“La volta della grande galleria di accesso, o vestibolo, nelle Catacombe romane di Domitilla, del I secolo, è decorata da quella che si considera la più antica pittura «cristiana»: una grandiosa pianta di vite sboccia da un folto cesto di foglie e si distende per tutta l’ampiezza con due tronchi principali, simmetrici e sinuosi, e con una infinità di ramificazioni minori, pampini, foglie e grappoli.
È il primo esempio di una simbologia costante,
che ha nelle parole di Gesù, «Io sono la vera
vite, e il Padre mio è il vignaiuolo» (San
Giovanni, XV, l), assai più che nei precedenti
etruschi e romani, il motivo. Già nell’ipogeo
di San Sebastiano, pochi anni dopo, al centro
della vigna, è dipinto il Redentore. Proprio
alla coltura della vite, pianta per eccellenza,
è rimasto, tra le «opere» tutte della terra,
qualcosa di sacrale. La vendemmia e la vinificazione
del frutto sono ancora oggi, in
tempi di meccanizzazioni e di affanni, riti
gioiosi. Ne è conferma l’incontro con alcuni
preti vignaiuoli e con i loro vini (…).
Don Luigi Nadalutti, «personaggio» di straordinaria
simpatia, è restio, non mi vuole ricevere;
sua prima regola «non interessarsi di
serve, matrimoni e giornalisti». La resistenza
è breve, sopraffatta dalla vivace curiosità e
dalla bonomia. Pochi minuti, mi introduce
nella cantina antica dell’abbazia di Rosazzo,
famosa nei secoli.
La lista delle vivande, settantadue, servite il 6 giugno
1409, dal comune di Cividale in onore di papa Gregorio
XII, presente per il Concilio generale, comprende
i seguenti vini: Ribolla di Rosazzo, Verduzzo di Faedis,
Ramàndolo di Torlano, Refosco di Albana, Marzemino
di Gradiscutta. Un secolo dopo, 1509, il tedesco duca di
Brunswich compie in Rosazzo orrenda strage e distrugge
l’Abbazia; anonimo poeta canta: Vui venivi alla chaza /
per tracanare lo bon vino / el primo salto fo Rosaza
… 1596: Andrea Dacci, autore della prima, monumentale
Storia dei vini d’Italia, tra tutti i vini veneti cita solo quelli
dei colli di Rosazzo e si fa spedire, diretti, dal Friuli, uno
rosso e uno bianco; trova il rosso, generoso, armonico e
profumato di fragola; il bianco, secco, franco, profumato
di foglie di pesco. La stessa sottile nuance si coglie
ancora, con attento ascolto, nel bianco di oggi. Quattro
i cru dell’abbazia veri e propri gioielli enologici: il Tocai,
giallo paglierino tenue con riflessi citrini, vinoso con garbo
sino a bouquet composto (per sentore di fiori di campo
e nuance, più lieve, di foglie di pesco), asciutto, fresco,
elegante per mandorla amara; il Merlot, rosso rubino
equilibrato e caldo, bouquet tenue in cui è nuance di
viola, asciutto senza asperità su lieve fondo erbaceo molto
piacevole; il Cabernet, rosso rubino intenso e brillante,
bouquet composto in cui si sottolinea aristocratico sentore
«verde» sapore asciutto, sano, ben vestito, elegante per
netto gusto erbaceo; il Pignolo infine, vino autoctono,
rosso rubino chiaro e allegro, bouquet fresco e continuo,
sapore schietto sottolineato da una sapidità di eccezionale
pulizia (una voce maliziosa vuole che le donne del Friuli
lo considerino vino afrodisiaco; «Le donne del Friuli»
sorride divertito. «Non ho studiato questa pagina »).
Don Luigi ha dato e ha preso, dal vino al vino, serena allegria.
Chiudo il mio viaggio nelle terre vinose per eccellenza,
l’Astigiano, le Langhe. Conoscevo i vini, corretti alcuni
sino ad eccellenza, dei Benefici parrocchiali di Neive,
di Calosso, di San Marzano, di Mongardino, di altrove.
li stimo ora meno da che i loro «produttori» si sono
mostrati timorosi di riconoscersi e dichiararsi, pubblicamente,
vignaiuoli. Avrei abbandonato le terre che
più amo (qui meglio che ovunque ritrovi, meditato e
gioioso, stretto e pacificante, il legame- indissolubile
contro ogni integrazione- alla terra matrice) con alquanta
delusione non fosse stato per un saggio prete arguto.
Don Serafino Anlero, cappellano del duomo di Asti, 74
anni, ha orgoglio da una vita in cura d’anime e di vigne.
Parroco di Vinchio, zona di cru riconosciuti di Barbera.
Scassò terreni, impiantò viti, raccolse e vinificò uve e
fu pastore d’anime. Precisi i patti, divenne, 18 anni fa,
cappellano del Duomo: avrebbe continuato a vinificare,
suo l’alloggio sulla sacrestia, sua la cantina sotto, a volta
botte, in mattoni. Vive in bellezza per la magnificenza
gotica della chiesa, le tavole di Gandolfìno, gli affreschi
del ‘600, le cure anche di vino. Acquista le uve meglio,
Barbera in Montemagno e Vinchio, Grignolino in Portacomaro,
Freisa in Villanova e Castelnuovo Don Bosco,
vinifica con puntiglio, in selezione, e vende ad amici,
canonici e privati. Ho assaggiato la Barbera, salda, da
invecchiamento, e il Grignolino, elegante e allegro (netto
il sentore di pepe bianco e la fragranza di rosa): due
vertici. Non sono sceso di contro, nell’inferno; parte
recondita e segreta della cantina, vi meditano antiche
e polverose bottiglie; e non ne sono dispiaciuto: motivo
buono per ritornare. Avessi la chiave di quell’inferno,
avrei la stessa sorte lieta di don Serafino, salirei dritto
dritto in paradiso.
(Luigi Veronelli)
( Fonte Qbquantobasta )
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