Nella tenuta di Emidio, che da 50 anni crea un nettare biologico. Tra l’Adriatico, il Gran Sasso e la Maiella. In una cantina con 350mila bottiglie.
Oggi siamo in ABRUZZO. Il paese è Torano Nuovo, il paesaggio quello della Val Vibrata. Le coordinate geografiche sono 42°49′ Nord e 13°46′ Est.
Il viaggio comincia all’aeroporto di Genova, dove non prendo un aereo ma parcheggio lo scooter e salgo sulla macchina di Massimo, il nostro regista.
Insieme ci mettiamo in marcia: la Serravalle, Tortona, Piacenza, Bologna, la Riviera Adriatica. Poco dopo San Benedetto del Tronto lasciamo l’autostrada e il litorale per addentrarci in questa terra compresa tra l’Adriatico, il Gran Sasso e la Maiella. La strada sale lungo costoni di roccia viva tufacea e porta su un altipiano sormontato da colline: lievi ondulazioni del terreno ricoperte da vigneti. È la terra del Montepulciano d’Abruzzo e del Trebbiano: un luogo argilloso, con forti escursioni termiche, tanto vento e molto sole.
«L’ideale per la vigna e il vino,» dirà Davide domani, guardando negli occhi il pubblico a casa, oltre la telecamera di Massimo.
Arriviamo a Tornano Nuovo giusto in tempo per pranzare. Ci accoglie un’insegna di buon auspicio: «La sosta».
Antipasto di salumi e formaggi, un primo di ravioli al ragù e un pollo ruspante con le patate al forno. Buon Montepulciano d’Abruzzo e pane di casa. Siamo entrati con il sole e usciamo con la pioggia. Il tempo è cambiato, ma quasi non ce ne accorgiamo. Soddisfatti e pieni di energie ci presentiamo nella tenuta di Emidio, un grande viticoltore che da cinquant’anni produce il Montepulciano d’Abruzzo in maniera rigorosamente biologica.
Arriva anche Davide, indossa l’abito di scena ed è subito pronto. Iniziamo le riprese nella cantina di Emidio e della sua famiglia: un luogo che merita un’attenzione speciale.
Ci sono 350.000 bottiglie, dal ’64 a oggi, che annata dopo annata raccontano la storia del Montepulciano. All’inizio era considerato un vino facile, da consumare giovane, entro l’anno. Emidio invece parlava alle sue viti ed era convinto che con l’aiuto della natura gli avrebbero dato un prodotto di grande corpo e carattere, capace di invecchiare dieci, venti, trent’anni e oltre. I vecchi del posto e gli amici lo prendevano un po’ in giro, ma lui insisteva e non abbandonava la sfida. Col tempo ha creato una vera scuola di pensiero, una specie di filosofia del vino e della vita, misto di sincerità, semplicità e genuinità.
Domani, con la sedia tra i filari, Davide spiegherà che «Emidio rispetta la vite come una persona e l’accompagna mentre la natura la fa crescere; perché è la natura che dà carattere al vino e mette il suo marchio sull’etichetta di ogni bottiglia!»
Nella cantina di Emidio sono ordinatamente disposti filari di bottiglie di quasi tutte le annate. Sembrano la tastiera di un pianoforte che corre verso l’infinito. Alcune annate però mancano e domando perché. Sofia, la figlia di Emidio che ha ormai raccolto l’eredità del padre, mi spiega che in certe stagioni di maltempo – come ad esempio l’86, il ’94 e il ’96 – Emidio ha scelto di non produrre vino!
La sua filosofia è molto semplice, ma come tutte le cose semplici è difficile. In vigna non usa alcun prodotto chimico, vendemmia a mano, diraspa sempre manualmente il Montepulciano e pigia con i piedi il Trebbiano, poi vinifica nel cemento e imbottiglia senza filtrazioni. Lascia invecchiare nel vetro e prima di mettere il vino in commercio lo decanta a mano, bottiglia per bottiglia.
Davvero difficile, questa semplicità!
Domani, quando il sole splenderà sulle colline della Val Vibrata, Davide spiegherà che la raccolta e la successiva diraspatura permettono di mantenere intatti gli acini, in modo che i raspi non vengano strappati e non si mescolino all’uva, portando acidità.
Vedere Davide che diraspa con Daniela, la sorella di Sofia, è uno spettacolo. Si dispongono ai lati di una grande setaccio e spingono i grappoli l’uno verso l’altra finché tutti gli acini sono caduti nel tino e sulla rete sono rimasti solo i raspi. Massimo s’inventa una ripresa dal basso, con un vetro per proteggere l’obiettivo. Un’immagine in controluce che sembra racchiudere l’anima di questa produzione artigianale: gli acini d’uva maturi, il lavoro delle mani e delle braccia, la luce del sole.
Uno spettacolo ancora più coinvolgente è vedere tutta la famiglia di Emidio riunita che indossa gli stivali e pigia il Trebbiano con i piedi.
Non è folclore, come si potrebbe pensare, ma una precisa scelta di produzione, necessaria per estrarre solo il succo degli acini maturi, senza che i raspi e i frutti acerbi finiscano nel mosto. Occorre evitare l’acidità e dare al vino – fin dall’inizio del suo cammino – quelle caratteristiche di armonia e di equilibrio che lo renderanno pregiato.
Emidio mi spiega che si tratta di non commettere errori e di partire subito con il piede giusto. Fare all’inizio le cose che servono, per non intervenire dopo, magari con la chimica.
Infine, l’uso delle vasche in cemento vetrificato permette al vino di riposare e maturare serenamente, lontano dalla luce e dai rumori. Emidio non ama il legno delle botti perché altera il sapore e i profumi del vino. Ma anche l’acciaio non va bene. Le pareti sono sottili, come quelle dei moderni appartamenti. All’interno il vino non si rilassa mai, si agita e resta torbido.
Nelle botti di cemento vetrificato, invece, riposa come un essere umano in una casa confortevole. Dopo soli due mesi, lascia cadere sul fondo il deposito ed è perfettamente trasparente.
Nella penombra della cantina buia, Davide si avvicina a una botte e spilla un po’ di vino. In controluce si vede la trasparenza assoluta, l’assenza di sospensione e la calma interiore del giovane Trebbiano. Non è ancora pronto, ma è già sincero!
Terminato l’invecchiamento nel cemento, il vino viene imbottigliato senza filtrazioni. Poi andrà in cantina e invecchierà per anni e anni, anche cinquanta.
Quando poi sarà messo in commercio, la moglie di Emidio lo decanterà a mano. L’ultimo tocco sarà l’etichetta, che dopo mezzo secolo di vendemmie non è mai cambiata. Anche questo è un segno di continuità e sincerità.
Al termine delle riprese ci fermiamo a tavola, in famiglia. I piatti sono quelli del luogo, anche loro genuini e pieni di vita come il vino che li accompagna. Assaggiamo le mazzarelle, interiora di agnello finemente lavorate e racchiuse in foglie di lattuga cotta, spaghetti alla chitarra, formaggio fritto e dolci di casa. Ogni portata è accompagnata da un vino diverso, ben presentato da Chiara, l’altra donna di famiglia. È la figlia di Daniela e ha poco più di vent’anni; è già sommelier, parla le lingue e attraversa i continenti per promuovere i vini del nonno.
Emidio ci racconta che un tempo metteva le bottiglie in valigia e portava i suoi vini in giro per il mondo; oggi sono loro che fanno viaggiare lui e la sua famiglia.
Questa è l’Italia della qualità!
Bene, ora è tempo di andare, ci aspettano altri paesi e altri paesaggi.
Venite a Torano Nuovo, in Val Vibrata; ma non come turisti – mi raccomando – come ospiti!
( Fonte mentelocale.it/ )
P.S. ) Ricordo questo mio articolo risalente a circa 10 anni fa http://www.vinit.net/vini/Le_Mie_Degustazioni/C_era_una_volta____il_Montepulciano_d_Abruzzo_1847.html
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