In Israele, nel deserto del Negev, la vite trova un clima ed un suolo molto particolari. Condizioni estreme che danno però al vino un’impronta unica. A seguire la vendemmia alla Midbar Winery c’è il trentino Diego Ciurletti.
Leggenda vuole che Noè, patriarca dell’umanità ed inventore del vino, fosse arrivato fino in Trentino per spiegare alle popolazioni locali come coltivare la vite ed estrarne il dolce nettare. Il fatto invece è che oggi un trentino ha ricambiato il favore andando in Israele a lavorare come enologo in una piccola cantina nel deserto del Negev.
Tra cammelli e beduini, kibbutz e sabbia rovente Diego Ciurletti controlla la raccolta delle uve presso la cantina Midbar Winery, letteralmente “vineria del deserto”, affiancando un enologo israeliano. I proprietari, Itzach e Dana Wolf, lo hanno conosciuto in Toscana dove Diego lavora presso la Cennatoio Intervineas di Panzano in Chianti, zona nota per il celeberrimo vino omonimo. Gli hanno offerto un’esperienza professionale in Israele, dove la vite viene coltivata in condizioni ambientali abbastanza estreme e sicuramente diverse da quelle dei vigneti italiani, e lui è partito.
“Le temperature massime non sono altissime, arrivano ai 35-40°, il problema è l’effetto specchio del terreno sabbioso sulle piante e l’escursione termica tra notte e giorno supera i 15°” spiega Diego “l’acqua è un problema solamente in senso economico: costa cara ma averla è facile, le vigne sono irrigate, il clima è così secco che muffe e funghi non esistono: il problema sono gli uccelli che, vedendo un’area verde in mezzo al deserto, si precipitano a beccare l’uva di continuo”.
Condizioni non facili per la coltura della vite: i 10 ettari di vigneto si trovano ad un’ora e mezzo di macchina all’interno di una piana desertica (vedi le foto nella gallery in fondo alla pagina). “Si vendemmia di notte dalle 8 di sera alle 4 del mattino
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…di giorno fa troppo caldo, la cantina è una specie di grande frigorifero, con le celle in funzione tutto l’anno, una spesa in elettricità elevatissima, anche il trasporto è sempre fatto su camion frigo”.
Ma le condizioni estreme rappresentano anche una sfida che può dare molte soddisfazioni. L’enologo trentino, diplomatosi all’Istituto di San Michele all’Adige, segue le uve rosse: “un rosso top quality fatto da cabernet, syrah, petit verdot e grenache, per ora l’ho chiamato Negev, come il deserto”. I bianchi sono altrettanto apprezzati: “si coltiva sauvignon blanc, semillion, white 44, chenin blanca, in varietà particolarmente adatte al clima e al suolo, anche le condizioni chimiche sono particolari: siamo nella zona del Mar Morto e il sale te lo senti addosso, nell’aria, ma i minerali nel suolo danno al bianco un profumo unico”.
Avere un enologo italiano, diplomato in Trentino e cresciuto professionalmente in Toscana, due delle terre più note in materia vitivinicola, è per la cantina israeliana un piccolo vanto: Diego è finito anche sul quotidiano di Tel Aviv Aurora e la tv CCTN ha dedicato un servizio al “Vino del Negev”. Di sicuro Diego si è affezionato a quelle vigne che crescono miracolosamente tra le rocce: “finita la vendemmia qui tornerò in Toscana, afine settembre, il mio lavoro è lì, però qui ci sono dei paesaggi incredibili, da innamorarsi…”
( Fonte http://www.trentotoday.it )