Il problema di definire il termine “mineralità” origina dal fatto che essa è costituita da una combinazione di olfatto, gusto e sensazioni trigeminali (cioè quelle percepite dal nervo trigeminale, come il piccante).
Per Roberto Miravalle, agronomo consulente e ricercatore, in linea col pensiero di Attilio Scienza dell’Università di Milano e di Luigi Moio dell’Università di Napoli, «si nota una crescente utilizzazione del termine mineralità. Tendenza avviata nel mondo anglosassone, che associa questo carattere all’identitarietà dei bianchi delle regioni viticole più settentrionali, dapprima per descrivere le note di cherosene dei Riesling alsaziani, poi per render conto dei sentori di pietra focaia in Borgogna».
Una ricerca lo dimostra
Scientificamente, le note minerali di un vino non sembrano riconducibili alla geologia del suolo: le radici assorbono ioni minerali, ma questi non portano con sé odori o sapori (i minerali sono inodori, a meno della presenza di contaminanti organici); lo zolfo stesso per farsi odoroso deve essere combusto traducendosi in anidride solforosa. Una ricerca della Lincoln University (Nuova Zelanda) mette in risalto che il descrittore “mineralità” non è frutto di fantasia, ma che la fonte della sua percezione è incerta. Da uno studio di alcuni ricercatori borgognoni è emersa l’assenza di una definizione sensoriale univoca per questo descrittore. Secondo altre ricerche, pare addirittura che siano i fattori culturali a influenzarne la percezione.
Bassa relazione tra mineralità gustativa e terreno
Nel 2015, Antonio Palacios García (direttore del Laboratorio Excell-Ibérica nella Rioja, specializzato in analisi enologiche e agroalimentari) e David Molina (direttore di Outlook Wine, scuola enologica di Barcellona) hanno appurato alcune interessanti evidenze: la mineralità gustativa pare correlata all’acidità totale e succinica, quella aromatica a molecole odorose traducibili in note floreali, agrumate, animali, a sentori di “ridotto” e di solforosa. In più i due, oltre a confermare la bassa relazione fra contenuti minerali del terreno e la mineralità del vino derivante, svelano una connessione tra quest’ultima e i composti di sintesi della pianta, quelli di origine fermentativa, i complessi tiolici, il basso pH e l’alta acidità, la presenza di geosmina e il livello di pirazine.
La nota minerale
Secondo lo Studio agronomico Sata, dove lavorano Leonardo Valenti dell’Università di Milano e l’agronomo Pierluigi Donna, il concetto di mineralità di un vino deriva da sensazioni alla degustazione che non trovano un riscontro specifico nelle tradizionali analisi chimico-siche. Per questa ragione finisce per riferirsi a percezioni soggettive, che possono avvicinarsi alla sapidità e all’acidità. Ciò che viene tradotto in “nota minerale”, dipende innanzitutto dalla genetica del vitigno: Riesling renano, Verdicchio, Müller urgau, Greco, Fiano sono per esempio capaci di esaltare questa proprietà, soprattutto se coltivate su suoli ricchi di sali, come quelli di origine marina o vulcanica.
Il ruolo del quadro acidico
Non solo il suolo, ma anche fattori ambientali (come la quota o il livello di piovosità) possono condizionare l’espressione minerale in un vino; a maturazioni più lunghe e vendemmie più tardive – condizionate anche dalle tecniche colturali – corrispondono spesso sensazioni di mineralità più elevate, mentre cicli brevi non condurranno allo sviluppo di queste note. I sentori minerali sono dunque più evidenti in vini complessi e maturi, più che strutturati e morbidi, ed è soprattutto il quadro acidico e il suo rapporto con gli zuccheri a esercitare un ruolo determinante sulla mineralità.
Una rappresentazione mentale
Per Attilio Scienza è vero che il concetto di mineralità si lega a vitigno, conduzione colturale e condizioni di maturazione, ma non alla natura geologica del suolo. Spiega il professore: «Il concetto di mineralità è oggi molto di moda», ma non va identificato con un presunto “gusto del terroir”. «Lo si individua con espressioni quali pietra focaia ed è associato a caratteristiche di finezza, freschezza, persistenza, salinità; ma va escluso il ruolo prevalente dei sali minerali»: nella bocca non vi sono aree capaci di coglierne il sapore. «Perché è di moda? Perché soddisfa quella ricerca delle origini, in linea con quella mutazione del gusto che oggi porta a rifiutare i vini concentrati a favore di prodotti più equilibrati e provenienti da terroir più rispettati. La percezione della mineralità allora è una rappresentazione mentale che designa con un sostantivo un forte potere evocativo».
Il minerale sfida il tempo
Ancor più “metasica” la visione di Luigi Moio: «Anch’io uso il termine mineralità, ma associato all’acidità, alla purezza sensoriale estrema. La purezza incontaminata del minerale che sfida il tempo. Un vino con note minerali è per me un nettare il cui processo di decadimento olfattivo è rallentato al massimo», nel quale la sua integrità rispetto al frutto e alla vigna (se figlio di un cru) è dilatata il più possibile nel tempo.
( Fonte Civiltà del bere )
Annotazioni a margine
Convinto da sempre che ” la mineralità ” racchiuda in effetti la sapidità e l’acidità di un vino, unitamente ai sali minerali se e dove presenti !
Consiglio una lettura qui :
http://www.centobicchieri.com/zibaldone-minimo-dei-lemmi-enogastronomici-parte-seconda-il-mito-della-mineralita/
RG
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