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I migliori vini degli ultimi dieci anni

Il primato di Toscana e Piemonte vacilla dopo anni di attacchi da parte di nuovi protagonisti provenienti da tutta la Penisola: ecco le etichette e le annate migliori che proveranno a spingere L’Italia in vetta al ranking mondiale dei fatturati enologici

 

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Il mondo del vino italiano arriva al 2016 con dei numeri da primato mondiale in termini di produzione: dei 275 milioni di ettolitri prodotti nel mondo, quasi 50 sono tricolori e da ormai un decennio battiamo puntualmente non solo la Francia in questa classifica, ma anche colossi come Spagna, Australia e l’intero Sud America. Ci sfugge, e non di poco, però il primato relativo al fatturato e al valore medio delle bottiglie vendute al mondo, dove i cugini d’Oltralpe ci battono ancora.

Ma se pensiamo a dove eravamo anche solo 20-30 anni fa, il balzo in avanti in termini di qualità e riconoscibilità dei nostri prodotti nel mondo è stato gigantesco. Un processo inarrestabile che ha avuto, a partire dagli anni ’70, un motore bicilindrico composto dalla grande innovazione stilistico-qualitativa della Toscana – con i suoi Supertuscan (dal Tignanello e Sassicaia in poi) e la rivalutazione del mito di Brunello e Chianti Classico – e dalla storia plurisecolare del Piemonte con i suo vini di Langa (Barolo e Barbaresco), sempre di più nelle liste di acquisto dei grandi collezionisti. Negli anni ’90 e 2000, i barriccati corposi e succulenti hanno lasciato il passo a vini molto più scarni e acidi. Poi il ritorno alla naturalità, al territorio e alla semplicità del vino fino alle ultime tendenze di vini biologici, biodinamici e con ridotto uso di solfiti: un mondo di produttori artigiani che vanno sotto la comune, ma impropria, definizione di “vino naturale”. Proprio il vino naturale rappresenta il trend e la componente di mercato più nuova, l’unica capace veramente di attirare i giovani consumatori.

L’altro aspetto interessante è che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito proprio a una progressiva riduzione dello spazio dedicato ai classici vini toscani e piemontesi rispetto al resto della Penisola, dove il grado di evoluzione e raffinatezza della produzione vinicola ha fatto passi da gigante. Toscani e piemontesi sono sempre presenti nelle carte dei vini e sugli scaffali, ma in termini relativi hanno lasciato spazio a tanti prodotti locali e nuove stelle enoiche (anche insospettabili come Prosecco o Lambrusco, o ancora in via di definizione come l’Aglianico tra Campania e Basilicata) che hanno allargato il mondo del bere italiano rendendolo sempre più interessante e avvincente da conoscere. E che fanno ben sperare in quello che succederà nel prossimo decennio, dove la produzione tricolore si giocherà le sue carte per diventare un fenomeno di altissimo livello per gli appassionati del mondo intero grazie alle infinite sfumature che i suoi vini possono assumere.

 

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La Franciacorta è l’esempio di come il duro lavoro, una visione chiara e la collaborazione possano portare una denominazione a livelli impensabili. Non solo una crescita impressionante a livello di numeri, fino a sorpassare il Trentodoc, ma anche una lenta crescita dei prezzi che permette la remuneratività degli investimenti. Se oggi i 106 produttori hanno grande riconoscibilità della loro Docg, gran parte del merito va ad Antonio Moretti di Bellavista e a Maurizio Zanella, in qualità di presidente del consorzio e protagonista con la sua Ca’ del Bosco. L’Annamaria Clementi, dedicata alla madre, ne rappresenta l’eccellenza assoluta fatta di note fragranti, floreali e burrate, mirabelle, sentori gessoso e di nocciola, lieve fieno, bocca soave. Un vino succoso, agrumato e fitto di rimandi alle noci e alla frutta tropicale, fresco e sapido, incalzante e dalla longevità impressionante. Annate storiche e di livello assoluto sono la 2004 e la 2006.

 

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Il Trebbiano d’Abruzzo Valentini è un vino che affonda le sue radici nei decenni passati e che ha dimostrato a suon di verticali ed eventi importanti la sua capacità di sfidare i decenni. Ma che mai come negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi uno spazio da vino icona nazionale, riuscendo a sposare e mettere d’accordo sia gli appassionati del gusto naturale che i più conformisti. Complici alcune convergenze di giudizio di guide e classifiche più estemporanee, è diventato il vino bianco da conoscere e assaggiare per eccellenza. È esempio raro di ciò che l’Abruzzo può dare in termini di qualità, e anche un faro per tutta la regione, anche se difficilmente imitabile per via della sua reale artigianalità e irriproducibilità al di fuori delle mani di Francesco Paolo Valentini, erede di quel Edoardo Valentini che lo inventò negli anni ’60 in un contesto aziendale che, inizialmente, non puntava sulle vigne, ma su olio e allevamento di bestiame. Vino che sente l’annata e varia in termini di riuscita ed espressività di anno in anno, ma che vale sempre la pena cercare, in particolare negli assaggi che hanno messo tutti d’accordo come la 2007 e 2010 (ma anche la 2012 promette benissimo).

 

 

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Se il patriarca dell’Etna moderno può essere identificato in Giuseppe Benanti e se si deve ad Andrea Franchetti di Passopisciaro il lancio sui mercati glamour internazionali, i vini sull’Etna più premiati diffusi e conosciuti negli ultimi dieci anni sono stati certamente quelli di Cottanera, che a fine anni ‘90 furono tra i primi a credere nelle potenzialità del vitigno nerello mascalese. Il Nerello è vitigno autoctono capace solo qui di dare vini “vulcanici”, freschi, tridimensionali e saporitissimi con note innegabilmente territoriali, tannini gustosi e saporiti uniti a un colore magico tenue, ma che racchiude potenza e classe come pochi altri. Nel corso degli anni sono arrivate qui famiglie e aziende da tutta la Sicilia e da ogni parte d’Italia, in primis dalla Toscana: ora si attendono anche gli sbarchi di alcuni produttori dal Piemonte, il che indica con certezza che proprio su questo vulcano avremo uno dei capisaldi del futuro vino italiano. Chiedete di Etna Rosso Cottanera 2011 o 2008.

 

Zidarich-Vitovska-Igt-Venezia-Giulia_imagelarge

 

Alla fine degli anni ’90 è stato Josko Gravner a cambiare le regole in Friuli Venezia Giulia e a proporre i suoi vini “orange” vinificati in anfora e lunghe macerazioni che nel bicchiere risultano arancioni più che gialli e dorati. Nasce un movimento che contagia l’Italia con tanti vini vinificati in anfora dal Friuli alla Sicilia, ma che nel Carso soprattutto diventa identità e riconoscibilità anche grazie alla presenza di questa uva, la Vitovska, autoctona e capace di exploit incredibili se ben lavorata. La Vitovska di Zidarich non passa in anfora, ma ha fascino simile, un vino unico che nel calice si fa dorato e leggermente opaco, concentrato di erbe, frutta gialla, agrumi e speziature esotiche dalla sconcertante sapidità. Cercate la 2009 che a suo tempo mise d’accordo tutti in Italia.

 

 

Luvaira-Rossese-di-Dolceacqua-Doc-Maccario-Dringenberg_imagelarge

Giovanna Maccario e Goetz Dringenberg sono i produttori più in vista di questa denominazione, che pare incarnare il prototipo perfetto del vino che piace al mercato. Radici storiche antiche, anzi antichissime (viene nominato per la prima volta nel 1425), legami internazionali che lo legano al tibouren provenzale, un colore esile che nasconde forza e tannino vivaci e ideali per la tavola. Già il vino d’ingresso di Maccario Dringenberg è sempre fresco e pronto, piacevolissimo e invitante che rilancia continuamente su note floreali e sapide che contribuiscono a raffrescare il gusto, nel quale si distingue una nota di mandorla e mallo di noce sul finale.

Ma la forza e l’intensità che scorrono nel Luvaira (uno dei cru aziendali, vinificato con il 45% di raspi provenienti solo dalle piante centenarie) mostra davvero una delle vie del futuro del vino italiano, specialmente nel 2010.

 

 

Es-Primitivo-di-Manduria-Gianfranco-Fino_imagelarge

 

È il 2011 l’anno che lo vede primeggiare su tutti i vini italiani, riuscendo nel sempre più difficile compito di mettere d’accordo le guide (ben otto ormai). E poteva riuscirci forse solo un outsider vero come questo pugliese, che riesce a stupire ogni anno raccontando la bellissima storia di Gianfranco Fino e di sua moglie Simona Natale. Nel 2004 acquistarono poco meno di due ettari a Manduria con vigneti antichi ad alberello di Primitivo, il vitigno storico della regione, da sempre apprezzato ma mai capace di esaltarsi. Un vino che fa della potenza e del frutto la sua cifra stilistica, con un naso tumultuoso e affascinante di rimandi dalla ciliegia all’alloro passando per zenzero, arancio rosso e mirtillo, in controtendenza apparente con la moda attuale di bottiglie scariche e freschissime. Si tratta, però, di un controsenso solo apparente perché la sapidità e la profondità delle radici dei vigneti storici che forniscono le uve dell’Es sono in grado di renderlo bevibile ed equilibrato con note balsamiche suadenti e ricercate.

 

 

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Se oggi la Sicilia del vino rappresenta una delle regioni maggiormente in crescita qualitativa e quantitativa, è merito delle storiche famiglie nobiliari (Tasca d’Almerita, Duca di Salaparuta, Donnafugata) e dell’exploit di Planeta, ma anche di tanti piccoli agricoltori che hanno visto nella storia di Arianna Occhipinti la realizzazione di un sogno: ovvero, fare vino di qualità e naturalità assoluta in questa terra. Il Frappato è vino iconico e ormai classico per capire il futuro del mercato in tempi difficili. Vitigno particolare eppure modernissimo con basso alcol, alta freschezza e colore scarno, bastava solo capirlo. Buonissimo e goloso, con note di duroni e ritorni balsamici, speziato al palato, ma fresco e leggero, con rimandi al mare e alla macchia mediterranea. Di una bevibilità disarmante, sa farsi complesso e ricco, versatile come pochi altri a tavola. Cercate il 2012.

 

 

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Il più premiato vino bianco italiano, ogni anno fa incetta di premi. Ma questa Docg è anche quella che in questo momento intriga gli enofili perché esalta il lato sapido minerale e inconsueto del vino bianco e sa anche invecchiare come pochi altri. Se negli anni 2000 era stato Villa Bucci con la sua Riserva a mostrare le grandi potenzialità di gratificazione del palato da giovane, le ultime annate hanno visto altri affacciarsi alla ribalta. In particolare, Collestefano mette d’accordo sia chi ricerca la pulizia perfetta sia chi cerca naturalità e trasparenza verso il territorio. Le annate 2011 e 2013 lo spiegano a fondo.

 

 

Pietracupa-Fiano-di-Avellino-Docg_imagelarge

 

Il cuore pulsante della sorprendente Campania del vino che vede molte zone emergenti da tenere d’occhio (Roccamonfina, Campi Flegrei, Sannio) è sempre in Irpinia dove la stella più lucente, in attesa di continuità stilistica e qualitativa da parte del rosso Taurasi, è senza dubbio il Fiano di Avellino, tra i pochi bianchi al mondo capace di invecchiare alla grande ed emozionare sempre in vari momenti della sua vita. Da giovane è fresco di agrumi, appena affumicato, stuzzicante marino di scogli e ostriche, poi resine e albicocche, tutti elementi pronti a evolvere verso lidi eterei e appassionanti a saperlo aspettare. Scoprite la 2014 o soprattutto la 2010.

 

 

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Recentemente premiata come Azienda dell’anno dal Gambero Rosso, Allegrini è una delle grandi famiglie del vino italiano con vigneti e aziende prestigiose anche in Toscana, ma l’impegno principale rimane l’eccellenza nella regione più importante in termini di numeri, ovvero il Veneto. Se sono stati i piccoli artigiani Dal Forno e Quintarelli i due artisti capaci di portare l’Amarone a livelli stellari di prezzo e ricercatezza, Allegrini è stata l’azienda che, insieme a Masi, è riuscita a coniugare numeri e qualità elevata, permettendogli di girare il mondo e diventare un prodotto riconoscibile. Oggi il vino italiano nel mondo non è più solo Barolo e Brunello, ma appunto anche Amarone che, rispetto agli altri, mette nel sistema un’idea corposa, ma sempre rigorosa e fresca capace di affascinare i palati del Nord Europa così come quelli non avvezzi ai nettari tricolori. Proprio questi ultimi ne rimangono affascinati per la ricchezza e dolcezza di frutto, grazie alla tecnica dell’appassimento delle vinacce. Un passito virato in secco che per riuscire al meglio ha bisogno di tante attenzioni. Elegante e riccamente sfaccettato, esplora con disinvoltura variazioni di amarena, brodo di giuggiole e amarena poi carrube, cuoio e liquirizia. Ma è soprattutto in bocca che colpisce per saporosità, note balsamiche e freschezza impensabile visti i 15,5 gradi.

 

( Fonte businnespeople )