Il Grande Enologo Italiano Giacomo Tachis, pubblica un nuovo libro, con molte considerazioni sullo stato attuale della nostra enologia.
Il piu’ grande enologo italiano degli ultimi 50 anni, padre putativo di quel grande ” brand ” che il Sassicaia, del rilancio della viticoltura Siciliana e della Sardegna , ci racconta i suoi pensieri, consigli e riflessioni sull’ Italia enologica dei nostri anni.
Buona lettura
Roberto Gatti
Un libro di Giacomo Tachis che racchiude consigli e racconti, esperienze e speranze. E poi l’amore del pi grande enologo italiano per tre regioni
Giacomo Tachis non finisce mai di stupire. L’11 ottobre si presenta a Firenze “Sapere di vino” ( 171 pagine, 18 euro, Mondadori editore), un libro che racchiude la sua filosofia tra vigna e cantina, uva e barrique. Qui pubblichiamo una sintesi dal capitolo “Innovare e rinascere”
“Mi fa sempre molto piacere sentir parlare di evoluzione tecnica in ambito enologico nel nostro soleggiato paese. Devo per ricordare che queste innovazioni, che si presentano talora come vere e proprie rivoluzioni, a volte non danno i risultati sperati, sia sul piano tecnico, sia su quello commerciale. Daltro canto, levoluzione non un processo semplice e lineare: sarebbe troppo facile. In fondo, a questo mondo tutto ha un prezzo. Bisogna riconoscere che i vini italiani sono saliti parecchio nellindice di gradevolezza a livello internazionale, grazie a tanti fattori, fra cui, non ultime, lo ripeto, la tecnologia viticola e la tecnologia enologica. Ma dobbiamo cercare di non montarci la testa e di fare un po di autocritica, che sempre produttiva. Oggi abbiamo pi bisogno di giudizi che di elogi, perch mentre questi ultimi rischiano di portarci a riposare sugli allori, le critiche ci spingono a cercare (e utilizzare) i mezzi per migliorare il nostro vino, che dovr viaggiare per le strade del mondo e confrontarsi con i suoi pi qualificati concorrenti stranieri.
La competitivit stimolante, e noi abbiamo le competenze per gareggiare oltre confine, soprattutto con vini di alta cilindrata. Oggi tanti produttori italiani si impegnano davvero, impiegando tutti i mezzi tecnici (e anche economici) a disposizione: ragionati, meno ragionati, a volte azzardati, ma sempre e solo allo scopo di operare al meglio. Linsieme di queste buone intenzioni ha talvolta, per generato comportamenti divenuti un po di moda, grazie anche al parlare che se ne fa, alla propaganda commerciale e alleco della stampa italiana e straniera. Per esempio i viaggi nel Bordolese prima, e in California poi, sono iniziative, oltre che piacevoli dal punto di vista turistico ed enogastronomico (grazie anche alla simpatia e alla disponibilit, soprattutto in America, della gente legata al mondo del vino), certamente anche utili, tuttavia bisogna ricordarsi sempre in quale territorio e allinterno di quale tradizione si opera.
molto interessante sentire parlare di invecchiamento del vino (specialmente rosso) in barrique di legno francese, iugoslavo, americano e cos via, ma un conto parlare, un conto agire, confrontarsi con il lavoro materiale. Non sempre vero che chi possiede una ricca biblioteca in casa sia persona di cultura eccezionale, come non vero che chi ricco sfondato debba essere una persona in gamba: molte volte le fortune vengono ereditate e lerede pu anche essere incapace di mantenerle. Cos pu succedere che da una cantina fornita di un meraviglioso patrimonio di tini moderni, botti nuove e barrique esca un vino non dico non buono, ma inadatto alluno o allaltro vaso vinario.
Vorrei far notare, tra laltro, che il fustino a barrique ha una determinata forma e dimensione non solo per raggiungere il massimo risultato in termini di evoluzione e miglioramento del vino, ma anche per ottenere il minore spreco possibile di legname buono, e cio il cuore del tronco. Lalburno, la parte pi debole, pi porosa, non va bene per un corretto sapore e profumo. Il legno buono deve essere di facile fenditura (spacco) e resistente agli urti, e a tutti gli altri imprevisti di lavoro in cantina (oggi ci sono fusti ottenuti anche da legno segato, anzich di spacco, ma non la stessa cosa).
Non voglio entrare in particolari tecnici e specifici, che rimando al capitolo successivo, ma trovo interessante sottolineare che il legno da barrique pi stimato allinizio del secolo scorso nel Bordolese era quello austriaco, imbarcato a Trieste e importato in quantit tali da produrre parecchi milioni di barrique. Quel legno austriaco, oltre a contenere principi odoranti molto favorevoli al miglioramento organolettico del vino, si lavorava anche con facilit, era omogeneo e aveva un buono spessore, e costava meno di quello francese. Inoltre, si era dimostrato adatto anche per certi vini bianchi. Naturalmente non era lunico utilizzato, come vedremo.
Se il vino ha le carte in regola per entrare in barrique, il successo – almeno tecnico – assicurato. Ma levoluzione della nostra enologia abbraccia un campo che va ben oltre la barrique: la determinazione del criterio di scelta delluva di partenza, la consapevolezza di che cosa vorremmo ottenere e fare dopo la sua fermentazione, e la scelta di un tipo adeguato di vinificazione sono le prime cose a cui pensare. Inoltre va approfondito il concetto moderno dello stile del vino (e quindi dei suoi caratteri organolettici) e su di esso dovremmo in futuro basare le nostre riflessioni circa la scelta delle uve che lo dovranno produrre.
Sono dunque questi gli elementi che dovranno indirizzare poi sulluno o sullaltro sistema di invecchiamento, e solo allora le sperimentazioni diventeranno utili in quanto sapremo chiaramente di quale materiale abbiamo bisogno e cosa ci pu dare. Ed eccoci arrivati al punto: bisogna valutare di volta in volta se il vino, nella sua composizione chimica e organolettica, adatto a un processo o a un altro, se ha le caratteristiche tecniche per affrontare un processo impegnativo come la conservazione in fustino nuovo o in piccola botte di legno che morde, perch gi fra questi due contenitori esiste una notevole diversit di tecnologia, e quindi diversi saranno levoluzione del vino e il risultato finale.
Chi deve fare questa sorta di esame di coscienza non tanto lenologo quanto il viticoltore, perch il vino, non mi stancher mai di ripeterlo, nasce dalluva prodotta nella vigna coltivata in un certo modo e con determinati tipi di vitigno o di vitigni. Lenologo dovr dunque scegliere solo dopo la vendemmia, insieme al produttore e al viticoltore, la tecnologia pi adatta da utilizzare, senza farsi troppo condizionare dai metodi di moda. Un conto la letteratura sullargomento, quella parte pi mondana, per dir cos, e che riguarda il lato commerciale e non produttivo del mondo del vino, un conto il lungo e faticoso lavoro, che si nutre dellesperienza maturata nei secoli e non pu affidarsi alle tendenze del momento.
Questa considerazione vale per tutti noi, ma in special modo per quei produttori appassionati e sicuramente in buona fede, pieni di interesse per laspetto tecnico e commerciale, che per a volte non posseggono o non dispongono di sufficiente esperienza tecnologica da un lato e, dallaltro, subiscono le continue sollecitazioni da parte degli ogni giorno pi numerosi articoli specialistici, non sempre supportati da seri studi o esperienze sul campo, dalle gare e manifestazioni di enologia, e magari anche dalle chiacchiere di colleghi che inseguono nuovi modi di fare il vino per sembrare allavanguardia”.
( Fonte Cronache di Gusto )