Non è un animale fortunato, la povera anguilla. Pesce d’ acqua dolce, riesce a riprodursi soltanto in mare. E per farlo, deve nuotare per migliaia di chilometri, fino al mare dei Sargassi nell’Atlantico.
La femmina depone le uova – a tremila metri di profondità – il maschio le feconda poi entrambi i genitori muoiono. Le larve cercano di tornare nelle valli e dai fiumi dai quali sono partiti i genitori. Ma il viaggio, in questi ultimi anni,è diventato sempre più pericoloso, con un risultato drammatico: l’ anguilla europea, (nome scientifico, «Anguilla anguilla») sta scomparendo.
Non c’ è più traccia, in Italia e in Europa, del 90% di questa specie. «Nelle nostre acque, quando sono stato assunto io trent’anni fa – racconta Piercarlo Farinelli, capo valle delle guardie e dei pescatori comacchiesi – raccoglievamo 2.000 quintali di anguille. Ora ne peschiamo appena cento quintali». Per evitare che l’ anguilla (pesce intraprendente capace di «camminare» anche nei prati umidi, per cercare un fosso migliore) sia solo un ricordo, non resta molto tempo.
«Le larve nate nel mare dei Sargassi – dice Attilio Rinaldi, biologo, presidente della Centro ricerche marine di Cesenatico – grazie a una fenomenale bussola biologica, riescono a tornare nel luogo dove sono nati i loro genitori. Ma qui iniziano i problemi. La nostra acqua dolce è sempre più inquinata. Spesso i fiumi sono in secca perché l’ uomo preleva quasi tutta l’ acqua per l’ agricoltura. E poi ci sono gli sbarramenti, le dighe e una pesca troppo intensa».
Ma anche lo stesso lungo viaggio di ritorno – si pensa che duri almeno un anno – non è lontano dai pericoli. «Le larve seguono rotte precise – racconta Valter Zago, delegato Europarc Italia – e sono facilmente catturabili. Quando partono misurano pochi millimetri ma davanti alle coste della Spagna e della Francia le piccole anguille misurano già cinque o sei centimetri. Finiscono a milioni dentro le reti di pescatori che le rivendono poi agli allevamenti intensivi.
Questa non è una pesca, è una strage». Solo il 10 per cento delle «anguilline» sopravvivono così alla pesca e all’ inquinamento. E allora qualcuno ha pensato di spostare il mare dei Sargassi a Cesenatico. «Da un anno – dice Attilio Rinaldi – stiamo cercando di realizzare la riproduzione controllata delle anguille nelle nostre vasche.I primi risultati sono buoni. Abbiamo preso le anguille di Comacchio, le abbiamo messe in acquari bui e freddi che riproducono le acque profonde dei Sargassi.
Con iniezioni di ormoni, sia alle femmine che ai maschi, spingiamo la produzione delle uova e dello sperma. Il 90 per cento delle femmine ha deposto le uova, il 100 per cento dei maschi lo sperma. Un’ anguilla ha deposto addirittura 1.200.000 uova». Il progetto è finanziato con 100.000 euro dalla Regione Emilia Romagna ed è organizzato dal professor Oliviero Mordenti della facoltà di Veterinaria di Bologna.
«A settembre- dice Attilio Rinaldi- partiremo con la seconda fase dell’ esperimento, quello dello svezzamento delle larve. Difficile trovare il giusto menù. Nell’ Atlantico, a tremila metri di profondità, non c’ è plancton. Gli esperti dicono che le larve si nutrono di detrito organico e cercheremo di prepararlo anche noi. Sono cento anni che in tutto il mondo si cerca la riproduzione dell’ anguilla, così come si fa da decenni per la carpa, la spigola, l’ orata. Ma nessuno c’ è riuscito, per ora». Le Valli di Comacchio sono da sempre la patria delle anguille.
Filmati del Ventennio e del dopoguerra mostrano barconi pieni di questi strani animali che tanti italiani scoprono solo alla vigilia di Natale. «Oggi abbiamo poche anguille – dice Valter Zago – e cerchiamo di valorizzarle. Abbiamo riaperto lo stabilimento della marinatura dove vengono cotte davanti a un fuoco vivo e poi marinate con sale, acqua e aceto.
La “Manifattura dei marinati” è diventata un presidio Slow Food. Ma anche noi dobbiamo cambiare. Le nostre valli sono troppo chiuse, quasi tutte le anguille che entrano qui non escono più. In pratica, ci limitiamo a ingrassare, per sette, nove anni, le piccole anguille che arrivano qui dal mare o che sono acquistate dai pescatori francesi. Il progetto di Cesenatico è positivo, ma non vogliamo solo anguille Frankenstein. Debbono restare selvagge, debbono affrontare il mare aperto».
C’erano 300 persone che lavoravano in valle, fino agli anni ‘ 60. Ora sono 15 in tutto. E c’ erano un migliaio di «fiocinini» che vivevano rubando anguille, cefali, passere e branzini. Tutta Comacchio viveva delle sue valli. «Adesso – dice Piercarlo Farinelli, il capo valle – tutto è cambiato. C’ è un milanese, di religione tibetana, che da due anni mi telefona e chiede se abbiamo anguille da vendere. L’ anno scorso ne ha comprato cinquanta chili, quest’anno un quintale. Le carica su una barca e poi le libera in mare aperto». Perché possano iniziare il loro viaggio libero verso l’ Atlantico.
( Fonte repubblica )
COME CUCINARE L’ANGUILLA
L’anguilla è uno dei pesci piu’ saporiti e squisiti che si possano immaginare, chi dice di non apprezzarla, molto probabilmente non ha mangiato quelle giuste e soprattutto cotte a puntino.
( Il compianto Elio Bison, ristorante la Zanzara- Porticino di Volano, intento alla eviscerazione dell’anguilla )
Prima di tutto l’eviscerazione dell’anguilla, si fissa dalla parte della coda con un chiodo piantato in un tagliere di legno, dopodichè viene tagliata in tutta la sua lunghezza nella parte superiore, iniziando dalla testa. Viene tolta l’unica spina centrale, che scorre in tutta la sua lunghezza, eviscerata, lavata ed asciugata.
Griglia , meglio se con braci di legna , oppure anche a gas, ben calda. L’anguilla che consiglio non deve superare i 5/6 etti , altrimenti troppo grassa poi risulterebbe stomachevole ed indigesta.
Si inizia la cottura dalla parte carnosa ( o della pancia ) e si lascia cucinare anche per 20 minuti per parte ; poi viene girata dalla parte della grassa pelle e senza avere paura di bruciacchiarla, la si lascia sulla griglia fintanto che la pelle si secca completamente.
Si serve in tavola con polenta abbrustolita, la deliziosa carne si dovrà staccare completamente dalla pelle, in maniera naturale e soprattutto senza lasciare residui attaccati alla pelle che consiglio di non mangiare, data la sua indigeribilità !
Consigliato un vino rosso, leggermente frizzante quale il Bosco Eliceo doc, vino ottenuto dal locale vitigno autoctono Fortana, localmente chiamato anche Uva d’ Oro, oppure un vino rosso di medio corpo e leggermente tannico, quale Bonarda ecc.
Mi auguro che l’uomo possa, e lo faccia quanto prima, mettere rimedio a questo stato di cose, quanti come il sottoscritto, sono nati e vissuti in queste zone del magnifico Delta del Po, conservano molto bene i ricordi dell’infanzia, dove in ogni corso d’acqua si pescavano in abbondanza anguille di tutte le dimensioni.
Salviamo il nostro ecosistema, prima che sia troppo tardi, non abbiamo altro tempo a disposizione !
Roberto Gatti