigni internazionali. Di fronte al successo di quella bottiglia di Bolgheri, con un uvaggio di Cabernet Sauvignon (85%) e di Cabernet Franc (15%), nata dalla collaborazione del Marchese Mario Incisa della Rocchetta e di Giacomo Tachis, lipotesi ha ceduto il passo alla certezza: per poter permettere una ripresa dellimmagine qualitativa della vitienolo-gia toscana era giusto diffondere con coscienza e saggezza nelle vigne anche vitigni alloctoni. A quel punto la consapevolezza parlava non solo del dovere, ma anche del poter produrre un prodotto diverso, con pratiche in cantina innovative e complementari, solo grazie alla coltivazione di un uva di nuovo concetto. Ancora e ancora prima la vigna, poi la cantina. Non ha mai avuto paura di affermare che il Sangiovese d il meglio di s quando ha un supporto, perch proprio in assemblaggio con altri vitigni riesce ad esprimersi con maggiore qualit. 84 Cfr. A. Santini, op. cit.


74 Daltra parte la scelta di accompagnare questa uva nella bottiglia con il frutto di vi-tigni cos detti internazionali stata necessaria per far fronte ad un Sangiovese an-cora povero, e quindi inadeguato alle richieste del mercato. E, tra i vitigni chiamati in supporto, il Cabernet stato il primo ed il suo ruolo inizia-le, a parte il Sassicaia, fu appunto quello di entrare in vinaggio con il sangio-vese e fratelli delle zone del Chianti, quale integratore, in un vino esile e smagrito, di sostanze estrattive, di colore, di profumo, di spessore e di sostanza.85 Questo proprio ci che Tachis ha fatto per gli Antinori, ideando e producendo il Tignanello. Questo vino nasce da un uvaggio di Sangiovese in maggioranza accompagnato da Cabernet. Un vino che ha fatto storia e, insieme al Sassicaia, ha proclamato la na-scita del fenomeno Supertuscan. Lo scetticismo e le aride critiche di tradimento alla tradizione toscana86 rivolte a Giacomo Tachis non si fecero attendere, ma i successi raggiunti nel tempo hanno avvalorato quella scelta coraggiosa. Dopotutto il risultato positivo ottenuto da que-sti vitigni non ha dimostrato altro se non il fatto che la Toscana una grande terra da vite e da vino, con peculiarit territoriali uniche e abitata da uomini dalla grande professionalit e sensibilit. Grazie alle innovazioni in vigna, e di conseguenza in cantina, volute e introdotte con consapevolezza da Tachis, sono nati nuovi prodotti enologici toscani che hanno ac-compagnato e indicato allItalia del vino la strada della riscossa, portando, fra laltro, la nascita del fenomeno chiamato Supertuscans, la rinascita di un Chianti pi sicuro di s, pi consistente e ricco87, grazie, anche, allestromissione dal pro-prio uvaggio delluva a bacca bianca, lintroduzione nel mercato di nuovi prodotti come il Galestro, e la rivalorizzazione del Vin Santo toscano. Poi lesperienza nelle altre regioni italiane ha fatto innamorare Tachis di altri vitigni: il Carignano, il Cannonau e il Vermentino in Sardegna, il Nero dAvola e il Grillo in Sicilia e tanti altri ancora. Da quellamore sono nati grandi vini che ancora cavalcano le onde del successo ottenuto. La professione era ormai ben strutturata e comprovata dal mercato, che ricambiava gli sforzi di Tachis apprezzando sempre e comunque le nuove etichette proposte. Forte di tutto ci ogni volta che approdato in un nuovo territorio, non ha mai porta-to con se una ricetta enologica, ma la stessa consapevolezza che gli ha permesso di giocare le scommesse vincenti in Toscana: non il vitigno in s che pu fare la fortuna delle bottiglie, ma il rapporto inscindibile di quelluva con quella vigna, con 85 G. Tachis, I vini nuovi, in Ciuffolotti Z. (a cura di), op. cit., p. 261 86 Vale la pena ricordare, a proposito di queste variet, ci che Cosimo Villifranchi scriveva nel 1773: se come storicamente si ammette, non certamente da fonte francese, che la coltivazione della vite in Francia risale allepoca della prima invasione dei Galli in Italia, che in seguito ad un editto dellimperatore Domiziano furono tutte spiantate le viti in Francio e che dopo limperatore Probo si prese cura di trasportare le pi scelte viti che si coltivavano e le fece piantare dalle sue stesse legioni, bisogna convenire che limportazione dei vitigni francesi in Italia sia una restituzione. 87 Pi ricco sia da un punto di vista delle note cromatiche e olfattive, sia da un punto di vista economico, infatti grazie allemanazione della legge 930 (intorno al 1968) sulla Tutela dei vini a Denominazione di origine, e grazie al suo nuovo volto il prezzo di mercato del Chianti cominci a salire.


75 quellambiente, con quella luce e quindi la capacit di viticoltore e enologo di capire quale vitigno produrre in quale territorio, come e dove. Non esiste in assoluto un miglior vitigno o un miglior metodo di coltivazione, ma ha senso parlare di vigna so-lo come rapporto di reciprocit tra territorio e uva. Cos parlando della Sardegna ha affermato: La vite una pianta capricciosa, fa buoni vini solo dove il clima pi adatto, dove il clima si presta meglio alla pianta stessa, perch vuole un determinato clima, esi-ge una determinata luce. Il Carignano viene molto bene nel Sulcis. Se lo portassi in Gallura verrebbe sicuramente meno bene. E ricordando lesperienza in Sicilia ha detto: Il Nero dAvola un gran vitigno. Tra i vitigni rossi il pi bel vitigno della Sicilia, meglio anche del Cabernet. In pi il Nero dAvola ha un carattere di sicilianit che non hanno gli altri vini. Se noi assaggiamo una bottiglia di Cabernet o di Merlot sono comunque buonissi-mi, perch vengono sempre baciati dalla luce di Galileo. Ma se non aggiungiamo un po di Nero dAvola rimangono solo dei grandi vini non siciliani. La sicilianit gliela da proprio il Nero dAvola. La natura fa le cose proprie bene. La natura paga luomo con la sua autorit, con la sua capacit. la natura che in-segna molte cose alluomo, non viceversa. Io ho provato a portare il Nero dAvola a Bolgheri, ed stato un fallimento. Proprio un vero fallimento. Un vitigno che viene bene al caldo, ha bisogno del caldo. Dopotutto anche noi sia-mo cos, se ci abituiamo a un certo clima poi ne abbiamo bisogno. Non possiamo condizionare la natura. La natura se ne frega di noi. tutto l. Credo che Tachis, nellaccezione di cultura come tutto ci che viene manipolato delluomo, sottoscriverebbe queste parole del sociologo Bauman: nessuna cultura richiede una obbedienza incondizionata come la natura.88 2.4 Lapproccio in cantina Solo adesso, dopo aver analizzato il rapporto tra Tachis e il territorio, e dopo averlo osservato a lavoro nelle vigne, giusto parlare di cantina. Abbiamo detto a pi voci che il percorso impostato ogni volta che ha dovuto affron-tare un nuovo progetto enologico non mai partito dalla cantina. Infatti solo dopo aver interrogato gli esperti del passato, aver conosciuto i cittadini di quel territorio, averne respirato laria, aver parlato con lagronomo e osservato la vigna, Tachis apre quella porta. Ritengo ha detto – che lottenimento della qualit attraverso vie naturali, ovvero at-traverso una tecnica viticola corretta e mirata in vigna e poi in cantina, costituisca il sistema migliore sul piano organolettico in primis e anche su quello commerciale. Non ha mai interpretato la sua come la professione della cantina. Seguire il processo produttivo a partire dal seme piantato, o meglio dalla vite inne-stata, senza tralasciare niente proprio ci che lenologo deve saper fare per af- 88 Z. Bauman, op. cit., p. 152


76 frontare consapevolmente lavventura della vinificazione, e, quindi, per intuire cosa sia necessario fare in cantina per ottenere il meglio dalluva, senza profanare tutto quanto stato assorbito durante lintero percorso. Grandi vini eleganti e non scon-trosi possono essere figli solo di un processo evolutivo armonico, che non abbia conosciuto bruschi cambi di rotta o aritmiche pause che inevitabilmente storpiereb-bero la melodia del walzer del vino. Unuva nata da una vigna in un territorio vuole percorrere il suo processo evolutivo e non quello di qualcun altro. l che le competenze, prima sensibili poi tecniche, dellenologo sono richieste per poter scegliere il miglior percorso delluva in vino. Ascoltando Tachis si capisce che questo ci che ha cercato di fare. E, pur non avendo mai vestito quel professionalizzante camice bianco (caro e utile a tanti suoi colleghi), stato proprio Tachis a introdurre tante delle novit che qua-ranta anni fa hanno fatto parlare, borbottare e anche indignare, ma che alla fine hanno fatto fischiare il treno su cui lenologia italiana stava viaggiando, ed oggi fanno parte della pratica enologica quotidiana. Come sempre il concetto di partenza che ha fatto la differenza. La pi importante innovazione introdotta nelle cantine italiane da Tachis non stata una particolar tecnica di fermentazione, di vinificazione, di maturazione o di affina-mento del vino. Ha saputo interpretare al meglio lenologia, le tecniche e gli stru-menti disponibili alla professione grazie a un concetto tanto semplice quanto di-sarmante: il vino vivo e come tale va trattato e rispettato. Ed sempre con que-sta idea, tanto rivoluzionaria quanto classica, che apre la porta delle cantine alluva appena vendemmiata. Ecco le parole di Tachis: Laffascinante processo di fermentazione in vendemmia e dellevoluzione del vino poi, ancora oggi suscettibile di rievocare nei vignaioli e negli appassionati talune immagini che ricordano alla lontana i miti antichi: il vino considerato natura vivente, che dal ribollire caotico delladolescenza, gradualmente, piano piano, giunge alla chiarezza e alla forza.89 Per questo non ha mai accettato la figura dellenologo come medico del vino: non pu esistere ununica ricetta valida per ogni vino, come non pu esistere una per-sona che abbia un percorso di vita identico a un altro. Lunica ricetta che potrebbe suggerire Tachis : sapersi adeguare alla natura e cer-care di guidarla. Il coraggio stato proprio di ammettere che luomo, ancora oggi, ha solo un parzia-le controllo dellevoluzione delluva in vino. Le conoscenze acquisite attraverso la chimica e la biologia applicata allenologia sono sicuramente approfondite e cono-scono una capillarit e una precisione che cinquanta anni fa non si immaginava nemmeno. Questo, per, non significa essere i Creatori del vino. Il vino, appunto, natura vivente, e lenologo deve essere capace di ascoltarlo grazie alle peculiari ca-ratteristiche enochimiche. In questo processo gioca un ruolo fondamentale anche un altro professionista: il cantiniere, che deve essere intelligente come afferma Tachis – e sensibile. Deve capire quando il vino sta bene o non sta bene, quando il vino fa cedimento o il vino si muove. 89 G. Tachis, Vino: ebrezza e malinconia, cit., p. 32


77 Ecco come Tachis spiega, ad esempio, quale debba essere la ragione della scelta del contenitore dove far invecchiare il vino: Parlando specialmente di vini rossi non che lenologo scelga a suo desiderio la botte o il fusto. Il tecnico deve decidere esclusivamente in base a caratteristiche enochimiche ben definite del vino che da invecchiare, in certo senso si pu dire che lenologo lascia la scelta al vino, in fun-zione della sua composizione chimica e organolettica.90 Ci che lenologo pu e deve fare con il vino educarlo, come un padre con il pro-prio figlio, cercando di guidarlo verso certe direzioni, ma non pu (e non deve) avere il pieno controllo di quella vita. Quanto appena detto uno dei concetti che ha portato Tachis, come uomo e stu-dioso da sempre amante della chimica, a criticare e disconoscere con fermezza quellenologia riduttiva e controproducente, che ha creduto di poter fare ci che vo-leva con polverine e soluzioni miracolose. Lapproccio che ha con luva, il mosto e il vino in cantina sicuramente concreto, razionale, tecnico e scientifico; infatti indubbio come sia uno dei massimi esperti del processo microbiologico, ma quando entra in cantina non lascia mai a casa ir-razionalit e romanticismo. Tachis ama la vita, la musica e la cultura classica, ed per questo che sa descrive le arti del suo mestiere con parole cos intonate: Viene da pensare persino che esista una impercettibile, misteriosa simpatia tra i diversi vini che si evolvono durante la loro maturazione Anche per questa ragione potrebbe giustificarsi il cos detto vinaggio, pratica con-sistente nellassemblare alcuni vini di qualit affini, allorch hanno gi trascorso da soli un certo periodo di maturazione nel vaso vinario. Operazione, questa, diversa dal cos detto uvaggio, ossia della mescolanza delle variet di uva ancor prima di ammostarla oppure dal taglio, cio la mescolanza tra vini generalmente diversi di gradazione alcolica, per rinforzare i pi deboli.91 Sono molti i giornalisti e i colleghi che lo definiscono come il maestro del taglio (talvolta anche con fare sarcastico e con una punta di invidia) e proprio questa sua seducente abilit di colorare di romantico anche la pratica pi razionale la sua unicit. Certo, quando necessario, capace di trasformare quel romantici-smo in numeri. Dunque non ci possiamo stupire se ci che pi affascina Tachis dellarte della vini-ficazione linsita imprevedibilit. Alla base, infatti, c, e ci deve essere sempre, un preciso e definito progetto del vino che si desidera immettere nel mercato, sen-za mai dimenticare che solo lo stappo finale della bottiglia far conoscere il prodot-to reale. Insomma, il vino proprio come un figlio e lenologo da padre sceglie un certo per-corso educativo sapendo quale futuro desidererebbe per la sua prole. Ma quante volte al desiderio non corrispondono i fatti? 90 G. Tachis, Italia: il legno e il vino dalla botte alla barrique, Regione Toscana -Direzione Generale Svi-luppo Economico, 2006, p.594 91 G. Tachis, Vino: ebrezza e malinconia, cit.


78 Come ha affermato Peynaud spiegando come vengono preparati i tagli e le partite dei vino: Si rimane a volte stupiti sulle evoluzioni del taglio sia in senso migliorati-vo che peggiorativo. Un capo cantina di nostra conoscenza diceva: Queste sono le sorprese del matrimonio. 92 Lesperienza sicuramente uno strumento fondamentale, un supporto eccezionale ad ogni scelta enologica, e gli errori commessi sono i miglior maestri. La stessa esperienza ha insegnato a Tachis che come di uno stesso vino non esi-stono due annate identiche, a maggior ragione ogni vino ha una storia evolutiva u-nica: niente riproducibile. questione di naso: intuito, olfatto e gusto. Per intuito intendo il risultato della somma di conoscenza e sensibilit. Con olfatto e gusto mi riferisco proprio a quei sensi umani che permettono di indivi-duare e conoscere odori, profumi e sapori. inequivocabile come siano strumenti di lavoro necessari e insostituibili per ogni enologo; lobiettivo ultimo, dopotutto, la produzione di vino che usando le parole di Tachis – un insieme di enzimi e di microrganismi che esprimono il loro modo di vivere con aromi e sapori e una biolo-gia biochimica. Ecco perch il ruolo dellenologo gestire e seguire levoluzione del-la bevanda, garantendone lequilibrio desiderato dei componenti chimici e delle so-stanze contenute, a cui sono imputabili i caratteri fondamentali, ossia pregi e difet-ti, permettondo al bevitore di percepirne i profumi ed i sapori (oltre al colore e alla consistenza) da cui dipender inevitabilmente la gradevolezza o meno, secondo laffinit al proprio gusto. E, man mano che lo studio della chimica analitica e della microbiologia avanza sempre pi, paradossalmente lintima composizione del vino si complica di pari grado, rendendo contemporaneamente pi lontane e pi vicine le interpretazioni e le spiegazioni. Anche in cantina allo stato attuale delle nostre conoscenze, quindi pi sicuro e pi semplice sottoporre il vino alla degustazione piuttosto che pretendere di analiz-zarlo per determinarne la qualit.93 Adesso diventa indispensabile entrare, anche solamente per un istante, nelluomo, prima ancora che nellenologo. Tachis ci ha descritto con calore lo scambio di empatia fra vini, valorizzando la par-te non dimostrabile e romantica del processo. Allo stesso modo Tachis scende nel puro tecnicismo, dicendo quanto segue: Non ho titubanze a ripetere che lenologia, oggi ancor pi di ieri, per massima par-te microbiologia applicata al vino, concetto pi volte ribadito dal professor Peynaud. Lattivit microbiologica che lenologo gestisce in questo ciclo dovrebbe essere mi-rata. Mi riferisco ai lieviti ed ai batteri ed in particolare a questultimi che sovente fanno confondere, pensare e soffrire Il lievito conferisce fragranza e profumo al vino dopo la fermentazione: i cosiddetti aromi secondari non sono altro che i fugaci profumi prodotti dal metabolismo cellu-lare dei fermenti alcolici.94 92 E. Peynaud, op. cit. 93 Ivi, p. 158


79 Tachis ha la visione dellinsieme, grazie alla grande cultura e alla non meno impor-tante sensibilit che lo contraddistingue. Questo gli conferisce una forza ed una sicurezza, non certo priva di umilt, che gli permettono di scendere nel paradosso senza esitazione. La cantina, come meta del processo produttivo, mette allevidenza la statura globa-le (nel senso buono del termine) di Tachis. 2.5 Le innovazioni in cantina Dai primi passi mossi da Tachis nel mondo dellenologia ad oggi le novit introdotte nelle cantine del vino si sono rincorse a velocit elevate. Per poterne capire la por-tata sufficiente pensare che ha detto Tachis – negli anni 60 la chimica dei poli-fenoli non era conosciuta, mentre oggi costituisce fondamento insostituibile dellenologia. Con questo paragrafo certo non ho la presunzione di poter descrivere ogni novit che entrata nelle cantine italiane negli ultimi cinquanta anni, ma cercher di de-scrivere quelle tecniche e quegli strumenti che hanno contribuito al cambiamento dellenologia italiana. Questa profonda evoluzione stata resa possibile grazie a una attenzione e uno spazio sempre maggiore donato a studi e sperimentazioni, anche se, purtroppo, spesso i pionieri sono stati paesi come la Francia, la California, la Australia, e non lItalia. Tachis, ovviamente, da insaziabile studioso non ha mai smesso di guardarsi attorno e ha sempre mantenuto contatti stretti con quei paesi che potevano insegnargli il nuovo. In Francia hanno vissuto due grandi enologi, Emile Peynaud e Jean Riberau Gayon, che usando le stesse parole di Tachis – hanno insegnato a tutto il mondo. Come ho gi detto pi volte, in Francia il suo miglior corrispondente stato proprio Emile Peynaud, con cui, dopo rapporti prettamente professionali, ha instaurato unamicizia vera e profonda, che ancora oggi lo commuove. Grazie a lui ha imparato tanto: ha approfondito le sue conoscenze nel campo della microbiologia, la gestio-ne dei tannini e dei polifenoli attraverso un saggio utilizzo delle barrique, il ruolo della fermentazione malolattica, limportanza delle mescolanze e dei tagli per rea-lizzare equilibrio e complessit nei grandi vini, laffinamento in vetro, e tanto altro ancora. In California ha trovato alcune delle pi autorevoli fonti per approfondire e com-prendere al meglio la fermentazione malolattica. A tal proposito le ricerche svilup-pate da Ralph E. Kunkee, professore della scuola di enologia UC Davis della Cali-fornia, hanno significato molto per Giacomo Tachis. Ha sempre guardato con grande curiosit anche alle ricerche portate avanti in Au-stralia. Oggi osserva quel popolo con particolare attenzione visto che proprio gli Au-straliani stanno studiando ci che Tachis aveva proposto a diverse universit italia-ne, ovvero lo studio tramite, un approccio biologico-molecolare, di tipologie nuo-ve del microrganismo che opera la trasformazione dello zucchero delluva non in al- 94 G. Tachis, Considerazioni sul passato, presente e futuro della vitienologia, cit.


80 cool, bens in prodotti di gentilezza e di grasso del vino, come glicerolo e simili. Infatti tutti i viticoltori ormai potano corto, ottenendo quantit ridotta di uva, ma pi ricca in alcool e polifenoli che d al vino ad alto tenore estrattivo, vino che riempie la bocca come vogliono gli americani (specialmente i loro giornalisti); vini rossi ricchi di colore e di tannino, non da fiasco, come si dice da noi. In questo caso luso della flora autoctona diventa quasi ridicolo. Importanti diven-gono, poi, anche i batteri criofili malolattici e alcool resistenti. Con lintroduzione di essi, quanta energia si risparmierebbe nelle cantine (e quanto denaro!): oggi riscaldare a lungo le cantine costa parecchio. Tachis convinto che questa sia una strada da percorrere, ma lItalia tradizionalista e cieca non stata capace di cogliere loccasione per prima. Ovviamente non dobbiamo mai dimenticare che Tachis non ha mai smesso di riser-vare uno sguardo privilegiato alle esperienze enologiche del passato, anche a quel-le dei popoli pi antichi. Infatti, come gi detto, ha sempre affermato con convinzione che molte delle prati-che enologiche moderne sono legate direttamente a quelle di un passato anche lontano, nonostante allora non esistesse la conoscenza scientifica di oggi. Queste sono le sue parole riguardo a ci: Fondamentale capire il punto di origine della vitienologia per prevedere e suppor-re dove essa andr domani. Adesso non resta che osservare da vicino le innovazioni introdotte da Tachis nelle cantine italiane. La prima in ordine cronologico stata oggetto di contesa di una delle dispute pi famose e chiacchierate nel mondo del vino: i tini in acciaio per la fermentazione. In terra di Bolgheri i due protagonisti del litigio erano due piemontesi ha detto Tachis stesso – testoni pi che mai: Giacomo Tachis e il Marchese Mario Incisa della Rocchetta. Era il 1968 quando Tachis arriv a Bolgheri per aiutare il Marchese nel suo progetto enologico di un vino in stile bordolese, figlio di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, e sui sistemi di vinificazione, in particolar modo la fermentazione, avevano due idee distinte sul da farsi. Mario Incisa, infatti, voleva far fermentare luva in tini di legno aperti, che credeva capaci di dare maggior sapore al vino. Tachis, invece, vedendo che in quei tini il vino era instabile, si ossidava facilmente e andava su di acidit volatile inacidendosi, suggeriva caldamente di introdurre tini metallici per poter controllare al meglio il processo, e in una lettera datata 9 luglio 1975 scrive-va: Per quanto riguarda l’acquisto di tini in legno per la vinificazione sono spiacen-te di esprimervi il mio fermo dissenso. Gi qualche tempo addietro vi proposi una fermentazione in tino metallico, in acciaio inox o acciaio e resina epossidica, per la possibilit di contenere le temperature di fermentazione, cosa che non si pu otte-nere con il legno. Anche i pi prestigiosi Chateaux del Bordolese e le migliori canti-ne spagnole fermentano i loro mosti nel metallo proprio perch si ottengono risulta-ti migliori di sapore e profumo…95 95 Fonte, www.sassicaia.com


81 Alla fine lultima parola tocc al nostro enologo e i vasi vinari in acciaio presero il posto dei tini in legno96. Grazie a quellesempio tante cantine italiane hanno scelto di fermentare la propria uva in tini di acciaio che permettono, appunto, un controllo costante della tempera-tura, un fattore essenziale per lo sviluppo e lattivit di lieviti ed enzimi, e quindi una gestione esterna di quel processo di trasformazione degli zuccheri contenuti nel mosto in alcool, anidride carbonica e numerosi prodotti secondari. Gli investi-menti economici a cui le aziende si sono dovute sottoporre per potersi adeguare a quegli strumenti sono stati ingenti, soprattutto dove, oltre a comprare i nuovi vasi vinari, stato necessario trasformare anche nellarchitettura la cantina per poter accogliere quei tini di dimensioni e proporzioni molto diverse rispetto ai precedenti. Oggi con occhi pi esperti sta rivalutando quella scelta; certo non tornerebbe ai tini aperti di legno, ma la sua preferenza cade su materiali diversi dallacciaio: Ho commesso tantissimi errori ha detto – , dovrei coprirmi il capo di cenere. Lacciaio inossidabile lho portato io in Italia. Ho fatto un grave errore a pensare che il vino volesse abitare in quella casa fredda, con la microossigenazione. Ho sbagliato. Il comodo talvolta diventa scomodo. Il vino ama il cemento, ama il muro o il legno. Tu vivresti in una capanna di legno o in una capanna di metallo, di lamiera? Questo non significa che Tachis abbia completamente rivalutato il ruolo dellacciaio durante il processo fermentativo, ancora oggi lo riconosce come strumento utile per un corretto controllo delle temperature, oltre che per ligiene, e con queste parole semplici e intuibili me lo ha spiegato: Non ho fatto il volta gabbana riguardo allacciaio inossidabile, perch la fermenta-zione viene comunque benissimo in un tino metallico. Lacciaio, infatti, un ottimo conduttore di temperatura (per non bisogna farne un contenitore per migliorare o invecchiare il vino). Il vino che fermenta come luomo che digerisce. Noi abbiamo bisogno di particola-ri temperature per digerire, cos come il vino per evolversi, per stabilizzarsi, ecc. La digestione deve avvenire al tiepido. Se subito dopo aver mangiato una persona va al freddo possibile che prenda una congestione, perch lo stomaco ha bisogno di enzimi e gli enzimi lavorano bene ad una temperatura di 18/20 ma anche di 22/25. Pi o meno la stessa cosa per il vino durante la fermentazione, e nella cella ossidabile si controlla molto bene la temperatura. Il vino deve stare a una buona temperatura per poter svolgere tutte le sue funzioni microbiologiche, biochi-miche ecc. Insomma, come il corpo delluomo. I problemi nascono per caratteristiche dellacciaio a cui il vino non pu adeguarsi: 1- effetti elettrochimici; 2- impermeabilit allaria Il vino sempre inquieto nellacciaio inossidabile. Questo perch lacciaio determina delle correnti elettrochimiche, e il vino non ama, anzi non sopporta affatto lelettrochimica. 96 Nonostante la partita persa, il Marchese Mario Incisa della Rocchetta non abbandon completamente il suo progetto iniziale, infatti si mise a produrre addirittura un suo anti-Sassicaia.


82 Un esempio: se una persona sale in macchina con il vento e le scarpe di gomma molto probabile che prenda la scossa, energia fisica. Inoltre lacciaio inossidabile impermeabile allaria, anche alla pi piccola quantit di ossigeno. Quindi il vino in quella casa non respira. Tornando allidea che il vino come luomo, se quando ti alzi al mattino non apri la finestra non respiri aria buo-na. I chimici allora hanno inventato il processo di micro-ossigenazione. Tutto questo inevitabilmente incide sul vino. Allora, oggi che la tecnologia avanzata e le possibilit di controllare la temperatu-ra nelle cantine sono sempre pi varie ed efficaci, la sua preferenza cade su mate-riali come cemento e legno. Certamente posso consigliare cemento e legno ha detto Giacomo Tachis – laddove esistano le pi adeguate condizioni climatiche. E tra i due preferisco il cemento perch non cede polifenoli, sapori. Inoltre sempre pi si parla e si certifica una reale possibilit di fermentazione a temperature pi elevate, alla stregua del fatto che due caratteri fondanti della quali-t del vino come colore e sapore vengono estratti proprio attraverso il calore. Allinterno degli stessi tini, in acciaio, in cemento o in legno che siano, successi-vamente alla fermentazione alcolica il vino (in particolar modo quel vino destinato poi a una maturazione in barrique e a un affinamento in vetro) viene sottoposto a un secondo processo: la fermentazione malolattica. Proprio questa una delle pra-tiche innovative che Tachis ha introdotto per primo nel processo di vinificazione to-scano, ancora una volta grazie al Sassicaia e agli insegnamenti di Emile Peynaud. La fermentazione malolattica quella pratica che ha reso possibile leliminazione del tradizionale governo alla toscana, ovvero laggiunta di uve appassite al mosto per indurre una seconda fermentazione allo scopo di ridurre lacidit e per stabiliz-zarlo sul piano biochimico. Per fermentazione malolattica si intende infatti quel processo microbiologico che sotto unattenta cura di enologo e cantiniere permette di far fermentare lacido ma-lico, grazie a una specifica attivit batterica, trasformandolo in acido lattico per ot-tenere un carattere pi rotondo97 del vino, come richiesto dal mercato. un pro-cesso che come ogni altro in cantina, deve aver ragione di esistere secondo il pro-getto definito, aiutando il vino a far conoscere le proprie caratteristiche strutturali. Cos, come ha detto Peynaud, la fermentazione malolattica non solo un mezzo per ammorbidire i grandi vini, ma anche un procedimento di affinamento del profu-mo in quanto accentua il carattere vinoso, a giusta ragione viene considerata come una tappa della maturazione dei vini destinati allinvecchiamento. Un altro punto di svolta nelle cantine toscane, che ha permesso una rivoluzione qualitativa dellenologia italiana, costituito dallevoluzione del vino: se fino a tutti gli anni 60 il vino invecchiava in grandi e vecchie botti per lunghi anni assumendo un colore mattonato, oggi il vino evolve il suo patrimonio fenolico e tannico in legno 97 Per effetto di questa conversione biologica, al vino viene conferito un gusto pi morbido, grazie alla sostituzione dellanione malico, di sapore aspro, con lanione lattico, molto pi dolce. M. Vincenzini, L. Granchi, Fermentazione Malolattica, in P. Nanni (a cura di), Storia regionale della vite e del vino in Itailia, Toscana, Edizioni Polistampa, Firenze 2007, p.549


83 nuovo o seminuovo, in piccolo98 fusto e/o in media botte per uno o due anni al massimo e poi si affina in vetro. Lavvento della barrique stato infatti uno degli elementi di svolta fondamentale dellenologia moderna. Giacomo Tachis stato il primo a portarle in Italia, ed lenologo che meglio interpreta questo strumento allinterno del processo evolutivo del vino. Questo perch i tanti studi dedicati alla chimica del legno gli hanno per-messo di comprendere appieno quali possano essere (e quali potevano essere) i vantaggi e gli svantaggi che questo elemento porta con s. A me piaceva molto studiare il legno, la chimica del legno ha detto – perch il le-gno una cosa viva, una cosa vitale. Come tutto quello che vitale fa parte della natura e noi ne sappiamo molto poco. Per questo mi interessava e affascinava. Poi entrato a far parte di un aspetto fondamentale del vino nella sua evoluzione. Qual il primo vino italiano fatto con limpiego della barrique? Ancora una volta il vino pioniere stato il Sassicaia, poi seguito da tanti altri come Tignanello e Solaia, fino a diventare un vero e proprio fenomeno di qualit imitato da molti in Italia, tal-volta con i presupposti tecnici e culturali adeguati, altre volte, purtroppo, solo come controproducente imitazione alla moda. Cos proprio Giacomo Tachis, colui che ha voluto e portato nelle cantine italiane le barriques per arricchire il patrimonio strutturale e polifenolico di certi vini conferendo loro caratteri organolettici speciali e maggiore spessore, senza tante remore dice: Oggi luso delle barrique una moda e cominciano a rompere le scatole. In unottica di false scorciatoie percorse da unenologia insensibile, le barrique sono come la cipria o il rossetto per le labbra delle donne: un trucco. In realt gi negli anni Ottanta Tachis metteva in guardia produttori ed enologi ita-liani, come testimoniano le sue stesse parole in un articolo pubblicato nel giugno del 1985 su LEnotecnico: Desidero esprime un concetto che oggi ritengo addirittura pi utile di ieri, perch limpiego del piccolo fusto, ossia della barrique, se si vuole peccare di francesismo, a volte rischia di scivolare in abuso e, mi si consenta, in ridicola moda. Troppa leggerezza e faciloneria, unitamente ad umana ambizione commerciale, spingono il tecnico, il produttore e il commerciante ad esprimere giudizi e tematiche di insicura e tanto fragile conoscenza tecnica su argomenti cos delicati, complessi e non del tutto conosciuti persino da quelli che li studiano ancora pi di chi lavora in cantina. troppo facile, quanto economicamente e tecnicamente pericoloso, contagiarsi di esteromania specialmente francese e americana (californiana) se alla nostra base non c una materia prima sicura e adatta ai nostri progetti. Il concetto fondamentale e a cui nessun enologo o produttore pu voltare le spalle che il vino deve essere buono di suo, non deve e non pu diventare interessante solo per il passaggio barrique, perch, come detto nel paragrafo precedente, la vigna la madre della qualit. 98 La capienza minore delle barrique, 225 l, una caratteristiche che permette al vino contenuto di ossigenarsi (fenomeno di cui ha bisogno per processo evolutivo), e non di ossidarsi (fenomeno frequente allinterno delle grandi botti).


84 La progettualit a monte deve quindi prevedere che sono le caratteristiche intrinse-che del vino a indurre alla scelta di un particolare processo di invecchiamento. Do-potutto, il legno nuovo assale il vino e se esso non possiede una sufficiente quan-tit di sostanze estrattive a carattere polifenolico positivo, che agiscono da para-fulmine, dal contatto prolungato con il legno ne esce organoletticamente perden-te.99 Per reggere la barrique sono allora necessari vini rossi molto robusti o mosti bian-chi i cui lieviti svolgano il ruolo di scudo. Altrimenti come sollevare pesi senza a-vere i muscoli per farlo: pericoloso. Dunque nel percorso dellintera progettualit sempre in vigna che sono richiesti gli sforzi maggiori, per cercare di produrre uva capace di dare vini di questo genere, e i fattori che concorrono in questo ruolo sono molteplici: dalla resa limitata di pro-duzione, al clima dellannata, al clone, allepoca di vendemmia, alla nutrizione della pianta, al sistema di vinificazione e altro ancora100. Tutto ci si rende ancora pi facilmente intuibile grazie a due principi di immediata comprensione enunciati da Tachis: 1. la vigna che produce luva da barrique. 2. completamente errato pensare di ottenere un grande vino semplicemente acquistando barriques, senza disporre di una base di partenza adatta a siffatto pro-cesso evolutivo. In cantina, se ci che richiesto allenologo di guidare il vino allinterno di uno specifico processo evolutivo che sappia esaltare i profumi naturali di quelle uve, la scelta delle barriques deve essere consapevole e devono essere gestite e dosate con sensibilit perch c sempre un equilibrio finale da dover rispettare, dove lodore di legno non deve cancellare gli altri profumi. Come ha detto Peynaud, in un certo senso, nei vini bisogna utilizzare il legno, co-me le spezie in cucina, solamente per dare risalto agli altri gusti. 101 Il vino che esce in commercio non dovrebbe far sentire il legno nel sapore e nel pro-fumo, la sua nota non dovrebbe essere immediatamente identificabile, ma rimanere discreta, in secondo piano. Eppure come ha detto Tachis: Quasi tutto il mondo produttivo impiega la barrique per conferire al vino il sapore e il profumo di legno vino da olfattoteche E questo il risultato di unerrata interpretazione delle barriques102, dovuta soprat-tutto a una propaganda mediatica priva di coscienza enologica, portando il consu-matore internazionale a formarsi il palato in ununica direzione, appunto le olfatto-teche di Tachis. Con uno sguardo non contagiato dalla moda e con il suo solito coraggio nellandare contro-corrente, Tachis convinto che il legno nuovo dovr essere sempre meno presente nelle cantine, grazie allevoluzione che continua ad avanzare in vigna in 99 G. Tachis, I vini nuovi, cit., p. 259 100 G. Tachis, Italia: il legno e il vino dalla notte alla barrique, cit. 101 E. Peynaud, op. cit., p. 71 102 Queste botti di legno nuovo dalla capienza di 225 l sono nate in Francia grazie a dei produttori che avevano notato e considerato che il legno contiene molti acidi ellagici e quindi tannino gallico che arric-chisce, rinforzandolo il vino.


85 una complementariet rispetto allambiente (soprattutto sole e luce) sempre pi ricercata, e quindi grazie alla produzione di uva con caratteristiche intrinseche di qualit sempre maggiori. In una buona cantina ha detto – ci deve essere il 20 % di legno nuovo, domani sar solo il 15 o 10 %, perch il gusto del legno viene a noia. Questo quanto ha potuto capire anche grazie alle esperienze lavorative nelle isole del sud, dove il sole e la luce sono tali da fare ci che nelle altre regioni viene ri-chiesto alle barriques. In Sicilia come in Sardegna c un sole che n Francia, n Piemonte, n Toscana, a parte la Maremma, hanno. Tutto quello che noi possiamo avere di grande vantag-gio nelle isole del sud proprio questo: i vini provengono da viti vissute con questo sole, che in parte gi polimerizza luva prodotta. Polimerizzarsi significa arrotondar-si, togliere le spigolature, togliere le punte che stridono al palato. Il sole della Sar-degna e della Sicilia, anche se a volte esagerato, rinforza i vini. Significa, allora, produrre un vino che in altri territori otteniamo soltanto con il legno, con luso delle barriques. I vini delle isole, allora, possono fregarsene del legno, e testimoniano che il vero sapore del vino non viene dal legno. Con occhi disincantati Tachis capace di muovere accuse pungenti che fanno riflet-tere anche su un piano non pi prettamente enologico, ma che spiegano molto: I prezzi del legno e delle barriques sono aumentati costantemente. Mi ricordo che i caratelli costavano 12.000 delle vecchie lire, poi 25, poi 50, poi 100. Oggi un fusto di legno costa 1 milione e mezzo (sempre in Lire). Ma sono cifre a vantaggio del vino o del portafoglio di chi lavora e commercializza il legno? Lintroduzione nelle cantine toscane di questa nuova interpretazione dellevoluzione del vino allinterno di botti dosate e lavorate nata per la necessit di far sviluppa-re anche in Toscana un vino di nuovo concetto, non pi di pronta beva, come si era soliti produrre fino agli anni Settanta, ma un vino con qualit organolettiche par-ticolari, che non terminano il loro ciclo evolutivo nelle cantine delle aziende, ma proseguono anche tra le mura delle case dei consumatori. Ecco perch nel proces-so produttivo enologico si aggiunta una nuova tappa, che ha regalato un valore fino ad allora sconosciuto alle bottiglie: laffinamento in vetro. Le bottiglie e i tappi sono il regalo pi grande che il diciassettesimo secolo ha fatto al vino. O meglio, i tappi di sughero in realt erano gi usati ai tempi dei Romani per chiudere ermeticamente le anfore che contenevano il vino, ma con larrivo delle botti celtiche nellalto medioevo lanfora e il tappo di sughero furono dimenticate in cantina fino al diciassettesimo secolo103. Finalmente con lintroduzione delle bottiglie di vetro chiuse ermeticamente con i ri-spolverati tappi di sughero la societ ha potuto riscoprire il gusto del vino invec-chiato. Ma in Italia tale tecnica non fu applicata con la giusta attenzione per decine e deci-ne di anni. Infatti dobbiamo attendere la seconda met del XX secolo per fare 103 Cfr. A. Antonaros, La grande storia del vino. Tra mito e realt, levoluzione della bevanda pi antica al mondo, Pendragon, Bologna 2006


86 dellaffinamento in vetro un arte, di cui Tachis maestro. Questo perch finch non sono state coltivate le vigne in un certo modo, finch non stato fermentato il mo-sto in un certo modo, finch non stato invecchiato il vino in botti in un certo mo-do, non esisteva un vino capace di far scoprire le sue qualit organolettiche dopo un attento affinamento in vetro. Fino ad allora la bottiglia di vetro in Italia rappresentava solo il contenitore con cui far arrivare il vino dissetante sulle tavole degli italiani. Oggi sono oggetto di grande attenzione sia da parte dei produttori che da parte dei consumatori consapevoli, perch inutile avere grandi vini con caratteristiche adatte allaffinamento in vetro se tali bottiglie non vengono poi conservate al giusto grado di temperatura ed umi-dit. 2.6 La voce imperativa del mercato Italiani un po pi sobri, decisamente bravi a selezionare le eccellenze, saldamen-te leader del mercato mondiale e, alla fine, pi ricchi grazie allindustria vitivinico-la.104 Queste poche parole raccontano perfettamente quale sia la situazione odierna del settore vitivinicolo italiano. Un mercato in continua evoluzione, con soggetti econo-mici, sociali e politici sempre pi numerosi che desiderano partecipare a questa partita dove la posta in gioco sembra elevata. Come protagonista e artefice del processo produttivo del vino ogni enologo, oltre a dover fare i conti con le difficolt tecniche e scientifiche del proprio lavoro, non pu esimersi dal confronto con un mercato tanto complesso. Come ha detto Tachis in-fatti lobiettivo primario, e ultimo allo stesso tempo, di ogni enologo produrre per il mercato. inutile impostare un vino che non appartenga al mercato. Il concetto base semplice: il vino non va solamente prodotto, ma soprattutto ven-duto. Questo significa in prima istanza produrre vino che rispecchi il gusto del consuma-tore. Ecco perch necessario che dietro ogni vino esista un preciso progetto eno-logico, in linea con le richieste del mercato. Nonostante sembri scontato questa una realt con cui il vino ha iniziato a interagire negli ultimi cinquanta anni, prima era soprattutto una bevanda che solo per abitudine si ricavava dalla terra. Ogni innovazione in vigna o in cantina stata una risposta necessaria alla rivolu-zionaria trasformazione del significato della bottiglia di vino nellimmaginario collet-tivo: non esiste pi il concetto di bere vino per dissetarsi, oggi prima di tutto pia-cere, fino a rappresentare un mezzo di identificazione, uno status symbol. Tachis ha saputo essere sensibile alla societ e capire prima di tanti altri questa trasformazione, diventando a tutti gli effetti il pioniere del Rinascimento della viti-vinicoltura italiana. Quando ha iniziato la sua professione di enologo, la richiesta da parte del mercato di prodotti enologici di maggiore qualit era recente e le aziende vinicole ancora non erano riuscite ad adeguarsi a questa domanda. 104 AA. VV., Rapporto sul settore vitivinicolo 2006, Retecamere, Roma 2007


87 Come affermato nel paragrafo precedente lenologo il garante della qualit del vi-no prodotto. Una riflessione di partenza si rende dunque necessaria: cosa si intende per qualit del vino? sicuramente importante che quella bevanda prima di tutto non contenga sostanze nocive alla salute dellindividuo, ma in questo caso ci riferiamo alle qualit igieni-che, irrinunciabili ma non uniche, che lenologo ha il dovere di sorvegliare. poi possibile parlare di qualit organolettiche del vino, ovvero i profumi, i sapori e i co-lori che capace di far conoscere al degustatore. Ma siamo ancora su un piano meramente fisico del prodotto. Per capire a cosa si faccia riferimento parlando di qualit ricercata in un vino ne-cessario affrontare altre discussioni e approcciarsi al vino con uno sguardo antropo-logico, sociologico ed economico. Solo cos possibile capire che la qualit non un dato a priori. La qualit esiste in rapporto alla persona che beve il vino, dipende dal suo apprez-zamento, cio dal suo gusto, dal suo piacere, dalle sue preferenze105. Affinch il mercato del vino esista e sopravviva fondamentale che sia un concetto onnipre-sente. Dunque, se produrre un vino significa soddisfare i bisogni e il gusto delle persone, fondamentale domandarsi cosa ricercato nel bicchiere di vino. Oggi il consumo di vino sostanzialmente diverso da quello che era fino a met secolo scorso, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo (appunto). Attualmente il consumo annuo di vino in Italia di circa 50 litri a persona106 e non rappresenta pi un alimento necessario ma un bene voluttuario. Dunque il vino non pi strumento per dissetarsi: oggetto di ricerca di piacere. E cosa intendiamo per piacere? Sicuramente vuol dire soddisfare le nostre preferenze gustative. Il gusto infatti un elemento fondamentale della qualit del vino, e come volevasi dimostrare anche il gusto non pu che dipendere direttamente dalla persona. Come ha detto lo storico Montanari: Il cibo non buono o cattivo in assoluto: qualcuno ci ha insegnato a riconoscer-lo come tale. Lorgano del gusto non la lingua, ma il cervello, un organo cultural-mente (e perci storicamente) determinato, attraverso il quale si imparano a tra-smettere i criteri di valutazione. Perci questi criteri sono variabili nello spazio e nel tempo: ci che in una determinata epoca giudicato positivamente, in unaltra pu cambiare di segno; ci che in un luogo ritenuto una ghiottoneria, in un altro pu essere rifiutato come disgustoso. La definizione del gusto fa parte del patrimonio culturale delle societ umane.107 105 cfr. E. Peynaud, op. cit. 106 Dai dati pubblicati nel Rapporto sul settore vitivinicolo 2007, realizzato da Unioncamere con la colla-borazione dellIstituto Guglielmo Tagliacarte Nomisma, nei dieci anni dal 1995 al 2005 il consumo inter-no italiano diminuito del 10,4%, nonostante ci lItalia ha visto lievitare, fino a raddoppiarsi, il saldo della bilancia commerciale del vino, passato da 1,68 a 3,38 miliardi di dollari. Sono dati che fanno riflet-tere. 107 M. Montanari, Il cibo come cultura, Editori Laterza, Bari 2006, p. 73


88 Dunque produrre vini di qualit significa produrre vini che sappiano ascoltare e in-terpretare il gusto delle persone, quindi vuol dire conoscere la societ in cui si vive e le necessit culturali delle persone che ci vivono. Oggi si fa un gran parlare di mondo globalizzato, ma losservazione della societ ha fatto capire che globale non significa solo rendere meno determinanti i confini geo-grafici fisici grazie ai mezzi di trasporto e ai mezzi di comunicazione che ne diminui-scono la forza. Abitare in un mondo in cui, con estrema facilit, possibile incon-trare e parlare con persone che appartengono a culture molto diverse e lontane dal-la nostre significa anche ricercare unappartenenza identitaria locale pi forte, per rendersi riconoscibile e riconoscerci in ci che ci circonda. Voler dialogare con so-ciet altre significa voler conoscere e assaporare la loro identit108. Ecco che anche il vino non pu sottrarsi a questa realt glocale e in un mercato dove sono sempre pi numerosi i competitors e gli acquirenti stranieri, la ricerca di una identit territoriale forte nei vini unurgenza improcrastinabile. Da profondo conoscitore delle scienze umane e da appassionato osservatore e a-scoltatore della societ come , Tachis ha sempre saputo tutto ci, e non lo ha mai dimenticato, chiudendo sempre e comunque alla perfezione il cerchio con cui pos-siamo identificare il mondo del vino. Insomma, da dove partire? La prima risposta che salta agli occhi il mercato con le sue richieste imperative e insindacabili, ma sondabili. E dove finire? La risposta sempre la stessa: nel mercato, perch quello il luogo a cui il vino prodotto destinato. Ecco perch linterlocutore privilegiato di ogni enologo proprio il mercato, e il suo gusto. Come ha detto Peynaud, il vino si evolve come si evolve la nostra civilt, prima di tutto nel gusto, e poi nella tecnica. In Italia una svolta importante stato il fatto che da un mercato prettamente nazio-nale, se non locale, si iniziato a dover fare i conti con un mercato internazionale. Questa era una condizione sine qua non era impossibile garantire un futuro alle a-ziende vinicole. Tachis, con lazienda Antinori, ha saputo intuire che quel mercato internazionale nel frattempo non amava bere vini rossi aciduli, magri pur con un grado alcolico eleva-to, ma vini pi rotondi, corposi con un patrimonio polifenolico consistente e con tannini meno aspri, caratteristiche queste che si ottengono a partire dalla vigna.109 Questa consapevolezza lhanno tradotta in pratiche enologiche modificando la com-posizione delle variet di uva (in particolare diminuendo la presenza delluva bianca nelluvaggio rosso, fino alleliminazione), e riducendo la variet delle uve rosse che hanno una buccia povera di tannino dolce e di sostanze estrattive in generale.110 108 cfr. B. Vecchi (a cura di), Zygmunt Bauman, Intervista sullidentit, Editori Laterza, Roma-Bari 2005 109 cfr. G. Tachis, I vini nuovi, cit. 110 cfr. A. Santini, op. cit.


89 Cos dagli anni 70 agli anni 80 e 90 sono nate molte e diversificate tipologie di vino in Toscana, dai Supertuscans alle numerose appellazioni Docg, Doc e Igt, con lobiettivo di esportare prodotti di qualit capaci di adeguarsi al gusto dei consuma-tori internazionali. Vini, quindi, in grado di veicolare unimmagine del territorio to-scano evocatrice di qualit e ricchezza culturale. Mentre Tachis lavorava per lazienda Antinori e muoveva i primi passi della sua pio-nieristica visione di ci che doveva essere produrre vino, anche le istituzioni politi-che iniziarono a voler supportare una possibile rinascita del mercato enologico. Lintroduzione, nel 1963, della Denominazione di origine dei vini ha contribuito in modo positivo alla valorizzazione delle produzioni, oltre che alla loro tutela. Il DPR 193 del 12.07.1963 aveva, infatti, lo scopo di offrire precise garanzie di tutela ai viticoltori e ai consumatori dei vini prodotti in zone esattamente definite, con vitigni, tecniche tradizionali e caratteristiche enologiche stabiliti dai rispettivi disciplinari111. La normativa intendeva proprio di evitare che vini di scarse qualit danneggiassero limmagine di vini pregiati portandone il nome e quindi facessero diminuire la do-manda e i prezzi di quelli originali. I risultati furono quelli sperati, ma questo bilan-cio positivo iniziale ha fatto interpretare nella direzione sbagliata, sia da parte di produttori che di politici, lo strumento legislativo. Infatti da un lato si assistito a un sempre maggior utilizzo di quella carta di identit come mezzo di promozione e riconoscibilit dei vini, dallaltro lato i funzionari dello stato hanno operato rendendo sempre pi numerosi, ma restrittivi quei disciplinari fino a diventare uno scomodo vestito per le bottiglie. Lenologo deve inevitabilmente confrontarsi e adeguarsi anche a questi strumenti, ma non sempre tanto necessario quanto possa sembrare. Tachis ha avuto la forza e la capacit di capire che, in unottica di continuo aggior-namento alle mutevoli e plurime esigenze del mercato, talvolta la strada migliore da percorrere quella solitaria, senza il supporto di immagine che i disciplinari posso-no offrire. E cos ha fatto ogni qualvolta abbia proposto al mercato nazionale e internazionale prodotti innovativi di qualit, che hanno aperto la strada a vini di nuovo concetto, e a nuovi mercati possibili per lenologia italiana. La consapevolezza nasce da un concetto semplice: Non decide la legge. il palato che decide tutto. Noi siamo figli di uneccessiva tradizione, luomo libero solo quando non ha vinco-li e obblighi. Perch la vite nata libera, la natura libera, e la vite deve essere guidata dalla natura. 111 cfr. P.L. Pisani Barbacciani, P. Nanni, La viticinicoltura toscana negli ultimi cinquanta anni, in Ciffoletti Z. (a cura di) Storia del vino in Toscana. Dagli Etruschi ai nostri giorni, cit.


90


91 3 Capitolo GIACOMO TACHIS, LENOLOGO COMUNICATIVO Noi uomini dobbiamo al vino la prerogativa di essere i soli esseri viventi che bevono pur senza avere sete. – Plinio Il Vecchio – Luomo un animale che si ciba di carne, di vegetali e di immaginario. – Lvy Strauss – 3.1 Essenza comunicativa del vino Il vino ha una potente forza comunicativa. Questo lha dimostrato in ogni epoca e implicitamente ne spiega la presenza costante nella storia della civilt mediterra-nea. La sua essenza comunicativa si sviluppa attraverso due canali principali: – le qualit organolettiche – la carica simbolica attribuita Iniziando dal primo punto indubbio come un canale di comunicazione preferen-ziale tra vino e degustatore rappresentato da tutte quelle qualit che gli ap-partengono e che lo rendono riconoscibile come tale. Il vino, infatti, si racconta al proprio degustatore attraverso colori, profumi, sapori, e struttura. Proprio quelle peculiarit rappresentano la voce del vino attraverso la quale si crea lintimo rap-porto dialogico con luomo, che a sua volta ha a disposizione i sensi, strumenti insostituibili per conoscere soggettivamente quella bevanda. La degustazione rappresenta una specie di lettura, ed i vini costituiscono i te-sti.112 Per poter leggere questi testi nessuno dei nostri sensi escluso dal compi-to di decodificarne i segni, ma sicuramente lolfatto ha il privilegio di veicolare alla nostra mente molte, se non la maggior parte, delle informazioni, traducendole in ci che percepibile come il gusto del vino. Tachis non solo cosciente di questo, ma ne anche testimone, da uomo e da enologo: Lolfatto una vista strana: evoca paesaggi sentimentali attraverso un disegno improvviso del subcosciente intellettuale, spirituale e anche organoletti-co113 Cos nel mondo occidentale contemporaneo, nella cosiddetta societ dellimmagine che ha attribuito alla visione il privilegio in campo conoscitivo, il vino ci permette di ridare la giusta collocazione al senso da cui deriva la nostra perce-zione del mondo fin dai primi secondi di vita. Eppure, per rendere evidente lingannevole primato della vista sugli altri sensi, sarebbe sufficiente ricordare 112 E. Peynaud, op. cit., p. 32 113 G. Tachis, La nostalgia di sapori e profumi nel mondo contadino, Universit degli Studi di Pisa, mag-gio 2007


92 lorigine del verbo sapere: deriva dalla parola latina sapio che significa assa-porare, gustare e anche aver odore114. Il vino, insieme a tutto ci che nato intorno al mondo enologico negli ultimi de-cenni, e alla riscoperta del piacere come elemento fondante del desiderio di bere questa bevanda, inducono a rileggere come volont di rieducare la nostra percezio-ne degli odori, nel silenzio olfattivo del mondo contemporaneo115. Profumi e sapori, dopotutto, sono quelle caratteristiche del vino che lo identificano e al degustatore danno la facolt di giudicarlo, determinandone laffinit o meno ai propri gusti: buono o non buono. Sono, infatti, qualit che emergono dalla degustazione, e permettono una classifi-cazione allinterno di quella lunghissima e variegatissima (infinita direi) lista di vini possibili: bianco, rosso, o ros; giovane o maturo; secco o dolce ecc. ecc. Questa inesauribile capacit del vino di assumere forme diverse non ci deve stupire alla luce di quanto detto nel capitolo precedente, ovvero che il vino un prodotto socia-le che nasce da uninfinita possibilit di combinazioni di due principali fattori (da cui ne derivano molti altri): uomo e natura, cultura e uva. Oggi la riqualificazione del prodotto vino resa possibile grazie anche alla nascita di una vera e propria cultura enogastronomica116: abbinare i vini ai cibi nel miglior modo possibile diventata una ricerca costante in tutto il mondo. E ancora una vol-ta il gusto il padrone della scelta: sapori e profumi devono incontrarsi armonica-mente non solo nel piatto, ma anche nel matrimonio combinato tra forchetta e bic-chiere. Come ha affermato Massimo Montanari: Accostare i cibi ai vini, assaporare un vi-no a tavola, valutarne il colore, il profumo, il sapore sono gesti divenuti consue-ti.117 Riassumendo quanto detto finora le qualit organolettiche sono prima di tutto quel-le peculiarit che permettono a una bevanda di essere chiamata vino; in secondo luogo ne rappresentano i caratteri denotativi che hanno permesso alluomo di co-noscere e di innamorarsi (a patto di non essere astemi) di quella bevanda che lha accompagnato nellevoluzione della civilt. Il vino comunica se stesso prima con il palato, poi con la mente e infine con lo spirito delle persone. Lincommensurabile mole di possibili sapori, profumi e colori che ununica bevanda capace di trasferire dalla bottiglia al bicchiere, dal bicchiere al palato, uno dei motivi che ha portato alla nascita di professioni con il compito di gestire o comuni-care quella sua peculiare essenza. Sto pensando allenologo, colui che cura e ga-rantisce la qualit del vino, e al sommelier, colui che racconta e ritualizza il sempli-ce ma tanto significativo gesto di bere un bicchiere di vino. 114 A. Gusman, Antropologia dellolfatto, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 12 115 Cfr. A. Le Gurer, I poteri dellodore, Bollati Boringhieri, Torino 2004. 116 Il passaggio da cultura semplicemente enologica a cultura enogastronomia gi in passato fu motivo di riqualificazione del prodotto vino nel mercato. Un esempio: Adolfo Laborel Melini, un vero pioniere nellaprire al vino toscano la strada dellesportazione, intu nel periodo di Firenze capitale (1865-1870) limportanza di combinare vino e cibo, trasformando l fiaschetteria, che aveva nella capitale, in un risto-rante assai rinomato. Z. Ciuffoletti, Storia del vino in Toscana. Dagli Etruschi ai nostri giorni, Edizioni Polistampa, Firenze 2000, p. 171 117 M. Montanari, Il vino a tavola, introduzione in A. Antonaros, op. cit., p. 9


93 La professione del sommelier, proprio come lenologo, ha una storia lunga e affa-scinante. Il vino, dopotutto, ama profondamente i rituali, o meglio luomo ha sem-pre condito questa bevanda con rituali pi o meno eclatanti. E se ci voltiamo indie-tro nel tempo e nello spazio possiamo incontrare gli antenati dei nostri sommelier al tempo dellantica Grecia, che tanto ha amato il vino, rendendoci partecipi di que-sta passione attraverso le molteplici testimonianze scritte che ci ha lasciato in ere-dit. Le tecniche vitivinicole di quel popolo producevano una bevanda che nel gusto e nel grado alcolico non incontravano i favori dei bevitori, e cos fecero del taglio una vera arte: la calibrata aggiunta di acqua (dolce o salata), di spezie , di resine e di melasse era fondamentale per poter godere appieno dei piaceri del vino118. Facendo salti temporali molto ampi si ritrovano figure molto simili anche nelle ta-verne romane e poi medievali, nelle osterie pi recenti, fino ad arrivare ai sommelier che conosciamo oggi, a cui demandato il compito di raccontare e ser-vire il vino, per apprezzarne appieno le qualit. Un vino che, oggi, viene percepito come prodotto finito e non pi come materia prima. Il fatto che questa figura pro-fessionale, ma soprattutto questo modo di rapportarsi al vino stia conoscendo sempre maggiori favori (in Italia il numero di iscritti allAssociazione Nazionale di Sommelier e il numero di frequentatori di corsi atti a insegnare larte di degustare il vino in continua crescita119) un evidente segno di come oggi lapproccio alla be-vanda nasce non per un bisogno fisico di dissetarsi, ma per soddisfare il palato, con la volont di conoscere pi intimamente il vino. Se da un lato, allora, si tende a confinare il vino nellambito del piacere gustativo, dallaltro si cerca sempre pi di comprenderne i significati pi ampi che possiede e possedeva nelle civilt premo-derne. Eccoci al secondo canale comunicativo proprio del vino: i molteplici significati, valori e ruoli attribuiti dalluomo. Abbiamo detto che il vino fondamentalmente uninterpretazione umana del frutto della vite, e questo ha permesso alluomo nel corso dei secoli di immergerlo con-sapevolmente in un sistema di segni, di forme e contenuti di vaste e variegate proporzioni. Attraverso la rilettura della storia del vino emerge che Vite e vino sono fra i pi im-portanti simboli sociali emersi lungo le coste del Mediterraneo.120 La vite, ad esempio, grazie alla sua stessa natura, fin dai tempi pi remoti si pre-stata ad una rappresentazione simbolica della fertilit e dellimmutabile ciclo vitale. La sua morte apparente durante linverno e la rigogliosa rinascita primaverile sono eventi che luomo ha sempre osservato con partecipazione spirituale e simbolica. A tal proposito riporto qui di seguito le parole di Giacomo Tachis, che testimoniano la profonda conoscenza della natura con cui ha dialogato in tutto il suo percorso professionale, ma soprattutto testimoniano la sua cultura: Lalbero da sempre 118 Cfr, A. Antonaros, op. cit. 119 Come afferma la stessa AIS in un comunicato stampa del 2006 sono oltre 32.000 il numero di iscrit-ti allAssociazione di cui il 38% costituito da giovani e da donne sotto i 35 anni, e come mi ha detto Franco Ricci, presidente di Bibenda, ogni anno nella loro sede centrale di Roma sono pi di 100.000 le persone che in un anno frequentano la loro associazione. 120 T. Unwin, op. cit., p.10


94 lamico pi sincero della nostra vita. Esso, secondo le credenze popolari e non po-polari, il simbolo stesso delluomo, della sua vita, del suo destino, delle sue spe-ranze oltre la morte. Lalbero per eccellenza misura del tempo: segna infatti il dissolversi delle stagioni conosce la sofferenza, viene offeso e maltrattato dalle intemperie, ma esso non cede. Nei rigori dellinverno infatti sembra morire, invece prepara la primavera.121 Anche il vino, come prodotto della vite, entrato a far parte di questo ambito sim-bolico assumendo un ruolo di primo piano in tutte quelle celebrazioni civili o religio-se che si riferivano alla fertilit della terra. Ogni religione antica ha individuato una divinit specifica da collegare al vino il Dioniso dei Greci e il Bacco dei Romani, solo per portare due esempi e anche se i nomi erano diversi li accomunava il fascino della sfida: possono distruggere luomo ma anche innalzarlo a vette impensate.122 Questo ci che rappresentava il vino grazie ai possibili effetti che pu avere sul fisico e sulla mente. Le civilt premoderne interpretavano lo stato di euforia dovuta allalcool come una partecipazione umana al mistero della natura. Il vino diventava cos un ponte tra luomo e gli dei. In virt di questo la bevanda di Bacco stata caricata ancor pi di simbolismo. I conseguenti significati che gli sono stati attribui-ti sono soprattutto di ordine religioso. Ogni religione infatti ha identificato nel vino una precisa simbologia123. In particolare nella tradizione Cristiana ha sempre rappresentato metaforicamente il sangue della Terra: bere vino per avvicinarsi a Dio. Non a caso nei tempi pi re-moti alleucarestia partecipava tutto il pubblico, poi nel Medioevo, quando il vino scarseggiava, nata la tradizione che conosciamo oggi, ovvero il sorso di Cristo prerogativa del Prete. Ecco allora dispiegarsi cos la chiameremmo in termini moderni una straordina-ria promozione di immagine: il vino diventa un simbolo centrale della nuova fede, vincente e potente; contestualmente allaffermarsi di questa nuova fede, luso e la produzione del vino si allargano nel continente europeo.124 Anche nelle arti pi profane al vino sono stati attribuiti particolari significati, e tal-volta evocare la parola vino stata la metafora migliore per raccontare stati danimo complessi. Dopotutto il vino per millenni ha rappresentato per luomo lo strumento attraverso cui lenire le proprie sofferenze fisiche e mentali. Fin dai tempi del greco simposio il vino, inoltre, era la bevanda per eccellenza da bere in compagnia, conversando, divertendosi e innamorandosi con spirito pi libero. In ultima analisi, ma non ultima come importanza, il vino ha sempre avuto una va-lenza di status symbol. In epoche remote era una prerogativa di pochi sia nel de-siderio che nella fattibilit; infatti la produzione qualitativa era in quantit cos infini- 121 G. Tachis, La socialit delle piante, Universit degli Studi di Pisa Facolt di Agraria, Maggio 2005 122 M. Montanari, Il vino a tavola, cit., p.9 123 cfr. G. Tachis, Limmagine del vino nellantichit, 1 Giugno 1990; e G. Tachis, Nel vino il mito. La sa-cralit del vino e i suoi rapporti con Dioniso, Se gesta Teatro Greco, 28 Agosto 2002 124 Ivi, p.9


95 tesimale da rendere la stessa conoscenza del prodotto diverso alla portata dei pi facoltosi. Oggi il mercato del vino soprattutto questione di status symbol: la volont di affermarsi e di distinguersi complice nella scelta di una bottiglia particolare. 3.2 Una sintetica panoramica di insieme degli strumenti di marketing del vino Nonostante il vino abbia unintima essenza comunicativa, saper comunicare una facolt che ancora oggi appartiene a poche aziende vitivinicole italiane. La com-plessit di segni e significati propri del vino una delle cause delle difficolt incon-trate nella progettazione e attuazione di strategie comunicative efficaci ed adegua-te. Nella societ contemporanea dove non si pu non comunicare il mondo del vino sembra allora che debba compiere ancora molti passi in questo ambito. Basti pen-sare che pi del 50% delle aziende dedicano alla comunicazione una spesa inferio-re al 5% del proprio fatturato125. Con questo non intendo dire che la spesa in co-municazione indicatore di qualit comunicativa, ma di fronte a evidenti risposte poco gratificanti e poco controllate del mercato iniziare a investire maggiormente in questo campo, con limperativo della competenza e della professionalit, potrebbe essere una via da percorrere. Strumenti di marketing efficaci ed adeguati sono ne-cessari per conquistare significative quote di mercato in un panorama come quel-lo attuale dove la concorrenza sempre pi numerosa, i vini di aziende diverse of-ferti al mercato tendono ad assomigliarsi sempre pi (anche come effetto perverso dei disciplinari in vigore che tentano di regolare troppo nello specifico una fetta sempre pi ampia di mercato), e la domanda diminuisce in quantit, ma richiede una qualit sempre maggiore126. Come emerge dal Rapporto sul Settore Vitivinicolo, 2007 elaborato da Nomisma le aziende, dopotutto, hanno chiaro che oggi la com-petizione si gioca su un duplice equilibrio basato non solo sulla qualit del prodotto ma soprattutto sulla capacit di venderlo: la qualit del prodotto un criterio es-senziale, ma se non affiancata da una strategia di marketing adeguata non suf-ficiente per vendere quantit significative. Insomma, la qualit deve essere percepi-ta dal cliente coerentemente al marketing mix del prodotto che include un prezzo, un canale distributivo ed una comunicazione127. Questo perch il consumatore ogni qualvolta debba scegliere quale vino comprare, tra gli elementi che terr in conside-razione inevitabilmente ci sono: la disponibilit del prodotto, il modo in cui viene presentato, il suo prezzo, il suo aspetto e la comunicazione relativa. Questo tanto pi vero oggi che la maggior parte delle bottiglie (almeno il 608) vengono acquistate sugli scaffali muti della grande distribuzione. Ogni cliente inevitabilmente portatore di una propria conoscenza del mondo del vino, ma spesso 125 Cfr. R. Pastore, Il marketing del vino e del territorio: istruzioni per luso, FrancoAngeli, Milano 2006, p. 135 126 Cfr, Ismea, Panel agroalimentare: Il sistema competitivo della trasformazione vitivinicola in Italia, 2005 127 Cfr, E. Rouzet, G. Seguin, Il marketing del vino. Il mercato, le strategie commerciali, la distribuzione, Ed agricole, Bologna 2006. 128 Cfr, Ismea, Panel consumi: Acquisti domestici vini e spumanti, 2000-2004


96 non sufficiente per scegliere il prodotto tra i tanti proposti su quelle vetrine. Come detto, infatti, sono i sapori e i profumi le qualit da cui deriva il nostro compiaci-mento, o meno, nel degustare la bevanda, e la bottiglia rappresenta una promessa di ci che potremmo scoprire nel bicchiere. Ecco perch tanta attenzione dedicata alla progettazione comunicativa e alla regolamentazione di quei contenitori. Sugli scaffali dei supermercati la bottiglia che da sola dialoga con lacquirente, deve allora essere diretta e interessante nel modo di comunicare, poich il cliente far la prima scelta proprio in base allinsieme complesso di informazioni che quella botti-glia gli comunica. Le stesse bottiglie, peraltro, nelle loro molteplici forme hanno la potenzialit di far rimandare immediatamente a un certo tipo di vino. Le etichette, le contro-etichette e le fascette (la cui redazione regolata dalla leg-ge) sono una fonte insostituibile di informazioni per il consumatore. Unindagine condotta nel 2006 da Nomisma ha evidenziato proprio che per i con-sumatori contano soprattutto la presenza di una DOC/DOCG e il nome della regione o del produttore conosciuto129. Ecco allora limportanza che i disciplinari hanno nel dialogo con il consumatore. An-che se la maggior parte degli acquirenti non sanno tutto ci che previsto da quel dato disciplinare, il solo fatto che una bottiglia porti un nome, o una indicazione particolare (vino da tavola, doc, docg o igt130), dona una garanzia precisa alla quali-t del liquido contenuto. E con ci si spiega perch dallindagine effettuata da Ismea nel 2006 ben il 91% delle aziende del Panel appartenenti al comparto vitivinicolo ha dichiarato di posse-dere almeno un riconoscimento tra DOC, DOCG e IGT.131 Cos proprio le denominazioni e le indicazioni geografiche diventano uno strumento fondamentale di comunicazione soprattutto per quelle aziende che hanno un nome ancora non sufficientemente risonante per garantire da solo la qualit del vino pro-dotto. A tal proposito interessante notare come dallindagine condotta da Ismea nel 2005 risulti che le aziende attribuiscono particolare importanza alle attivit di co-municazione soprattutto per quei prodotti che non appartengono a una determinata denominazione132. Alla luce del fatto che il mercato enologico italiano sempre stato caratterizzato da una forte frammentazione (accanto a poche grandi aziende il numero delle piccole aziende rappresenta il numero pi alto nel panorama), sono nati numerosi Consorzi 129 AA.VV. Rapporto sul settore vitivinico, 2007, Retecamere, Roma 2007, p. 51 130 In Italia i vini sono divisi in base alla legge n.164 del 1992 in due grandi gruppi: da tavola e VQPRD. Fra i vini da tavola sono compresi unampia variet di prodotti: dai cosiddetti commodity (vini primo prez-zo) agli IGT (categoria che comprende bottiglie molto semplici e bottiglie molto importanti come i Super-tuscans). I vini VQPRD si trovano nella parte superiore della piramide delineata dalla legge 164 e com-prendono la categoria dei DOC e dei DOCG (460 denominazioni). I vini di Denominazione di Orgine Con-trollata e Garantita sono soggetti a regole pi restrittive e ad un controllo degustativi e chimico prima dellimmissione sul mercato. 131 Panel Agroalimentare Ismea, Le imprese della trasformazione vitivinicola nei confronti di certificazioni, marchi collettivi e denominazioni di origine, Ottobre 2006 132 Cfr, Panel agroalimentare Ismea, Il sistema competitivo della trasformazione vitivinicola in Italia, cit.


97 sul territorio italiano con lobiettivo di fornire alle piccole aziende un supporto oltre che tecnico anche comunicativo e una visibilit nazionale ed internazionale che al-trimenti non avrebbero potuto permettersi viste le limitate risorse economiche di cui ogni singolo produttore dispone. E la visibilit deve essere progettata e strutturata nel migliore dei modi, stabilendo con attenta analisi uno dei parametri pi importanti: il prezzo. Proprio largomento prezzo in continua evoluzione e sempre pi oggetto di dibatti-ti. Prezzo che dipende da tre variabili principali: la domanda, la concorrenza e il prezzo di costo. Per una politica aziendale adeguata nel determinare il valore di quelletichetta necessario tenere di conto che il cliente interpreter il prezzo nel quadro di una forbice di accettabilit. Questo perch nel cambiamento del modo di consumo il vino non pi un prodotto di prima necessit, nei confronti del quale la variabile prezzo capitale, ma un prodotto di piacere, di risposta a dei bisogni di appartenenza sociale, di riconoscenza e di stima133. In questa ottica il cliente attribuisce implicitamente alla bottiglia un valore di qualit percepito a seconda del prezzo esposto. Come emerge da indagini condotte da Nomisma, il controllo del produttore co-munque relativo, poich le tasse e il costo della rete distributiva incidono per il 60% sul prezzo finale delle bottiglie. Questo dato sommato al fatto ormai certo che la vendita diretta rappresenta solo uninfinitesimale percentuale del vino in bottiglia commercializzato, rende il canale distributivo attraverso cui far arrivare il prodotto imbottigliato sugli scaffali accessi-bili al cliente finale un elemento fondamentale, da gestire con attenzione sempre maggiore da parte delle aziende. Le stesse aziende adesso sono coscienti del problema, tanto che, come rilevato da Nomisma, l 85,7% di loro indicano come primo fattore determinante per la crescita del fatturato la necessit di individuare e creare una rete distributiva efficace134. Come detto, nonostante le difficolt incontrate nello sviluppare adeguate strategie di comunicazione, le aziende che si affidano a professionisti della comunicazione sono, comunque, sempre pi numerose. Gli strumenti accessibili e sfruttati per una promozione di immagine si moltiplicano e si specializzano, e in estrema sintesi sono riassumibili in: – strumenti classici di comunicazione diretta – eventi locali, nazionali o internazionali – comunicazione tramite i media Gli strumenti principali della comunicazione diretta gestita dai produttori sono i d-pliant e la scheda prodotto distribuiti insieme agli stessi prodotti, o in parte meno significativa attraverso siti internet, mailing e comunicazioni informative periodi-che135. 133 Cfr., E. Rouzet, G. Seguin, op. cit. 134 cfr, AA. VV., Rapporto sul settore vitivinicolo 2007, cit. 135 Cfr, R. Pastore, , op. cit.


98 Il canale di comunicazione scelto dalla maggior parte delle aziende vitivinicole la presenza, se non la promozione, di eventi e fiere di settore. Proprio gli eventi che hanno come oggetto/soggetto realt enogastronomiche stanno acquistando una diffusione e capillarit temporale oltre che territoriale sempre pi ampia. La variet di questi stessi eventi molto variegata e numerosa: dalle feste paesane a Vini-taly, dalla presentazione in anteprima della produzione di unannata di un consorzio o di un territorio alle fiere internazionali. Gli eventi su base locale conoscono una tradizione consolidata nella realt enologi-ca e con i secoli questi hanno assunto forme e obiettivi diversi: dal doversi ingrazia-re i favori della dea della fecondit, al dover spettacolarizzare lo stappo delle prime bottiglie dellanno, al voler sfruttare momenti di possibile ritrovo paesano per pro-muovere il vino di uno specifico territorio. Le fiere su scala nazionale e internazionale hanno una storia molto pi recente. Sono nati e hanno acquistato un ruolo di primo piano dal momento in cui le vie di comunicazione, in particolare i trasporti ferroviari, si sono evoluti, dando la possibi-lit di realizzare una maggior e miglior circolazione dei prodotti enologici. Laltro e-lemento fondamentale era la necessit di trovare nuovi mercati dove collocare i prodotti eccedenti, diretta conseguenza della diminuzione esponenziale dei consumi interni. A questo punto il mercato doveva assumere una connotazione sempre pi soprana-zionale: la necessit di trovare ladeguato mezzo per farsi conoscere oltre i confini nazionali si trasformata in elemento essenziale per la sopravvivenza aziendale. Era il 1862 quando lItalia (nata da appena un anno) ha partecipato per la prima volta a una mostra internazionale (organizzata a Londra) per promuovere il commer-cio dei propri vini136: ha rappresentato un vero e proprio momento di svolta e linizio di uno sguardo consapevolmente interessato a un mercato pi internazionale in cui poter trovare una collocazione ai propri prodotti. Il primo evento organizzato su scala nazionale sul territorio italiano fu la Mostra Mercato del Vino Tipico Italiano, che si tenne a Siena nel 1933, ed ebbe da subito un gran successo di pubblico e di partecipanti. Con gli anni si evoluto e trasferito a Verona, diventando lEvento Vinitaly che oggi conosciamo: la pi importante vetrina italiana in cui far apparire i propri prodotti enologici. Come ha affermato leconomista Riccardo Pastore: Le fiere (ma spesso una fie-ra, il Vinitaly) si confermano il mezzo notoriamente privilegiato dai produttori per in-formare su di s i clienti potenziali ed attuali e dare un segnale di presenza com-petitiva anche ai concorrenti. 137 Un altro elemento complice della fortuna di queste fiere la consapevolezza da parte delle aziende che la partecipazione, oltre ad essere strumento di comunica-zione, rappresenta un momento importante di confronto con la realt vitivinicola na-zionale e quindi un possibile elemento di spunto per innovazioni e nuovi approcci al prodotto vino. 136 Cfr., A. Antonaros, op. cit. 137 R. Pastore, op. cit., p. 135


99 Riguardo al terzo punto rimando al paragrafo successivo dove ne analizzer criticit e pregi. Fin ora ci che ho descritto si limita a una visione di insieme degli strumenti attra-verso cui informare, ma un elemento fondamentale da pensare e progettare allorigine per ottenere unadeguata e efficace strategia comunicativa, e che sappia veicolare unimmagine coordinata dellazienda, cosa comunicare. A tal proposito oggi sta acquistando una posizione sempre pi di primo piano il rapporto tra vino e territorio perch aziende e enti ne hanno intuito la potenzialit comunicativa. Per territorio, ovviamente, si intende quellinsieme di molteplici componenti del vino che concorrono nella definizione della sua immagine: qualit del terreno, clima, e-sposizione del vigneto, tradizione, mito, cultura del contadino e del vinificatore, cul-tura del venditore, il paesaggio, l’arte, la storia, la poesia, la cucina, l’ospitalit Un vino, infatti, si differenzia da un altro grazie alle sue qualit organolettiche di cui abbiamo parlato, ma la sua territorialit e in particolare la sua storia permette di ricondurlo ad una dimensione affettiva e di raccontarlo con la sua quota di so-gno.138 Ed proprio questo il valore aggiunto che il cliente ricerca sempre pi nella botti-glia da acquistare. Da questa consapevolezza nato un vero e proprio fenomeno, basato su tre ele-menti fondamentali: vino, territorio e turismo. Dopotutto indubbio come esista un doppio filone di comunicazione: – il vino pu raccontare il territorio – il territorio, attraverso il paesaggio e i fattori antropici, pu raccontare il vino. Come ha affermato Donatella Cinelli Colombini, fondatrice del Movimento Turismo del vino, tutto inizia nel 1993 con un gruppo di amici produttori convinti, come me, che il turismo crei opportunit commerciali e dimmagine per le cantine e i loro territori.139 Da quel primo momento sono nate tante iniziative sotto forma di itinerari turistici come le strade del vino od eventi come le cantine aperte. Cos si sviluppato il fenomeno del turismo del vino che, a poco pi di dieci anni dalla sua nascita, divenuto un comparto economico con un giro di affari di due miliardi e mezzo di euro lanno, e i dati alla mano ne promettono una crescita e-sponenziale. Le cifre in continuo aumento e il numero di servizi e eventi sempre pi elevato sono un segno eclatante di come quella sia una strada da perseguire e da far evolvere nella giusta direzione. Questo perch ha potenzialit enormi e offre vantaggi sotto vari punti di vista: principalmente la valorizzazione del vino e del territorio. infatti evidente come le varie iniziative sul territorio (strade del vino, cantine aper-te, feste del vino) siano un potenziale strumento di comunicazione e promozione 138 E. Rouzet, G. Seguin, op. cit., p. 42 139 D. Cinelli Colombini, Il marketing del turismo del vino. I segreti del business e del turismo in cantina, Agra Editrice, Roma 2007, p. 37


100 del prodotto vino, facendolo conoscere attraverso gli occhi, le parole e i percorsi adeguati anche ad un educazione culturale del consumatore. La messa in atto di progetti di quel tipo anche un valido strumento per valorizzare il territorio attraverso la progettazione di adeguate infrastrutture, servizi e qualifi-canti iniziative culturali. In conclusione, e forti di quanto sopra analizzato e descritto, possiamo affermare che tutto ci pu rappresentare per i territori e per il mondo del vino una nuova, im-portante fonte di reddito. 3.3 Vizi e pregi del giornalismo del vino Il fare comunicazione da parte delle realt vitivinicole oggi indispensabile per sopravvivere in un mercato tanto concorrenziale. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente gli strumenti disponibili per effettuare una comunicazione diretta tra a-zienda e possibile acquirente sono molteplici. Eppure oggi sembra che uno degli strumenti per eccellenza scelto dalle case vinico-le per comunicare s e proporre i propri prodotti al mercato sia la stampa, nelle sue diverse forme: guide enologiche, riviste tematiche o generiche, supplementi dei quotidiani nazionali o regionali. Questa una realt che non appare dalle numerose ricerche statistiche effettuate per studiare il complesso mercato enologico, ma e-merge da una lettura attenta dei risultati delle stesse analisi, oltre che dalla voce di chi vive e lavora in questo contesto. Ad esempio dal rapporto del settore vitivinicolo del 2007 effettuato da Nomisma risulta che, a detta delle stesse aziende, tra le strategie adottate (nel periodo 2003-2005) quelle che hanno influenzato in maggior valore la crescita aziendale sono: laffermazione del marchio e la crescita di immagine e notoriet. Eppure la spesa destinata a progetti di comunicazione specifici non ha subito un aumento complementare. Questo possibile con strategie comunicative atte a far apparire la propria azienda sui media che richiedono investimenti economici meno importanti rispetto ad altre strategie promozionali. E vero che ci sono professionisti di pubbliche relazioni e gestione di uffici stampa, ma con occhio indiscreto si nota come il contatto tra stampa e aziende vitivinicole avviene soprattutto attraverso rapporti personali tra giornalisti e proprietari o enologi delle stesse aziende. Quello che le stesse aziende hanno saputo capire che la stampa di settore uno dei pi immediati veicoli di visibilit nei confronti del cliente, anche se il rapporto che cos si costruisce nasce con lintermediazione del giornalismo. Unulteriore testimonianza indiretta dellimportanza acquisita dal giornalismo del vino il continuo proliferarsi di nuovi soggetti parlanti: riviste, guide enogastro-nomiche, siti internet specializzati, blog eccetera, eccetera. Per averne conferma sufficiente osservare le edicole e lo spazio sempre maggiore destinato ad accoglie-re queste realt, o navigare per pochi minuti su internet, magari inserendo la parola vino in uno dei tanti motori di ricerca disponibili. Dopotutto indubbio come il numero degli amanti del vino sia sempre maggiore, che comprare un vino di cui si conosca provenienza e produzione motivo di soddi-sfazione, e presentarsi a una cena con una bottiglia adeguata sempre pi cosa


101 gradita. Insomma, il mondo del vino italiano sta crescendo sotto il profilo della cul-tura. Ma la pluralit di prodotti offerti dal mercato tanto vasta e varia che talvolta tro-varsi di fronte a scaffali carichi di bottiglie mette a disagio nella scelta se la cono-scenza non approfondita, e supporti fondamentali ad una scelta ragionata risulta-no proprio quelle guide dei vini, riviste e articoli scritti da coloro che per professione degustano vini e ne scrivono sentenze. La scelta del vino, che dipendeva in passato dai consigli degli amici e dei rivendi-tori, oggi indirizzata dalle guide, con il Gambero Rosso in posizione leader.140 E come afferma la giornalista Di Martino talvolta si tratta di un fantasioso linguag-gio delle guide enologiche italiane prodotte da Luca Maroni, Espresso, Gambero rosso, Ais, Veronelli: bibbie del vino tanto autorevoli da decretare con i loro punteg-gi il successo o l’insuccesso di un’etichetta e dell’enologo che c’ dietro141 Ne diretta conseguenza che il giornalismo del vino si trova a giocare un ruolo di primo piano nella stessa definizione del mercato enologico. Un giornalismo che, troppo spesso, diventa un vero e proprio protagonista del mondo del vino e non una testimonianza come dovrebbe essere. Sono sempre pi in minoranza i professioni-sti dellinformazione che fanno cronaca e informazione e non critica e recensione. Tutto ci comporta anche una delegittimazione del giornalismo stesso perch tal-volta ci si trova di fronte ad articoli che ricordano troppo da vicino un messaggio pubblicitario dellazienda. Pochi mesi fa in Francia accaduto un fatto che deve far riflettere. Il Tribunal de Grande Instance di Parigi in data 20 Dicembre 2007 ha deciso di assimilare gli arti-coli giornalistici sul vino alla pubblicit, e per questo dovranno rispondere degli stessi diritti e doveri. Cos recita listanza: Toute communication en faveur dune Boisson alcoolise, telle quune srie darticles en faveur du Champagne, constitue de la publicit et tombe donc sous le coup du code de la sant publique.142 Lobbligatoriet successiva di dover apporre sugli articoli la scritta Labus dalcool est dangereux pour la sant risulta eccessiva e in realt sintomo di uninefficace educazione dei consumatori nel rapportarsi al bicchiere di vino. E come ha detto Tachis: Leuforia, lebrezza da vino ben diversa dallubriachezza. gaia leuforia da vino, loquace, tenera, cano-ra, affettuosa, ottimista. Lalcolismo invece cupo, chiuso, collerico, malinconico, strano, iracondo. A voler guardare nel profondo della natura viene da pensare che una guerra al vi-noancora pi oggi diventa una guerra alla letizia di vivere. Lo spettacolo della gioia a volte pu diventare meno sopportabile dello spettacolo del dolore143 Ci che al momento ci interessa sottolineare che quella sentenza ha messo sullo stesso piano articoli giornalistici e messaggi pubblicitari. Credo che il giornali-smo del vino, oltre a firmare giuste petizioni contro quella decisione, dovrebbe ri-flettere sul punto di non ritorno dove si trova ad agire al momento. 140 Ivi, p. 19 141 A. Martino, Tempi duri per il vino?, in Il Mondo, 19 Novembre 2003 142 fonte, www.asso.anpaa.fr 143 G. Tachis, Vino: ebbrezza e malinconia, cit., p. 29


102 Deve rivalutare il proprio ruolo e ricominciare a fare informazione come ha insegna-to il grande Gino Veronelli: raccontare il vino non significa dare punteggi, ma infor-mare il lettore di tutto ci che rappresenta quel vino a partire dal lavoro tra le vigne, la storia che ne artefice, il paesaggio, le persone. Deve essere uninformazione che va oltre il valore delletichetta. Come ha detto Massimo Lucchesi, il presidente dellordine dei giornalisti toscani: Una sana iniezione di fiducia per il nostro patrimonio enologico doverosa, ricor-dando che ciascuno apprezza in ogni vino quello che conosce e sa leggervi. Sapere come sia stato realizzato un grande vino quindi fondamentale per la sua ottimale degustazione. per questo che, forse, il desiderio pi immediato e selettivo per i consumatori e, ancor pi per gli esperti e gli appassionati, non solo quello di co-noscere le caratteristiche organolettiche di un vino, ma anche le modalit viticole ed enologiche del suo ottenimento Compito dei media, di tutti i mezzi della co-municazione sociale, giornali, radio, tv, internet, cogliere questa esigenza. Senza dimenticare che a noi giornalisti occorrono adeguate, corrette fonti di informazione e una preparazione da cronisti, innanzi tutto, e da specialisti del settore all’altezza di quanto richiestoci. Sfida accolta, credo, con intelligenza, pizzichi di umilt e di-sponibilit professionale da tanti colleghi.144 E questa la strada da percorre da parte del giornalismo per fare informazione nel modo pi adeguato. Una ulteriore conseguenza dellattuale giornalismo del vino che le aziende vitivini-cole vedono proprio nel giornalista il cliente pi importante da dover conquistare, e il gusto da dover interpretare nella produzione del vino diventa, pertanto, il gusto dei giornalisti. A questo punto si viene a delineare un ruolo molto recente acquisito dallenologo: intrattenere rapporti con i giornalisti. imperativo che ci sappia dialogare perch nella logica perversa che si innescata (perch di questo si tratta), pi lenologo riuscir ad essere nei favori dei giornalisti, pi i suoi vini avranno la capacit di presentarsi buoni prima ancora di essere de-gustati, e pi il giornalista si predisporr favorevolmente nei confronti di quella bot-tiglia che deguster e recensir nellarticolo dedicato. Nellattuale mercato del vino italiano, caratterizzato da una polverizzazione dellofferta con migliaia di etichette, per poter conquistare uno spazio in enoteca o al ristorante necessario che il vino sia conosciuto, e a far conoscere i vini sono i giornalisti del settore che recensiscono le diverse bottiglie. Una conseguenza di questa realt che oggi gli enologi stanno assumendo un ruo-lo sempre pi di primo piano nella costruzione dellimmagine aziendale: talvolta mettere nella propria brochure promozionale il nome di un enologo vale pi di qual-siasi altra mossa comunicativa per poter catturare lattenzione di un giornalista e conseguentemente di chi legge, sia questo a met o alla fine della filiera distributi-va. 144 M. Lucchesi, Parlare di vino un po come fare la storia della Toscana, in Wine Tuscany supplementi di Gola Giocanda, n1, 2006


103 Concludo questo paragrafo con le parole proprio di uno di quei giornalisti che, gra-zie alla cultura che gli appartiene, in modo encomiabile racconta il mondo del vino, Carlo Cambi: Il vino come la poesia: tutti possono leggerla, tutti possono emozionarsi per un verso. Poi ci sono coloro i quali riescono a comprenderne i significati pi profondi, riescono a parteciparne pi compiutamente il senso e il mistero. Ma nessun poeta ha mai scritto per pochi. I contadini toscani mandavano a memoria la Divina Com-media eppure nessuno di loro faceva il critico di Dante. Sentivano quei versi come un loro patrimonio ed erano appagati dalla metrica e dallepos. E a loro bastava. Alcuni, nei decenni andati, hanno imparato a leggere soltanto Dante, ma nessuno si mai permesso di insegnar loro come leggerlo. Quando si negata questa via popolare successo che non si sa neppure pi declamare lincipit dellInferno. E non so se ci sia stato guadagno. Cos vale per il vino. Lasciamo che egli parli con le sensazioni che suscita perch in questo saper comunicare con chiunque sta la sua magia, la sua universalit.145 3.4 Il rapporto conflittuale tra Giacomo Tachis e il giornalismo Tachis non ama la maggioranza del giornalismo attuale, ma il giornalismo ama Tachis. E quando gli viene chiesto un commento sulle tante riviste e guide specializzate che vogliono educare il consumatore, cos risponde: uneducazione che va dal modesto al pessimo, sul piano tecnico non salottie-ro, n commerciale. Esse, riviste anche inutili, guide di convenienza, orientano solo in salotto e in mercato o al ristorante mondano. Il produttore segue il motto Ubi maior Pochissimi produttori di uva e di vino sanno essere distaccati da questi maghi. Potrei includere anche qualche enologo Inoltre, quando descrive il giornalista che beve e scrive di vino, le metafore pungenti non mancano: I giornalisti sono i cosiddetti tromboni ovvero altoparlanti, che svolgono un ruo-lo importante per lindustria e per il commercio del vino come commessi viaggiato-ri. Certo Tachis non dimenticata che anche oggi ci sono grandi giornalisti che sanno affrontare la propria professione nella direzione pi adeguata, trovando lo strumen-to migliore di ogni loro articolo scritto nella conoscenza. Come sempre i nomi li fa malvolentieri, e preferisce lasciare in sospeso la risposta. Per indubbio come alcuni giornalisti, anche se pochi e solitari, potrebbero fare scuola perch sanno raccontare attraverso le loro parole il vino non solo come be-vanda, non solo attraverso punteggi controversi. Sanno raccontare il vino nel com-plesso della sua essenza, con unattenzione adeguata a storia, territorio e persone, senza tralasciare le qualificanti particolarit organolettiche, e se un giudizio diventa necessario questo non pu andar oltre il dire per me buono, o non buono, come afferma Carlo Cambi. 145 C. Cambi, Il buon vino, Istituto Geografico De Agostani, Novara 2005, p. VIII


104 Il numero di bottiglie, di asterischi e quantaltro venga attribuito ai vini degustati da giornalisti che si fanno portavoce di un gusto pubblico, quali riferimenti hanno se non il gusto personale del giornalista stesso? Questo il circolo vizioso in cui il mercato enologico oggi sembra intrappolato. Da un lato la stampa appare come uno degli strumenti pi efficaci, e anche pi facili da sfruttare, per promuovere limmagine e i prodotti aziendali, ma il rovescio della medaglia che il rincorrere continuamente i favori della stampa significa produrre vini che rispondono al gusto giornalistico che si arroga (talvolta a torto) del diritto di essere portavoce del gusto della societ. Si vengono cos a creare delle maglie troppo strette per lagire aziendale (il giudizio giornalistico e i disciplinari)e come sempre sono le realt di dimensioni minori quelle che pi difficilmente riescono a svincolarsi da una tale briglia mediatica. Tutto ci Tachis lo sa molto bene, ne conosce sia i paradossi che le potenzialit. Con gli occhi esperti di chi ha investito tutto se stesso nellevoluzione dellenologia italiana, Tachis analizza e descrive due nodi cruciali dellattuale realt vitivinicola, con le seguenti parole: Autoctoni: una parola che stata applicata al vino, cos come si pu applicare alluomo per una certa zona. Suona bene sul piano giornalistico, ma dice ben poco. una parola che inganna e attrae, un fenomeno di marketing. Le strategie, a mio avviso, sono relative: questi autoctoni, che io insisto a interpre-tare per locali, servono pi per il giornalista o per il venditore, che non per al-troma la propaganda conta! Proprio colui che ha introdotto per primo le barrique nelle cantine toscane fautore di dure critiche verso un utilizzo non consapevole e spesso puramente propagandi-stico delle stesse barrique. Quasi tutto il mondo produttivo impiega la barrique per conferire al vino il sapore e il profumo di legno vino da olfattoteche. Il grande vino di barrique non deve af-fatto sapere di barrique! Ma la moda, la propaganda, il non capire tecnicamente, organoletticamente e commercialmente queste cose (ignoranza culturale tecnica e storica, umanistica etc.)ha portato il consumatore internazionale a formarsi il palato alla francese: se il vino sa di barrique valido (se sa di legno). Da questa stortura nata la storpiezza dei chips, avvalorata da una incompeten-te scienza universitaria. La profonda conoscenza della realt giornalistica gli ha permesso di saper interagi-re con quello strumento fondamentale di promozione e di comunicazione di imma-gine. Ha saputo rendersi disponibile, scegliere con chi dialogare, facendo sentire la sua viva voce in interviste gestite saggiamente e in numerosi articoli scritti di suo pugno. La sua voce sempre stata forte e chiara, e non ha mai conosciuto mezzi termini quando gli stato chiesto di dare una propria opinione. Questo gli ha portato aspre critiche da parte di coloro che sono solamente spetta-tori del mondo del vino e vorrebbero sentirsi dire sempre e comunque ci che pen-sano: lontani da una vera partecipazione allintero percorso produttivo non riescono


105 ad accettare la reale e disincantata visione dellenologia che appartiene a chi ha vissuto e agito con professionalit in quel contesto. Tachis non si certo fatto intimorire da queste critiche aride e improduttive, ren-dendo ancora pi autorevoli i suoi pensieri e le sue parole agli occhi dei protagoni-sti della vitivinicoltura internazionale. Cos lo abbiamo sentito raccontare con franchezza realt scomode anche sullo stesso giornalismo, come nellintervista rilasciata al Sommelier italiano quando ha affermato: la gente purtroppo non legge attraverso la penna dellenologo, ma attraverso quella del giornalista. E il giornalista che sia bravo, o meno, basta che scriva.146 Al giornalista Andrea Cappelli ha raccontato con parole dirette quali siano i pericoli che il mondo del vino in Italia oggi sta correndo: Non voglio fare condanne a nes-suno, io non sono mai stato un produttore o un imprenditore ma un garzone, un servitore del vino. Ma, come dice il Vangelo, il pane si ottiene guadagnandolo col sudore e non sedendosi sulle botti a farsi fotografare E poi prosegue: Credo che in questi anni i signori del vino abbiamo guadagnato molto, ora bisogna iniziare ad accontentarsi di meno, non si pu fare il vignaiolo viaggiando con mac-chine costosissime e cravatte di Hermes: se vuoi fare il vignaiolo, devi farlo sul se-rio. Bisogna ricominciare da capo e farlo con correttezza, togliendosi la cravatta per tornare in vigna, senza pensare che il prezzo alto fa qualit. Facciamo un passo in-dietro, cancelliamo ci che c stato di fasullo, ripartiamo dalla vigna, non dallosmosi inversa.147 Proprio il tema dei prezzi del vino tante volte ha fatto parlare e intervenire con paro-le dure Giacomo Tachis, in un modo che forse dal padre del Sassicaia non ci si at-tenderebbe. Cos come viene riportato su un articolo pubblicato il 14 Dicembre 2004 sul quotidiano LUnit, lenologo piemontese non ha avuto dubbi nellaccusare una parte della filiera del vino dicendo: Si esagerato sui prezzi del vino. Sulle grandi etichette ci sono degli speculatoriil vino nasce povero. Se do-vessi comprarne una bottiglia a caro prezzo non la prenderei. I miei vini, ad esem-pio, non sono cari alla partenza, ma sul Sassicaia ci sono dei corvi. Il suo prezzo giusto sarebbe tra i 30 e i 40 euro148. In unintervista rilasciata al portale www.verdeuropa.it ad una richiesta di descrivere il mercato e i rischi ha risposto: Questa che stiamo vivendo una crisi, a mio mo-desto parere, che non desta preoccupazioni di sorta. A dire il vero le cause sono da ricercare nelleffetto boomerang provocato dalla comunicazione. Mi spiego meglio, nel mondo della comunicazione del vino si sta esagerando. Continuamente nascono nuove riviste e sempre pi giornalisti esaltano le caratteristiche di questo o di quellaltro vino, mettono con troppa facilit, oserei dire dalloggi al domani, questo o quel produttore su un piedistallo, lodandolo fino allinverosimile. Troppi giudizi in 146 D. Urso, Giacomo Tachis, il bibliofilo del vino, in Sommelier italiano, n 71, settembre ottobre 2006. 147 A. Cappelli, Via la cravatta e torniamo in vigna, in Wine Tuscany supplemento del mensile Gola Gioconda, Gennaio 2006. 148 AA. VV., Cresce la concorrenza straniera, a rischio il vino toscano, in LUnit, 14 Dicembre 2004


106 ascesa solo per riempire pagine di giornali senza nessun senso di ponderatezza. Tutto questo si riflette a ritroso sui prezzi eccessivi dl vino e se ci aggiungiamo an-che lascesa dei vini stranieri, capiamo il perch dellattuale periodo di flessione. I vini che arrivano dal Cile, dalla Nuova Zelanda, dal Sudafrica, dallArgentina stanno diventando sempre pi competitivi, e, tra le altre cose, non sono esaltati dalla stampa tanto da far lievitare i loro prezzi. Devono ancora farsi il loro nome. Non bi-sogna neanche trascurare leffetto provocato dai listini dei ristoranti: a vini mediocri corrispondono, con grande errore che si ripercuote sul mercato, prezzi altissimi. An-che i ristoratori con i loro eccessivi ricarichi creano vortici vertiginosi nel mondo del vino, ma ancora una volta il mondo della comunicazione a favorire questo proces-so. Ma comunque, non c da preoccuparsi, perch gli alti e bassi fanno parte della storia del vino. Un modo per affrontare serenamente la crisi che sta attraversando il mercato del vino quello di produrre vino in nome della tipicit, maggiore consapevolezza e as-soluta qualit. Solo cos un produttore potr vincere, insieme alle sfide del mercato i momenti di flessione propri della storia del vino. Chi la conosce lo sa.149 Oggi nel mondo del vino si sta assistendo a un fenomeno sempre pi dilagante, ov-vero la costruzione di cantine epocali, dirette dalla firma di veri e propri maestri dellarchitettura (Fuksas, Piano, Botta), con investimenti da capogiro. Tutto rientra nella logica di costruzione di immagine aziendale, e di offrire servizi e accoglienza sempre pi ammalianti allamante del vino. Tachis osserva con occhi sospetti que-sta tendenza mondana e come ha affermato in un articolo pubblicato il 6 Marzo 2005, in Corriere della Sera: La grande architettura non sta nellartificio delle cantine, ma nel vigneto. Il vino non d spettacolo, nasce povero, d emozioni di profumi e colori, questo non va dimenticato.150 3.5 Il personaggio Giacomo Tachis raccontato dallinchiostro dei giornalisti Giacomo Tachis un persona rispettata e amata nel mondo enologico italiano e in-ternazionale, sono numerosi i giornalisti che si sono prodigati nel trovare le parole migliori per descriverlo. La sua presenza sulla stampa italiana, sia di settore che generalista, stata costante, e limmagine dipinta da tante parole scritte di un uomo che con umilt, passione e cultura ha saputo far conoscere allItalia un pre-sente enologico insperato fino a quaranta anni fa. Le metafore e gli aggettivi che questi giornalisti hanno chiamato in loro soccorso per poter rendere facilmente fruibile quel controverso e affascinante personaggio sono numerose. Una di queste metafore ha conosciuto particolare fortuna sia perch ben esplicativa che come la pi citata in articoli successivi. Lautore Bruno Vespa, e a tal propo-sito riporto un estratto di un suo articolo ispirato dalla degustazione di una bottiglia di Terre Brune e pubblicato su Panorama il 13 Aprile 2007: Mida, re della Fri- 149 AA. VV., Giacomo Tachis, niente allarmismi per la crisi del vino, in www.verdeuropa.it, 27 gennaio 2005 150 M. Remondino, Musica, design, arte. Le cantine reinventate dai grandi architetti., in Corriere della Sera, 06 Marzo 2005


107 gia, aveva avuto in dono da Dioniso il potere di trasformare in oro quel che toccava, ma non potendo poi sfamarsi torn alle comuni facolt umane. Giacomo Tachis stato assai pi fortunato. Poich Dioniso (Bacco per i romani) il dio del vino, Ta-chis ha avuto da lui il dono di trasformare in eccellenza il prodotto di una qualsiasi vigna tocchi. Molti anni fa and a Bolgheri, dove si faceva un discreto rosato, e ottenne dalle vi-gne di Niccol Incisa della Rocchetta nientemeno che il Sassicaia. Da allora ha dis-seminato di miracoli lItalia intera. Da quando lincontrarono, i gestori della Cantina sociale di Santadi (Cagliari) hanno visto la loro produzione trasformarsi da lana in seta. Il prodotto migliore un Carignano del Sulcis denominato Terre Brune (38 eu-ro in enoteca). Vedo che il mio giudizio di questi giorni (annata 2003) identico a un assaggio vecchio di quattro anni: mi parve allora un vino magnifico, profondo, sincero e impenetrabile come il carattere dei sardi. Rilevo oggi una personalit net-ta, ma poco ostentata. Insomma, un prodotto di grandissima classe.151 Un giornalista (che gi numerose volte ho citato) ha dedicato particolari attenzioni allagire di Giacomo Tachis: Carlo Cambi. Sono molteplici gli articoli da lui firmati che raccontano vini, fatti e territori dove uno dei protagonisti proprio Tachis. A-desso mi limito a riportare due affermazioni del giornalista, che possono suggerire il contenuto di quegli articoli: Devo tutto a Giacomo Tachis, mi ha insegnato ad amare, a capire, ad ascoltare il vino.152 Io cerco di raccontare il vino come un marcatore del territorio, come un valore delle comunit, come un’attrattiva del territorio. Ma c’ stato molti anni fa un incontro folgorante: quello con Giacomo Tachis. Non mi interessa qui parlare dell’enologo Tachis, ma dell’uomo Tachis, dell’uomo di cultura che mi ha fatto scoprire il senso della civilt nel vino e con il quale ho condiviso e condivido l’idea che senza la sto-ria tutto perde di significato.153 Tra coloro che ne hanno sostenuto a gran voce il ruolo pionieristico nellarte di fare e comunicare il vino, in prima fila c sempre stato il prof. Zeffiro Ciuffoletti che gli ha dedicato numerosi articoli e testi come il libro I pionieri del Risorgimento vitivi-nicolo italiano, e in un articolo pubblicato su Italia Oggi ha riassunto con poche ma significative parole quel percorso storico ancora in atto, chiamato Secondo Ri-sorgimento vitivinicolo italiano, nato grazie allesempio di Giacomo Tachis: Se il primo Risorgimento del vino made in Italy si dovette a una passione di nobili natali come quella del barone Bettino Ricasoli, linventore del Chianti, il secondo Risorgi-mento del nostro vino, quello degli ultimi decenni, si deve a Giacomo Tachis, un enologo piemontese, diplomato allistituto enologico di Alba, e poi trasferitosi in Toscana a lavorare presso antichi vinattieri fiorentini come gli Antinori. Oggi Giacomo diventato lenologo pi importante dItalia, artefice della rinascita dei vini delle isole, della Sicilia come della Sardegna. Padre diretto o indiretto di grandi vini come il Tignanello, il Solaia, il Sassicaia, il Terre Brune e altri ancora che 151 B. Vespa, Vigne italiane: ecco il re Mida Dalla Toscana alla Sardegna, le eccellenze di Tachis, in Panorama, 13 Aprile 2007 152 C. Cambi, Tachis, la mia guida degli autoctoni, cit. 153 F. Ziliani (intervista a cura di), Carlo Cambi, o del vino come passione, in www.winereport.it


108 fanno di lui il pi famoso artefice del miracolo del vino italiano a livello internaziona-le. Un grande, instancabile lavoratore che meglio di ogni altro pu confermare che nulla di nuovo e di buono si pu creare se non si impara dal passato e se non si smette mai di guardare ai migliori e allo studio delle tecniche pi innovative. Si de-finisce, con i suoi capelli bianchi, un pensionato, ma dal suo studio segue ogni movimento nel mondo del vino ed richiesto di consigli e pareri da ogni parte dItalia. Non si d arie, affabile, cordiale, ironico, Giacomo Tachis guarda le cose anche le pi complicate con un certo distacco, ma quando si accorge di qualche banalit o sciatteria diventa severo e tagliente. Come spesso dice, il vino viene dal-la vite, dalla terra e dal sole, gli uomini possono solo aiutare o sciupare ci che la natura ci ha dato.154 Questo ci che nessun giornalista, anche il pi scettico, non dimentica mai di ri-conoscere a Tachis. Dopotutto sufficiente rileggere le pagine delle recente storia enologica italiana per capire che le esperienze di Tachis sono state il progetto pilo-ta di tante evoluzioni nelle vigne e nelle cantine italiane degli ultimi quaranta anni. Per questo il giornalista Andrea Cappelli ha scritto come incipit dellintervista pub-blicata sul supplemento Wine Tuscany della rivista Gola Gioconda di gennaio 2006: inutile presentarlo, di lui gi stato scritto molto, e poi quando pensi a lenologo ti viene in mente il suo nome, quello di Giacomo Tachis, che – con il suo fare umile e sommesso – riuscito a dare dignit al vino toscano e italiano portan-dolo a competere alla pari con i grandi vini del mondo. E lui uno dei principali pro-tagonisti del rinascimento enologico toscano. Lo abbiamo incontrato nel suo stu-dio di San Casciano Val di Pesa circondato da libri, parla piano il maestro e parla anche con gli occhi.155 Dunque Tachis ha saputo ridar dignit al vino toscano, ma non solo, e i giornalisti lo sanno bene. Molta attenzione stata dedicata al rapporto tra Tachis e la Sarde-gna e, quindi, a quei prodotti che ne sono derivati. Un esempio larticolo redatto da Daniela Scrobogna e pubblicato sul mensile Bibenda di Dicembre 2006, il cui titolo ne riassume perfettamente il senso: Le Tre T: Tachis, Turriga e Terre Brune . Ne riporto un estratto: Lamore per questa terra Tachis lo ha dichiarato sempre apertamente, come sem-pre ha dimostrato la sua attrazione per i profumi di Sardegna. Ma poi, quando un enologo del suo calibro ci lavora su, mette in campo opere di questo prestigio. Una terra meravigliosa, un uomo straordinario, depositario della pi pura e vera e-nologia; due vini immensi e profondi, fatti con vitigni locali: questi i protagonisti del-la storia che vi raccontiamo, una vicenda iniziata tanti anni fa La Sardegna, isola dai sapori forti e patria delle emozioni pi profonde, che si arric-chisce della luce per trasmetterla al vino, ci regala due capolavori, ottenuti grazie alle intuizioni di uomini di rara esperienza. Nascono da queste viscere due grandi vini: Turriga e Terre Brune, con la supervisione di Giacomo Tachis 154 Z. Ciuffoletti, Il lungo Risorgimento del vino italiano, in Italia Oggi, 24 Febbraio 2007 155 A. Cappelli, Via la cravatta e torniamo in vigna, in Wine Tuscany supplemento del mensile Gola Gioconda, Gennaio 2006.


109 Il Turriga figlio del sole e della luce, non pu essere ombroso. solare, caldo, aperto. Per questo ha colore, spessore, gentilezza e femminilit. Il Terre Brune un vino pi solido, voluminoso, con due facce, un gemelli: una parte la struttura, il corpo, laltra lanima. Certamente pi virile, maschile. Giacomo Tachis lintelligenza, la simpatia, il vigore e la cultura secolare.156 Un altro prodotto sardo, nato con la supervisione di Tachis, che ha coltivato un im-portante successo sia nel mercato che nella stampa fin dalla sua prima uscita il Mirse, un mirto firmato dallazienda Argiolas. In un articolo del periodico Il Corriere Vinicolo viene raccontata con queste parole La mano di Tachis sul neonato Mir-se: Sono la passione per lalchimia, che non lo ha mai abbandonato, e lamore per le isole, con i loro profumi e sapori, che hanno dato vita a una delle recenti cre-ature di un grande del vino come Giacomo Tachis. Dagli alambicchi della distilleria Alberti Tommaso di Imola, dove aveva mosso i primi passi subito dopo il diploma, a quelli della distilleria Tremontis dei fratelli Argiolas di Serdiana c di mezzo lintera vita professionale del padre del Sassicaia ma anche del Turriga delle cantine Argio-las e del Terre Brune della Cantina di Santadi, simbolo di una Sardegna enologica che ha saputo conquistarsi larghi spazi nel mercato internazionale. In Sardegna, Giacomo Tachis di casa, non solo.157 Giacomo Tachis di casa non solo in Sardegna ma anche in Sicilia dove con pro-fessionalit, arte e scienza ha saputo indicare ai vignaioli locali la strada da perse-guire. Cos il giornalista Nino Aiello, descrivendo la fortuna odierna del vitigno sici-liano Nero DAvola, non dimentica che: Come tutte le belle storie anche questa ha un mentore, saggio e rispettato, il pa-dre nobile dellenologia italiana, un vero mito del settore, autore di alcuni dei pi celebri vini italiani. Giacomo Tachis, fra laltro brillante e spiritoso letterato, che ama autodefinirsi enologo corsaro. Un uomo generoso e mentalmente libero, che ha fatto tanto per la Sicilia, dispensando suggerimenti, consigli tecnici, incoraggia-menti.158 La Repubblica del 7 Ottobre 2001 ha pubblicato un articolo scritto con compe-tenza dal giornalista Enrico Del Mercato; ci che racconta proprio limportante ruolo giocato da Giacomo Tachis nella rivalutazione della vitienologia siciliana, e in apertura ne fa una descrizione ammaliante che rivela di conoscere in profondit luomo prima dellenologo: Giacomo Tachis un marinaio. Nonostante sia nato in provincia di Torino: mais a perdita d’occhio, il mare che solo un’illusione lontana. E il sole che un lampo al parabris (come canta Paolo Conte). Il re degli enologi italiani, l’uomo che ha inven-tato il Sassicaia, naviga sull’oceano del vino con lo stesso misto di amore e di ti-moroso rispetto che i marinai portano verso il mare. Ne beve pochissimo, spesso lo “taglia” con l’acqua (nessuno scandalo ognuno nel suo bicchiere fa quel che gli pare) e, volentieri al bar ordina una birra. Eppure lui, Giacomo Tachis, il vino. Un 156 D. Scrabogna, Le Tre T: Tachis, Turriga e Terre Brune, in Bibenda, n22 Dicembre 2006, p. 48-53 157 AA.VV., La mano di Tachis sul neonato Mirse, in Il Corriere Vinicolo, 30 Ottobre 2006 158 N. Aiello, il Nero dAvola? Una bella bruna., in Terr , n 4, luglio-agosto 2005, p. 47


110 po’ alchimista e un po’ scienziato. Sicuro conoscitore della chimica e curioso viag-giatore per i sentieri della storia e della letteratura.159 Molti giornalisti hanno raccontato quel miracolo enologico siciliano reso possibile grazie alle tante cure e attenzioni amorevoli di Tachis. Bruno Donati ha scritto un libro, Giacomo Tachis, enologo corsaro, dove racconta proprio quella decennale esperienza siciliana dellenologo piemontese adottato dalla Toscana, senza trala-sciare niente dalla tecnica al cuore. Dalla lettura emerge con forza il suo essere prima uomo poi enologo, prima archeologo poi alchimista, prima bibliofilo poi tecni-co, che ha saputo interpretare la Sicilia e farla conoscere al mondo intero con il vol-to di unenologia di qualit. Riporto qui di seguito un passo del suo libro, dove de-scrive quel personaggio di cui si innamorato: Basterebbe un solo nome Sassicaia, per dire molte cose di Giacomo Tachis, lesteta degli enologi, il pi famoso, il pi rispettato, il pi ricercato, il pi amato, forse il tecnico italiano pi conosciuto a livello internazionale, il professionista rite-nuto al di sopra delle parti da tutti i suoi colleghi, forse anche il pi pagato. Un uo-mo schivo, gentile, di grande cultura, che ha dato qualcosa di pi di creare vini che mandano in visibilio critica e pubblico dogni continente: prima della Sicilia ha fatto crescere la Toscana, ha profeticamente rilanciato la Sardegna. Ha accompagnato tanti produttori nel paradiso del massimo pregio e dello stile pi elegante, ha rega-lato momenti di estasi ai consumatori colti, cosmopoliti, mai contenti, con vini che il tempo si dimentica di rendere vecchi, complessi come i labirinti di Borges, ma decifrabili anche dallassaggiatore frettoloso che, allimprovviso, si trova sorpreso e attonito al cospetto del capolavoro.160 Unulteriore descrizione rende giustizia allesperienza quasi cinquantennale di Ta-chis, evidenziando che non solamente il padre del Sassicaia: Giacomo Tachis conosciuto in tutto il mondo come il padre del Sassicaia, ma nella sua lunghissima carriera si pu tranquillamente affermare che sono stati molti i suoi figli capaci di riscuotere successo planetario. Dopo molti anni passati alla corte del marchese Antinori e dopo avere raggiunto let della pensione, il nostro decise di iniziare a girare lItalia e di dedicare la maggior parte dei suoi sforzi a dare lustro ai vitigni delle isole italiane. Per questo qualcuno lha soprannominato lenologo corsaro161 E come corsaro arrivato sulle isole tanto amate, la Sicilia e la Sardegna, ottenen-do sempre il raggiungimento delle mete pi ambite: E’ Giacomo Tachis il vate delle isole: molti dei suoi vini, divenuti famosi, saliti alla ribalta dalla Sicilia e dalla Sardegna portano infatti il suo zampino, pardon il suo naso !162 Nel 1995 (in tempi ancora non sospetti) stato pubblicato un libro scritto con pro-fessionalit dal giornalista Aldo Santini, Chianti Amore Mio, dove la storia del Chianti vitivinicolo viene ripercorsa attraverso il racconto delle persone che hanno 159 E. Del Mercato, Tachis il re del vino, in La Repubblica, Palermo, 07 Ottobre 2001 160 B. Donati, op. cit., p. 29 161 G. Gariglio, Dal carbone alle vigne, in Slowine supplemento del periodico edito da Slow Food, marzo 2007 162 D. Paolini, Vino: la Sardegna in movimento, in Il Sole 24 Ore, 02 Marzo 2001


111 contribuito allevoluzione passata e presente. Ampio spazio lha dedicato a Giaco-mo Tachis riconoscendogli il merito del suo agire pionieristico come enologo dellazienda Antinori, un agire che ha contribuito ad una profonda trasformazione nella cultura, nella tecnica e nellimmagine del Chianti. Non a caso il paragrafo inte-ramente dedicato a Tachis si intitola: Giacomo Tachis Il Chianti gli deve la Rina-scita. Ne riporto un breve passo: Tachis mi piace molto non solo perch un grande enologo e ha creato il Tignanel-lo, il Solaia, ha coadiuvato Mario Incisa, a Bolgheri, nello sviluppo del Sassicaia, e ci ha dato altri vini di classe, ma soprattutto perch, essendo un grande enologo, non si d arie, modesto, affabile, e cordiale, tutto il contrario di molti enologi del-le ultime leve che non sono grandi e si danno molte arie.163 Proprio questa una peculiarit di Tachis, che lo fa amare da giornalisti e appas-sionati del vino: nonostante lesperienza e i tanti successi raggiunti umile, perch un vero uomo di cultura. Non si mai messo il professionalizzante camice bianco come non ha mai scelto nel dizionario tecnico le parole per il dialogo, ci che cerca sempre e comunque un dialogo vero. Il grande rispetto che prova ogni persona che si relazioni a lui, specialista o non del mondo del vino, una diretta conse-guenza del suo essere vero. Non ha mai costruito a tavolino il suo personaggio e mai ha cercato quellalone che circonda le professioni che evocano a s un sapere specialistico e vengono viste come un regno inaccessibile i cui abitanti usano una terminologia che sembra fatta apposta per confondere il profano.164 Questo lho imparato dalla mia stessa esperienza: durante i numerosi incontri con Tachis mai mi sono sentita inadeguata, perch lui ha la capacit di mettere a pro-prio agio chiunque si metta nella posizione di cercare un dialogo. Devo ammettere che nessuno era riuscito a farmi vedere con occhi da amante la conoscenza tanto quanto Tachis. Ogni volta che sono tornata a casa dopo averlo incontrato il primo desiderio che ho sentito di cercare nella libreria un libro, se-dermi per assaporarlo nella lettura, per conoscere nuovi saperi, e non perch mi sia sentita ignorante, ma perch ho avvertito il desiderio della conoscenza. 3.6 La riverenza della stampa straniera Tachis possiede una peculiarit che, sommata alle sue indubbie capacit tecnico-scientifiche enologiche, ha portato tanti sguardi stranieri in terra italiana, bramosi di osservare con la massima attenzione ogni sua mossa, ascoltando ogni sua singola parola con unattenzione che ricorda quella riservata dai popoli della Magna Grecia e dellantica Roma ai loro grandi oratori: la cultura classica. Infatti lapprofondita conoscenza del mondo enologico arricchita da cultura e anima classica quel di pi che crea un fascino particolare ad ogni parola, ad ogni racconto, ad ogni descri-zione che il principe degli enologi impartisce. In tanti anni di professione Tachis non ha mai scritto o parlato di ricette, e quando gli viene data la parola si fa ascoltare attraverso storie, racconti, mitologie classiche. 163 A. Santini, op. cit., p. 201 164 A. Giddens, Le conseguenze della modernit, Il Mulino, Bologna 2004, p. 94


112 Il giornalista Andrea Ciappi in un articolo pubblicato su La Nazione il 14 Ottobre 2001 descrive proprio questo peculiare potere carismatico di Giacomo Tachis che ammalia e cattura lattenzione di popoli lontani di origini anglofone: A un certo punto Giacomo Tachis apre una bordolese di Castell’in Villa, pregiato rosso di Castelnuovo Berardenga. Tachis enologo conosciuto per la bravura in tut-ti gli angoli della terra dove pu crescere anche una sola vite. Gli americani lo san-no. Questo gruppo di una quindicina di persone viene dall’Arizona, un’associazione di appassionati del vino che si riunisce una volta ogni 15 giorni per fare degustazioni. Si stringe attorno a Tachis mentre l’enologo, con l’abituale ottima descrizione sui vini che fa innamorare anche chi li vede solo come bevande (sbagliando), spiega il “corpo” del Classico, del fine rosso dei Rampolla (clou del Sangiovese), dei califor-niani Rochioli, dei vini sardi e siciliani. Traccia un ponte, coi pilastri sui vini, tra culture. Un ponte che unisce ci che la tragedia delle Torri e della guerra oggi divide.165 I giornalisti stranieri conoscono molto bene Giacomo Tachis, la sua professionalit, le sue esperienze, i suoi vini. Non a caso nel passato i primi a riconoscere le quali-t di quei prodotti innovativi sono stati proprio i giornalisti oltre-Oceano. Un esempio su tutti il Sassicaia. Sfogliando le autorevoli riviste redatte e pubblicate oltre il confine italiano, non inusuale leggere il nome di Giacomo Tachis sempre ricordato come colui che ha permesso la rinascita dellenologia italiana. Cos, in un articolo pubblicato sul periodico anglosassone Decanter, il giornalista Stephen Hobley con queste parole riassume la figura e il ruolo di Tachis nellenologia italiana: The eminent Italian oenologist, Giacomo Tachis Tachis is world famous for his pioneering work with Antinori (Tignanello and Sassicaia, for example) and more recently for his work in bringing wineries in Sicily and Sardinia to international attention.166 Nel Settembre del 2003 sempre sulla rivista Decanter stata pubblicata una lunga e appassionante intervista al nostro enologo, dove la giornalista Michle Shah in-troduce e chiude larticolo con queste parole: Giacomo Tachis, known to all as at the father of supertuscan wines, the man behind illustrious labels such as Sassicaia, Tignanello and Solaia, modestly shies away from such titles. Sitting behind a pile of ancient manuscripts stacked high on his desk, he meets my questions with an amiable smile and a twinkle in his eye The final impression is not of a guru imparting wisdom to lesser mortals. I left with the image of a man of charm, wit and understanding. The father of great Italian wines is a man of simple tastes, even in the modesty of the wines he himself would choose to drink. 165 A. Ciappi, Un magico ponte tra Usa e Italia, in La Nazione, 14 Ottobre 2001. 166 S. Hobley, Phoenician wine reborn, in Decanter, February 4, 2000


113 A final word of advice from Tachis: not to forget that wine must reflect its origins and terroir as a whole, that is its physiological characteristics such as climate, terrain, light, as well as the cultural aspects related to man and his traditions.167 Nel 2005 Michle Shah ha pubblicato un articolo su Harpers e questa volta rac-conta nel particolare lesperienza di Tachis nella Regione Sardegna, e afferma: Giacomo Tachis, the revered cosultant winemaker and father of top Italian wines such as Sassicaia, Tignanello and Solaia, was instrumental to the success of placing quality wines from Sardinia on the world wine map when he starter some 20 years ago consultino for both Cantina Sociale di Santadi and Argiolas. Tachis art of blending and ageing wine in barrique brought these wineries to top international levels of praise.168 In un articolo pubblicato sul quotidiano statunitense The New York Times il gior-nalista Frank Prial ha ripercorso la storia degli Antinori dagli anni 60 al momento del pensionamento di Tachis; ne riporto una frase significativa: With the assistance of Giacomo Tachis, an enologist and a close adviser for more than 30 years, Antinori has done no less than preside over a second Risorgimento a rebirth of the wines of Tuscany.169 In un articolo pubblicato nellOttobre del 2005 sulla Rivista pi quotata a livello internazionale, Wine Spectator, il giornalista Bruce Schoenfeld definisce Tachis come il pioneering enologist of the 1970s and80s, e afferma che gli enologi italiani di oggi learned at the feet of Giacomo Tachis, who was the first to blend Sangiovese with Cabernet Sauvignon and Merlot, the first to place the old chestnut casks with oak barrels and the first to understand the latent greatness of Tuscany.170 In modo diretto e carismatico il giornalista James Suckling ha cos descritto Tachis: the veteran wine-guru who helped create such super Tuscan legends as Solaia and Tignanello and who honed Sassicaia to perfection.171 Nel 1990, inoltre, la casa editrice inglese Sothebys Publications ha pubblicato il libro Chianti and the Wines of Tuscany redatto da Rosemary George. Si tratta di uno studio attento e completo della Toscana vitivinicola, che ne ripercorre con competenza le vicende storiche complici dellevoluzione capillare. Come afferma lo stesso Tachis nella prefazione da lui curata: Rosemary Gorge ha captato tutti questi movimenti, tutti questi fermenti e li ha trasformati in unopera sapiente e ricca al tempo stesso; unopera che non solo ci onora, ma utile anche a noi che operiamo in questa terra , amica di chi appassionato e colto di vigna, di vino e di tutta larte del bello.172 Rosemary George ha voluto che fosse proprio Tachis a scrivere lintroduzione del suo testo, perch da attenta conoscitrice del Chianti e della sua storia, consape- 167 M. Shah, Interview with Giacomo Tachis, in Decanter, Settembre 2003 168 M. Shah, Local Flavour, in Harpers, 14 Giugno 2005 169 F. Prial, Wine; the Merchant of Tuscany, in The New York Times, 28 Novembre 1993 170 B. Schoenfeld, Transforming Tuscany, in Wine Spectator, 31 Ottobre 2005 171 J. Suckling, A Uniquely Tuscan Style Regardless of Grape Variety, in Wine Spectator, 15 Dicembre 1998 172 G. Tachis, Introduzione, in R. George, op. cit., p. 7


114 vole del ruolo fondamentale giocato da quellenologo, un ruolo che viene raccontato con competenza attraverso le pagine del suo lavoro, e quando arriva al racconto dellazienda Antinori nello specifico, afferma che: Il suo enotecnico, Giacomo Tachis, ha il merito di molte delle innovazioni accenna-te nelle precedenti pagine. La modestia sembra essere la qualit dominante nella personalit del dottor Tachis: come enotecnico si colloca tra i massimi, ma come uomo cordiale e disponibile, ben lontano dal personaggio autorevole e altero che mi aspettavo. Non esagerato dire che Antinori e Tachis hanno fatto pi di ogni al-tro per lindirizzo dellattuale vinificazione in Toscana.173 3.7 I segreti comunicativi dei grandi vini di Tachis I grandi vini nati grazie alle attenzioni di Giacomo Tachis sono vini che hanno inse-gnato molto alla vitienologia italiana da un punto di vista tecnico scientifico, come approccio e come processi produttivi. Questi vini (e quindi il suo agire) sono stati pionieri anche nel percorso scelto per comunicarsi, e i risultati ne sono uneclatante testimonianza. Ogni suo prodotto ha conosciuto tanto nella produzione quanto nella promozione un progetto unico, ma alcuni elementi ritornano e rendono riconoscibile il suo operato: semplicit, classi-cit, territorio, storia, natura e persone. Come ha detto Carlo Cambi: esistono grandi vini e i vini eccellenti. I primi sono quelli che hanno una storia, che comunicano al massimo grado i valori immateriali, che hanno una loro unicit, i secondi sono i vini che sono soltanto ottimamente buoni. E oggi gran parte dei vini sono ottimamente buoni, ma pochissimi sono quelli grandi.174 In un certo senso, allora, il valore della bottiglia dato dal sogno che essa racchiu-de, e Giacomo Tachis ha saputo individuare e valorizzare proprio quei valori imma-teriali, oggi sempre pi ricercati dai consumatori. Ancora una volta maestra stata lesperienza del Sassicaia. Quel vino ha insegnato che prima di tutto richiesta una caratteristica insostituibi-le, e senza di cui niente possibile fare: la qualit. Banale, potremmo dire, ma pur-troppo ancora oggi non cos scontato. Una qualit dunque figlia di un processo produttivo sensibile, intelligente e consa-pevole dellobiettivo da raggiungere. E la strategia comunicativa del vino deve radi-carsi nel suo percorso evolutivo, non pu nascere nel momento della progettazione delletichetta che vestir la bottiglia ormai prossima ad essere immessa sul merca-to. Solo cos possibile pensare e scegliere il nome adatto a quella precisa botti-glia, che ne sappia raccontare almeno in parte lessenza. Allora, Sassicaia suona bene, no? Sassicaia il toponimo del vigneto da cui nasce, ne racconta lorigine e la pecu-liarit del terreno, appunto roccioso. Se pronunciato da un toscano riesce anche ad esprimere perfettamente la sua toscanit: il Sassihaia. 173 R. George, op. cit., p. 89 174 C. Cambi, op. cit., p. VII


115 E da quel vino, seppur ideato per il puro piacere e diletto del Marchese Incisa della Rocchetta, dopo una prima commercializzazione nella spaccio aziendale sulla via Aurelia, nato un progetto commerciale internazionale. Due elementi sono sempre stati essenziali: la degustazione, ovviamente, e il rac-conto della storia da cui nasce. Una storia affascinante dove si parla di amori, Mar-chesi, cavalli, diletto ed anche litigi, nel pittoresco contesto delle colline maremma-ne che guardano il mare. Attraverso una comunicazione semplice ma vera, legata profondamente al suo terri-torio, un vino dalle qualit inimitabili nato in una cantina tuttaltro che appariscente, originariamente era una serra per la coltivazione di bulbi di giaggiolo, diventato un fenomeno, dando vita anche a vere e proprie leggende legate, appunto, alla sua storia. particolarmente affascinante quella che racconta come tra i profumi del Sassicaia si possa ancora individuare un lieve sentore di giaggiolo: non vero, ma alimenta il mito di quel vino, senza nulla togliere alla sua reale, incontestabile qua-lit. Quella bottiglia ha conosciuto i favori di appassionati del vino, capaci di spendere cifre da capogiro per acquistarne una particolarmente ambita (alle aste internazio-nali stata valutata per una cifra al di sopra dei 6 mila Euro). Si racconta, ad esempio, di un episodio che ha dellinverosimile ed una spilla ap-puntata sulla giacca di alcuni canadesi, amanti del vino, la ricorda con un orgoglio tutto particolare, portando la scritta: I froze my ass for the 81 Sass. Infatti, un gruppo di appassionati canadesi quando venne a sapere che alla Maison du Vin sarebbe stato messo in vendita il Sassicaia 1981, per paura di arrivare troppo tardi, si mise in fila davanti allingresso dello smercio fin dalla notte prece-dente, sfidando la rigida temperatura canadese, pur di acquistare poche bottiglie di quel blasonato vino. Certo questo episodio va oltre i canoni dellumana accettabilit, ma proprio nella sua eccessivit spiegato quanto quel nome, Sassicaia, sia riuscito a costruire. Nel giro di pochi anni ha saputo fare ci che altri grandi vini sono riusciti a mettere in pratica solo con una biografia secolare. Quelletichetta, inoltre, considerata come un vero e proprio case history di marke-ting territoriale, perch ha saputo inventare un terroir, quello di Bolgheri, oggi meta ambita di tanti turisti amanti del vino, e di tanti imprenditori vitivinicoli che deside-rano avere tra le loro produzioni anche una figlia di quel territorio. La consapevolezza con cui Tachis ha affrontato le esperienze successive ben spiegata dalle sue dirette parole: Il “fenomeno Sassicaia” esportabile entro certi limiti, non certo come imitazione di un prodotto unico, ma piuttosto “sotto altre forme di iniziativa, di fantasia com-merciale, di creativit diversa dalla precedente”, ossia “ripetibile si, ma non ripro-ducibile per identicit”. Cos ha fatto con lazienda Antinori sulle colline del Chianti, inventando nuovi pro-dotti enologici come Tignanello e Solaia, che hanno ridato al territorio toscano pre-stigio a livello internazionale. Un altro fenomeno ha, cos, investito la Toscana del vino: i Supertuscans. Come afferma Tachis:


116 Dagli anni 70 agli anni 80 e 90 sono nate molte tipologie di vino in Toscana, dai Supertuscans agli Igt ecc…Tutto questo stato necessario per raggiungere il mer-cato internazionale ed esportare un prodotto adeguato organoletticamente alle esi-genze del consumatore internazionale importante e adatto anche ad accompa-gnare la ricchezza culturale del territorio toscano, la cui immagine nel mondo an-data di pari passo con quella del vino e di altri importanti prodotti come lolio extra vergine di oliva. Da questa affermazione emergono tre fattori fondamentali che ogni vino nato dalle attente cure di Tachis possiede: – qualit – adeguatezza alle esigenze del consumatore – capacit di accompagnare la ricchezza del territorio da cui proviene. La consapevolezza che in assenza di questi caratteri, con la qualit sul piedistallo superiore, il vino prodotto sarebbe incapace di comunicarsi al consumatore, e an-che la pi attenta strategia comunicativa non sarebbe capace di colmare quel vuo-to. Un concetto che le parole di Tachis esprimono con inimitabile chiarezza: Il vino, come luomo, nasce sempre povero, il bambino neonato povero. Se poi diventa buono, il vino, come luomo, pu farsi strada e pu diventare celebre per le sue caratteristiche organolettiche particolari, per la sua esigua quantit, ecc.: ma alla base c proprio e solo la sua intrinseca qualit; il suo carattere organolet-tico in esclusiva. Questo significa farsi strada, e diventare Supertuscan. Da questo concetto derivano molte cose. La qualit del vino, si pu fare anche in capanna, larchitetto di prestigio non serve. E servono poco anche i mezzi di co-municazione od una nascita in ambienti prestigiosi: se una persona nasce de-mente, non c mezzo attuale che serva a renderlo normale. La stessa cosa per il vino. Supertuscan il grande vino che nasce grande di suo. Lenologo, conta, ma non come e quanto si dice e si pensa veramente. Conta di pi chi coltiva la vigna! Infatti, il vino si fa nella vigna: soprattutto il Supertuscan. Il Supertuscan una forza trainante, se vale davvero, altrimenti deve essere trai-nato anchesso Lessere comunicativo di Giacomo Tachis si riassume in due concetti che lo hanno guidato nel suo percorso professionale, e ci permettono di comprendere nel pro-fondo ogni suo agire da enologo: – Il buon vino come il buon cibo, gi diceva Levi-Strauss, deve essere buono da pensare ancor prima di diventare buono da mangiare.175 – Lo strumento la scelta propria, il palato e la scelta. Ognuno ha la propria confi-denza con il bicchiere. Ogni vino di cui Tachis sia padre diretto o indiretto , infatti, un vino che racchiude in s quei valori immateriali che lo fanno percepire buono ancor prima della degu- 175 G. Tachis, Archestrato di Gela e i comandamenti della buona tavola, Universit di Pisa Facolt di Agraria, 16 Maggio 2001


117 stazione. E la degustazione, con il supporto fondamentale della qualit della be-vanda, diventa qualcosa di pi complesso e affascinante del semplice bere vino, che lascer il ricordo di un piacere da desiderare. Dopotutto, il percorso produttivo attento a esigenze territoriali, tecniche e culturali dona la qualit, e il racconto crea quella cornice con cui esporre la propria opera. Ogni qualvolta Tachis descriva uno di questi vini non ne elenca i componenti chimi-ci, i polifenoli, i tannini, i metodi di vinificazione, ma racconta il territorio da cui deriva. Un esempio: Mozia. Un progetto esemplare e unico, perch pensato proprio e solo come progetto di va-lorizzazione territoriale. Un vino su cui si leggono articoli scritti da giornalisti la cui penna inevitabilmente condizionata dalla sua essenza ed origine: al di l delle sue caratteristiche organo-lettiche un vino che colpisce limmaginazione perch nasce su un piccolissimo fazzoletto di terra circondato dal mare, ricchissimo di storia, di fascino e di miste-ro.176 E quando Tachis prende la parola per descriverlo, come solito fare, ne racconta la territorialit: Abbiamo studiato insieme agli agronomi e agli enologi dellistituto un vino che ri-specchiasse il pi possibile i criteri dei Fenici. La testimonianza pi dettagliata quella del De agricoltura di Catone il Censore, che ci parla di vini ottenuti da uve percoctae, cio stramature. stato quello il nostro testo-guida… un vino di un certo fascino, che va bevuto col cervello pi che col palato 177 Un ulteriore esempio sono le parole che ha usato per descrivere la Sardegna in un articolo, dedicato allazienda Argiolas, pubblicato su Bibenda: Isola quasi imprigionata dai suoi meravigliosi lidi e dalle sue pittoresche bellezze naturali Isola di rifugiati, silenziosa, che racchiude lotte infinite di pastori erranti, di contadini, di nomadi, di coltivatori sedentari e solitari. Isola di dolcezza e crudel-t, di ospitalit e di generosi abitanti che a volte si nutrono persino di miele amaro. Terra del famoso risus sardonicus che ha espresso a suo tempo la durezza di questa particolare vita isolana. Isola di indipendenza e di indipendenti, quella abita-ta dai sardi e finalmente isola di grandi vini e di grandi cuori che hanno fatto di questa terra un giardino di vitigni unici, atti a rendere emozionante ogni loro bicchie-re, insieme ai piatti che primeggiano in bont per la loro semplicit di creazione. Nonostante tra queste parole nessuna descriva un profumo, un colore o un aroma di vino, il desiderio di degustare i prodotti di quella terra nasce con emozione. Que-sto perch proprio il racconto del territorio il miglior mezzo per evocare i piaceri che un buon bicchiere di vino capace di far provare. 176 In Vite Vino e Qualit, Numero 7, Settembre 2006, p. 129 177 Ibidem


118 3.8 Riconoscimenti Giacomo Tachis un uomo che porta con s il suo essere caporale, non idoneo a caporal maggiore, e lo racconta con divertimento. Quando nel 1959 sono andato in congedo racconta col sorriso – cos hanno scrit-to, quindi io non far mai carriera nello stato! Giacomo Tachis, quelluomo che con il cuore e lanima ama la musica (non inu-suale vederlo camminare tra i filari, o analizzare il vino ascoltando i grandi classici), ma non ha potuto fare il cantante di professione. Andavo in una scuola di coro ma ero stonatissimo, una volta poi il maestro di mu-sica se ne accorto e mi mise fuori. Giacomo Tachis, quelluomo che da bambino sognava di fare il macellaio, ma quel bancone non si rivelato il suo futuro. Giacomo Tachis, quelluomo che amava fare il liquorista tra gli alambicchi della Al-berti Tommaso, ma ha dovuto riporre il camice bianco da alchimista nellarmadio. Proprio quel Giacomo Tachis colui che ci ha dato lopportunit di goderci momenti di pura estasi degustando quei grandi vini nati dalla sue attenzioni, guidate prima-riamente da gusto e cuore. Proprio lui universalmente dichiarato come il pi grande enologo italiano. Il viaggio nel tempo e nello spazio delle pagine precedenti racconta quanto Tachis abbia regalato alla terra e allenologia del nostro paese, e questo lItalia lo sa be-ne: non ha dimenticato di ringraziarlo con numerosi premi e riconoscimenti che gli sono stati attribuiti nel corso degli anni. In 45 anni di professione sono cos tanti i successi con la sua firma inconfondibile che ricordarli tutti sarebbe forse impresa impossibile, e se cercassi di elencarli probabile che ne dimenticherei qualcuno facendo un torto al trascurato. Insomma, una carriera invidiabile sotto ogni punto di vista: soddisfazioni, lezioni, amicizie, luoghi scoperti Avrebbe ogni diritto di andare in giro con i blasoni, ma Tachis Tachis, non lo ha mai fatto. Allo stesso tempo non ha potuto evitare che il resto del mondo abbia glo-rificato la sua carriera, e se da un lato questo stato ed umanissimo motivo di orgoglio personale, dallaltro ha sempre cercato di prendere le distanze persino da-gli encomi. Nei lunghi anni del suo percorso professionale, come abbiamo visto, i giornalisti lo hanno descritto e raccontato con termini e aggettivi dai colori pi svariati: il saggio dellenologia, uno sciamano in giacca e cravatta, il maestro, un mito, il re mida del vino, il mentore, il padre nobile dellenologia, lesteta, il grande vecchio del no-stro mondo enologico, e via cos dicendo. Insomma tanti termini che si rincorrono, veri e azzeccati, ma che nascondono Tachis dietro un alone di sacralit in cui non si riconosce. Per questo ogni volta che gli viene attribuito il merito di vini sinonimo di eccellenza ricorda il ruolo centrale e insostituibile giocato da imprenditori, agronomi e Natura: Ci tengo a dire che non merito dellenologo. Il vino microbiologia e per fare un buon vino bisogna conoscere questa materia. Ma la vite frutto dellagricoltura, dellagronomia, e il prodotto per il vino si prepara nella vigna. I meritevoli non sono solo gli enologi, sono soprattutto gli agricoltori.


119 Il vino nasce dalluva e luva nasce dalla vigna. Lenologo trasforma luva in vino e diciamo che se luva buona il vino deve riuscire bene, mentre se luva mediocre, il tecnico ha pi problemi. Il vino si fa in vigna e si sciupa in cantina. Da unuva molto buona si pu ottenere un vino eccellente o un vino cattivo, da unuva medio-cre si pu soltanto ottenere del vino scadente. La natura prevale sempre sulluomo, e lenologo gi bravo se non sciupa quello che ha fatto la natura. Insomma, non mai Tachis a ricordare la sua paternalit di vini come Sassicaia, Tignanello, Solaia, Solengo, Turriga, Terre Brune, San Leonardo, eccetera, eccetera. Sono solo un mescolavino!, parola di Tachis. Forse potrebbe fare sua questa frase: luomo lascia il personaggio, ma non la pro-fessione. Nel suo studio gli chiedo di raccontarmi dei numerosi premi che ha ricevuto e mi porta a vederne alcuni: Questo un tralcio di vite di unartista siciliano.. anche questo Belli vero? Poi sorride e con lironia che lo contraddistingue dice: Vedi, io adesso li uso per appoggiarci i cappelli. Irriconoscenza? Arroganza? Niente di tutto questo: solo la prova che ci troviamo di fronte a un uomo che non si sente e non si vuole sentire arrivato, il demone dellabitudine ne sarebbe la logi-ca, inaccettabile conseguenza. Come mi ha raccontato sempre stato cos fin da giovanissimo. Quando vai a scuola ti danno i premi, no? Io non sono mai andato a ritirarli. Man-davo sempre mia madre, lei ci teneva, era contenta, ne era proprio felice. Mi ricor-do che un giorno c stato un premio particolare e le ho detto se vai tu bene, sen-n non vado. Allora andata lei alla premiazione per non passare da snobbatori, ma non me n mai fregato. Se c un riconoscimento che Tachis ha voluto e ricercato durante tutta la sua car-riera il vedere i vini prodotti con la sua collaborazione apprezzati dagli amanti del vino. Vedere ci che ha fatto con il suo percorso diventare utile ai territori che ama. Uno sguardo a targhe, targhette, pergamene e attestati per dobbligo come ulte-riore testimonianza dellalto valore del nostro enologo. Tra i pi recenti c la Targa dOro Giuseppe Morsiani. Un prestigioso riconoscimen-to che gli stato consegnato a Verona in occasione di Vinitaly 2007 da Andrea Sar-tori. Il presidente dellUnione Italiana Vini (UIV) si dichiarato onorato di premiare un personaggio che ha riscritto la storia del vino con un riconoscimento andato negli anni a grandi uomini che si sono distinti nella ricerca viticola ed enologi-ca178. Nelle motivazioni del premio si descrive Tachis come enologo dalle indiscusse qua-lit, uno dei padri della moderna enologia, winemaker di prestigio mondiale, artefi-ce di alcuni tra i pi prestigiosi prodotti delle vitivinicoltura italiana179. 178 Servizio Stampa Veronafiere, Giacomo Tachis insignito della Targa doro Giuseppe Morsiani, Comuni-cato stampa, Verona 31 Marzo 2007 179 Ibidem


120 Nel Settembre del 2005 stata la Regione Sicilia a voler ringraziare Giacomo Ta-chis per la dedizione che ha regalato ai vini dellisola, giocando un ruolo di punta nel rilancio della viticoltura, indicando la strada da seguire per raggiungere livelli di qualit e credibilit prima impensabili. Roberto Merra cos lha descritto: Non solo un grande tecnico, come lo sono alcuni altri enologi italiani, ma anche un uomo di grande cultura. Un corsaro, un archeologo, un poeta. Un vero principe dei vini. In Sicilia, Tachis ci ha messo non solo la sua esperienza ma anche il suo cuo-re. Un poeta della vigna.180 Sempre nel 2005, il 19 giugno con precisione, ha ricevuto un altro premio con i ri-flettori accesi di tutti i media italiani: lOscar del Vino, un evento organizzato con la collaborazione della rivista Bibenda, della guida Duemilavini e della Rai, dove lo show andato interamente in onda. Sul palco del grande show, di fronte a un numerosissimo pubblico di personaggi del mondo del vino, dello spettacolo e della cultura, stato Bruno Pizzul a consegnare il Premio Speciale della Giuria a Tachis. Ecco la motivazione: Primo artefice del rinnovamento dell’Enologia italiana, i prodotti da lui realizzati hanno raggiunto i massimi livelli del pianeta vino. Oggi l’autore, di grande succes-so, delle considerevoli innovazioni di Sicilia e Sardegna, terre elette ed esaltate dal suo lavoro, dal suo ingegno. Qualcuno lo ha definito “il pirata” per la sua indomita volont di colonizzare la qualit e di assalire gli irresponsabili. Ma anche per l’au-dacia delle sue scelte, determinate dalla grande abilit professionale e dalle sue straordinarie intuizioni.181 Nel 2004, inoltre, un sondaggio del portale on line www.winenews.it lha proclama-to Principe degli Enologi. Gli 8.894 enonauti, non solo italiani, non hanno avuto dubbi sul nome da indicare per lincoronazione. Nel 2001 arrivato un riconoscimento internazionale tutto personale. Lautorevole rivista americana Wine Spectator, infatti, ha festeggiato il suo venticinquesimo compleanno con un numero da collezione dove Mattew DeBord ha pubblicato la Hall of fame dei personaggi che hanno contribuito a delineare il mondo del vino in quei 25 anni. Sono quattro gli italiani presenti nella sua galleria di personaggi: An-gelo Gaja, Ezio Rivella, Piero Antinori e il nostro Giacomo Tachis. Secondo il giorna-lista un filo conduttore, oltre il vino ovviamente, lega i personaggi che nomina, ovve-ro nessuno di loro ha accettato lo status quo, e ognuno di loro ha lasciato unimpronta durevole182. Di Piero dice: personificazione del rinascimento enologico italiano: se il nobile fio-rentino non avesse guardato avanti nella gestione dellazienda vinicola di famiglia, il vino italiano non sarebbe risorto.183 Mentre Tachis lo descrive cos: lenologo a capo della rischiosa, ma necessaria, rivoluzione enologica che ha investito lItalia alla fine degli anni 60 nonch inventore dei super Tuscans.184 180 Giacomo Tachis, Sicilia dautore, in Il mio vino, Settembre 2005 181 www.bibenda.it 182 M. DeBord, Hall of fame, in Wine Spectator, Gennaio 2001 183 Ibidem 184 Ibidem


121 Come non dargli ragione? Un riconoscimento dal valore speciale arrivato nel 1999. LUniversit di Pisa ha voluto onorare il Giacomo enologo, il Giacomo agronomo e il Giacomo uomo, confe-rendogli una laurea honoris causa in Scienza Agrarie e avvalendosi della sua colla-borazione didattica. Nella motivazione si legge: poche persone possono affermare di aver dedicato una vita alla civilt del vino come Giacomo Tachis interpreta al meglio il valore culturale dellenologia italiana, a livello nazionale ed internazionaleCostituisce uno straordinario esempio della nostra cultura enologica.185 S, Tachis ha fatto anche il docente. Dietro alla sua scrivania conserva tutti gli ap-punti che preparava per gli studenti, sulla chimica del legno, del vino ecc. ecc. Ho dei bei ricordi anche di Pisa. Quando facevo il docente, docente per modo di dire. Gli studenti venivano volentierissimo. E come sempre non sono i fatti a essere raccontati dalla voce di Tachis, ma perso-ne, amici e affetti. Io sono molto amico del Professor Alpi: bravo, un galantuomo, una persone seria e capace. Lui insegna fisiologia, un biochimico. Io facevo il docente proprio perch melo aveva chiesto Alpi Un riconoscimento dal valore unico gli stato attribuito nel 2006, quando proprio i suoi amici toscani gli hanno dedicato un libro: I Pionieri del Risorgimento vitivinicolo italiano. un libro di scritti rari di quegli uomini che con scienza, conoscenza e cul-tura imprenditoriale nella seconda met dell800 indicarono la strada della riscossa ai produttori di vino italiani. Un cammino interrotto nella prima met del 900 ma che Tachis ha saputo riprendere. Nella dedica di apertura del libro si legge: Seriet professionale e cultura sono tratti distintivi di Giacomo Tachis, luomo che ha guidato la rinascita del vino italia-no nella difficile e dura competizione per la conquista del mercato internazionale Tutti noi186 dedichiamo, quindi, questo volume a Giacomo Tachis nel segno della nostra amicizia, che, come scrisse un grande cuoco napoletano del 700, Vincenzo Corrado: una dolce, amabile, signorile, divina virt rara a trovarsi e che, so-vente nasce intorno ad una buona tavola e ad un buon bicchiere di vino.187 Alla fine di tutto una domanda sorge spontanea: quali sono state le scelte della sua vita determinanti per il suo brillante successo internazionale? La risposta racconta molto di quello che Giacomo Tachis: Scelte di vita Ho iniziato a lavorare nel vino per necessit economica, perch provengo da una famiglia molto modesta economicamente. Siccome per temevo che il lavoro diven-tasse una specie di condanna, ho fatto di tutto per appassionarmi allo studio 185 AA. VV., Verbale della seduta del consiglio di facolt, Facolt di Agraria Universit di Pisa, delibera n8, 30 Aprile 1998 186 Nella dedica si firmano: Zeffiro Ciuffoletti , Torello e Sonia Latini, Mauro Pagliai, Amedeo Alpi, Paolo Nanni, Carlo Cambi, Cosimo Ceccuti, Stefano Cordero di Montezemolo, Leonardo Casini, Augusto Mari-nelli, Massimo Lucchesi, Susanna Cenni, Francesco Ricasoli, Tiziana Frescobaldi, Stefano Barzagli, Fer-nando Cattani, Ettore Falvo, Manuela Villimburgo, Giovanni Piscolla, Vieri Bufalari, Sandro Vannucci, Gino Salica, Vittorio Chierroni, Fabio Azzardi, Vincenzo Vettori, Carlo Salvatori, Paolo Cocchi. 187 Z. Ciuffoletti, I pionieri del Risorgimento vitivinicolo italiano, Edizioni Polistampa, Firenze 2006


122 dellenologia, che in fondo biochimica e microbiologia: due campi che mi hanno appassionato e appagato moralmente e intellettualmente. Il successo puzza di ambizione, specialmente se allestero. Quindi preferisco au-tonominarmi mescolatore di vino di paese e di campagna. Altro che internaziona-le! Ora, in pensione, leggo saggistica, storia e umanistica, dato che mi sentivo molto ignorante in materia. In realt Tachis , come suo fratello, un raffinato bibliofilo. Ama i libri e si contor-nato di una congrega di amici che come lui si potrebbero definire gente che sa di non sapere e quindi ama i libri specialmente quelli pi antichi, rari e meno noti. Non per snobismo, ma per una certa diffidenza nei confronti dei libri di successo e per fastidio del conformismo che in Italia si respira specialmente nel mondo della cultu-ra, da salotto e da televisione.


123 Bibliografia AA.VV., Bacco e le Muse. Quando il vino ispira poesie, racconti dipinti, Pendra-gon, Bologna 2004 AA.VV., Il piacere del vino, Slow Food Editore, Bra 2005 AA.VV., Il Vin Santo ad Arezzo tra tradizione e innovazione, Provincia di Arezzo As-sessorato allAgricoltura, 2007 AA.VV., La guida della strada del vino, Costa degli Etruschi, Grosseto 2007 AA.VV., La Sicilia del vino, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2003 AA.VV., Rapporto sul settore vitivinicolo 2007, Retecamere, Roma 2007. AA.VV., Viaggio in Toscana. Alla scoperta dei prodotti tipici, Giunti, Firenze 2001 A. ANTONAROS, La Grande storia del vino. Tra mito e realt, levoluzione della bevan-da pi antica al mondo, Pendragon, Bologna 2006 R.P. BAGOZZI, Fondamenti di marketing, Il Mulino, 2001 C. BAKER, Il vino spiegato ai miei figli, Ci.Vin, Siena V. BALDACCI, Gli itinerari culturali. Progettazione e comunicazione, Guaraldi, Rimini 2006 Z. BAUMAN, Pensare sociologicamente, Ipermedium libri, Napoli 2000 G. BECHELLONI, Svolta comunicativa, Ipermedium libri, Napoli 2001 R. BICHI, Lintervista biografica. Una proposta metodologica, V&P, Milano 2002 BURGUNDIONE DA PISA, Libro sulla vendemmia, Ars Antiqua Editrice Milano, 2005 C. CAMBI, Il buon vino, Istituto Geografico DeAgostini, Novara 2005 C. CAMBI, Il Gambero Rozzo 2007, Newton Compton Editori, Roma 2006 C. CAMBI, Le Ricette e i vini del Gambero Rozzo 2007, Newton Compton Editori, Roma 2006 G. CAPORALI, I poeti del vino. Cinquanta secoli di poesia dallEpopea di Gilgamesh allOde al Vino di Pablo Neruda, Editrice Le Balze e Protagon Editori, Siena 2007 D. CINELLI COLOMBINI, Il marketing del turismo del vino, Agra, Roma 2007 Z. CIUFFOLETTI (a cura di), Storia del vino in Toscana. Dagli Etruschi ai nostri giorni, Edizioni Polistampa, Firenze 2000 Z. CIUFFOLETTI E G. PINTO, Desinari nostrali. Storia dellalimentazione a Firenze e in Toscana, Edizioni Polistampa Firenze, 2005 Z. CIUFFOLETTI, I Pionieri del Risorgimento vitivinicolo italiano, Edizioni Polistampa, Firenze 2006 S. CORDERO DI MONTEZEMOLO, I profili finanziari delle societ vinicole, Firenze University press, 2005 B. DONATI, Giacomo Tachis enologo corsaro. Dieci anni di rivoluzione siciliana, Terra Ferma, Vicenza 2005 I. EYNARD, G. DALMASSO, Viticoltura moderna, Hoelphy Editore, 1990


124 R. GEORGE, Chianti e gli altri vini della Toscana, Idealibri, Milano 1991 A. GIDDENS, Le conseguenze della modernit, Il Mulino, Bologna 2004 A. GUSMAN, Antropologia dellolfatto, Laterza, Roma-Bari 2004 H. HANNERZ, La diversit culturale, Il Mulino, Bologna 2001 G. Jervis, La conquista dellidentit. Essere se stessi, essere diversi, Feltrinelli, 1997 H. JOHNSON, Il vino. Storia tradizione cultura, Franco Muzzio Editore, Padova 1991 A. LE GURER, I poteri dellodore, Bollati Boringhieri, Torino 2004 C. LVI-STRAUSS, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 1974 J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2002 I. MALENOTTI., Manuale del vignaiolo toscano, Citt di San Gimignano, 2001 P. E. MCGOVERN, Larcheologo e luva. Viti e vino dal Neolitico alla Grecia arcaica, Carocci, Roma 2006 MINISTERO DELLAGRICOLTURA E DELLE FORESTE, Per la tutela del vino Chianti e degli altri vini tipici toscani / relazione della Commissione interministeriale per la delimi-tazione del territorio del vino Chianti, Bologna, 1932 S. MONDINI, I vitigni stranieri da vino coltivati in Italia, Barbera editore, Firenze 1903 M. MONTANARI, Il cibo come cultura, Editori Laterza, Roma-Bari 2006 A. MONTERUMISI, Turismo e Strade del Vino, Guardaldi, 2005 P. Nanni, Vinattieri fiorentini dalle taverne medievali alle moderne enoteche, Firenze 2003. P. NANNI (a cura di), Storia della vite e del vino. Toscana, Edizioni Polistampa, Firen-ze 2007 F. PAOLETTI, Larte di fare il vino, ristampa anastatica delledizione del 1774, Firenze, 2003 L. PARONETTO, Il Magnifico Chianti (note per una storia del vino chianti), Enostampa editrice, Verona 1967 D. PAPI, Guida per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici, Arsia, 2006 R. PASTORE, Il marketing del vino e del territorio: istruzioni per luso, FrancoAngeli, Milano 2006 E. PEYNAUD, Il gusto del vino. Il grande libro della degustazione, Bibenda Editore, Roma 2004 I. PISCOLLA, Le Strade del Vino e dei sapori dItalia, Ci.Vin, Siena 2004 E. ROUZET, G. SEGUIN, Il marketing del vino. Il mercato, le strategie commerciali, la distribuzione, Edagricole, Bologna 2006 A. SANTINI, Chianti, amore mio. Storie, personaggi e avventure del famoso vino e del-la sua terra, Franco Muzzio Editore, Padova 1995 A. SASSU, S. LODDE, Tradizione e innovazione nel settore vinicolo in Sardegna, Cre-nos, 2003 C. SORRENTINO (a cura di), Il giornalismo in Italia. Aspetti, processi produttivi, ten-denze, Carocci Editore, Roma 2005 G. TACHIS, Archestrato di Gela e i comandamenti della buona tavola (intorno ai suoi tempi), Universit di Pisa Facolt di Agraria, 16 Maggio 2001 G. TACHIS, Considerazioni sul passato, presente e futuro della vitienologia, Universi-t di Pisa Facolt di Agraria, 13 Marzo 1999


125 G. TACHIS, I vini delle piccole isole del Mediterraneo, Regione Toscna Dipartimento dello Sviluppo Economico, 2003 G. TACHIS, Il Vin Santo in Toscana, Ci.Vin, Siena 2003 G. TACHIS., Italia: il legno e il vino dalla botte alla barrique, Regione Toscana Dire-zione Generale Sviluppo Economico, Settembre 2006 G. TACHIS., La nostalgia di sapori e profumi nel mondo contadino, Universit di Pisa Facolt di Agraria, Maggio 2007 G. TACHIS, La socialit delle piante, Universit di Pisa Facolt di Agraria, 5 Maggio 2005 G. TACHIS, La vite e il vino dalle origini ai nostri giorni, Regione Toscana Diparti-mento dello Sviluppo Economico, 2000 G. TACHIS, Limmagine del vino nellantichit, 1 Giugno 1990 G. TACHIS, Nel vino, il mito. La sacralit del vino e i suoi rapporti con Dioniso, Sege-sta Teatro greco, 28 Agosto 2002 G. TACHIS, Studio e articolo sui vigneti in Toscana, San Casciano Val di Pesa, 4 Apri-le 1979 T. UNWIN, Storia del vino. Geografie, culture e miti dallantichit ai giorni nostri, Don-zelli Editore, Roma, 1993 B. VECCHI (a cura di), Zygmunt Bauman, Intervista sullidentit, Laterza, Roma-Bari 2005 M. ZATTINI (a cura di), Lebbrezza di No. Sedici artisti per San Gimignano, Il Vicolo, San Gimignano 2003 Riviste e quotidiani Bibenda Civilt del Bere Corriere della Sera Decanter Divine Euposia Gola Gioconda Harpers Il Corriere Vinicolo Il Giornale Il Messaggero Il Mio Vino Il Mondo Il Sole 24 Ore Il Sommelier Italiano Il Tirreno Italia Oggi LUnit La Nazione La Repubblica La Stampa Panorama SardiNews Slowine Terr The International Wine Review The New York Times Veronelli Vie del Gusto Vinum Vite Vino e Qualit Wine Spectator


126 Sitografia www.acquabuona.it www.assoenologi.it www.cantinadisantadi.it www.chianticlassico.com www.enopress.it www.enotime.it www.ismea.it www.sardinews.it www.siciliaonline.it www.teatronaturale.it www.tigulliovino.it www.toscanapromozione.it www.unioncamere.it www.verdeuropa.it www.veronelli.com www.viedelgusto.net www.vinitaly.com www.vinoinrete.it www.winecountry.it www.winenews.it


 www.winereport.com


 

Roberto Gatti

Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali: » Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente ); >>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino >>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest >>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge ed ai maggiori concorsi italiani.

View Comments

  • Vi ringrazio per questa lettura , conoscevo la fama del grandissimo Tachis , ma in queste pagine ho scoperto la vera essenza dell'uomo/enologo ,la sua sensibilità ,la sua modestia e l'immensità delle sue " sfide" che grazie al suo intuito hanno cambiato il vino in Italia !
    Grazie a Giacomo Tachis :un italiano che meriterebbe di essere sui libri di testo scolastici.

    • Il grande Giacomo Tachis è stato allievo di Emile Peynaud, professore/enologo francese di Bordeaux, riconosciuto come il piu' grande degli ultimi 100 anni ! Ho incontrato un'altro enologo di Bordeaux, anch'egli allievo di Peynaud, oggi operante in Cile zona Valparaiso, ne ho assaggiato i vini e devo dire che questi personaggi sono immensi !
      Saluti

Recent Posts

Irpinia, Sannio, Basilicata: il triangolo dell’Aglianico visto da Decanter

In 20 anni le esportazioni di vino Made in Italy sono aumentate del 188%, raggiungendo…

23 ore ago

UN VINO ITALIANO SUL TETTO DEL MONDO : PRIMO TRA I TOP 100 MONDIALI

Il mondo del vino deve dare maggiore riconoscimento ai vini classici che incarnano la grandezza…

2 giorni ago

LA VIGNA DEL RE

Azienda Binza e Su Re Loc. Tuvaoes e Più, Usini (SS) 07049 binzaesure@gmail.com Web :…

3 giorni ago

I TOP 100 DI JAMES SUCKLING

Il vino dell’anno italiano secondo James Suckling, è l'amarone Bertani della Valpolicella Classica 2015, nell'elenco…

5 giorni ago

Dal Timorasso al Derthona, il vino bianco riscoperto punta in alto

Il percorso di riscoperta di uno storico vitigno abbandonato, il Timorasso, sa dare vita a…

7 giorni ago

Tutte le stelle della Guida MICHELIN Italia 2025!

393 è il numero totale delle stelle nell'edizione 2025 e il 3 sembra abbia portato…

1 settimana ago