Secondo Confagricoltura, tra gennaio e agosto 2013 le esportazioni di bollicine sono cresciute dell’80 per cento rispetto al 2012, con un aumento del fatturato superiore al 120 per cento
ROMA – Il vino italiano prova a riconquistare la Cina, e lo fa mettendo in tavola gli spumanti. Secondo Confagricoltura, tra gennaio e agosto 2013 le esportazioni di bollicine sono cresciute dell’80 per cento rispetto al 2012, con un aumento del fatturato superiore al 120 per cento. Un’accelerazione che mette in difficoltà persino i rivali francesi, attualmente padroni del mercato cinese d’importazione: “Nel primo semestre dell’anno – esulta Gianluca Bisol, direttore generale dell’omonima azienda vinicola – le importazioni cinesi di spumante sono state doppie rispetto a quelle di champagne”.
La crescita vertiginosa dello spumante, prodotto ancora marginale sul mercato cinese, è però in controtendenza rispetto al dato generale: nei primi otto mesi del 2013, infatti, il volume delle esportazioni di vino in Cina è calato del 37 per cento. Colpa, soprattutto, dei dazi: il prezzo dei vini italiani a basso costo è quasi triplicato, rendendo impossibile la concorrenza con i concorrenti cileni e australiani, che godono di tributi alla dogana molto favorevoli. Se i vini economici sono praticamente scomparsi, anche quelli di livello medio-alto registrano un calo del 20 per cento, di fronte a un aumento del fatturato di poco superiore all’8 per cento. Il vino italiano in Cina è diventato un bene di lusso: “La bottiglia di Prosecco che in un ristorante italiano paghi venti euro – spiega Bisol – in un ristorante cinese ne costa ottanta quindi ha un target di nicchia”.
Nel 2012, sul totale
delle importazioni cinesi, l’Italia ha inciso solo per il 5,7 per cento: un decimo della quota di mercato in mano ai dominatori francesi, ma meno anche di Australia, Cile e Spagna. Nel 2020, la Cina sarà il principale consumatore di vino al mondo, mentre tutti i principali mercati dell’Unione europea si stanno ridimensionando. L’attenzione verso i mercati orientali, quindi, è aumentata, e si è fatto più evidente il gap fra l’Italia e gli altri esportatori. “Non facciamo buona comunicazione e c’è troppo campanilismo – è l’opinione di Fabio Grasselli, che da sette anni esporta vino in Cina – raccontiamo poco della cantina, della storia del vino, e solo l’1 per cento delle aziende italiane ha materiale in cinese. Inoltre, con le rivalità locali, i consorzi e gli enti fanno fatica a promuovere il territorio”.
Bresciano, classe 1980, Grasselli ha messo insieme le due passioni della sua vita – il vino e le culture orientali – e ne ha fatto un lavoro: l’esportatore. Ha cominciato a girare le fiere in Cina nel 2006, bussando alle porte degli importatori conosciuti durante i suoi viaggi. Oggi collabora con otto cantine italiane, e quest’anno ha portato in Cina 120 mila bottiglie. “I primi anni sono stati duri – racconta – la disinformazione era altissima, molti neanche sapevano che l’Italia producesse vino. Solo nell’ultimo biennio abbiamo cominciato a vedere operazioni di successo da parte delle istituzioni italiane, e alle fiere, finalmente, i nostri padiglioni sono diventati più importanti, più visibili e più visitati”.
Due, quindi, sono i fattori che possono favorire la rimonta del vino italiano in Cina: il marketing e la capacità di fare rete. Qualcosa, tra i produttori, ha cominciato a muoversi negli ultimi anni. Come a Benevento, dove la Confagricoltura locale, dal 2009 a oggi, ha organizzato quattro viaggi per promuovere il vino del Sannio, riunendo grandi e piccole aziende. “Abbiamo scelto un mercato difficile, lontano come lingua e cultura e dominato dai francesi, ma l’interesse dei consumatori è in crescita – racconta il direttore Manfredi Pascarella – e oggi stiamo trattando per contratti pluriennali con diversi importatori cinesi. Non ci interessa vendere un container ogni tanto, stiamo cercando di aprire un mercato e diventare una presenza fissa”.
( Fonte Repubblica.it )