Non c’è al mondo un vero appassionato di vino che non conosca, perlomeno di nome, HUGH JOHNSON e che non abbia sullo scaffale della libreria almeno un suo libro, a partire dal più famoso “The World Atlas of Wine” (Atlante dei vini del mondo), pubblicato nel 1971 e rieditato e rivisto più volte (le ultime edizioni in collaborazione con Jancis Robinson).
Johnson è l’inventore della moderna scrittura del vino, prima di lui i pochi libri scritti sull’argomento erano o troppo tecnici o troppo romanzati o poco credibili, ma non scrive unicamente di vino, numerosi infatti sono i suoi libri dedicati al giardinaggio, altra sua passione.
Noi di Vin&alia abbiamo avuto il piacere di poter partecipare al seminario “A personal experience of the world of wine” tenutosi nella prima mattinata di sabato 8 novembre nella Sala Regina di Villa d’Este, in occasione della VI edizione del VDEWS (Villa d’Este Wine Symposium) l’evento organizzato dal presidente e fondatore del Grand Jury Européen, François Mauss.
Un’ora abbondante di conversazione a ruota libera durante la quale Johnson rispondendo alle domande del moderatore, Jean-Robert Pitte, e del numeroso pubblico, ha ripercorso cinquant’anni della sua vita dedicati al mondo del vino; a volte sconfinando nella risposta “a ruota libera” rispetto al tema della domanda.
Riportiamo quindi un sunto di quanto emerso in questo interessante seminario.
Johnson ha iniziato a scrivere di vino negli anni ’60 del secolo scorso, quando non esisteva ancora il mestiere di «critico del vino» e non c’era alcun interesse da parte delle case editrici.
A proposito del suo lavoro Johnson non si definisce un “critico”, ma piuttosto un “commentatore” del vino, per questo motivo non ha mai amato ed assegnato punteggi; scrive unicamente dei vini che gli sono piaciuti, e non cita mai quelli che non gli sono piaciuti. Sta poi al lettore trarne le conclusioni.
“Ho iniziato come copywrighter per Vogue –esordisce Johnson- scrivevo di tutto, con una predilezione particolare per i viaggi e presto m’accorsi che i luoghi del vino erano tra i più belli.Scrivendo in inglese notai subito l’interesse del pubblico americano per l’argomento e che la cosa poteva anche essere redditizia.
Con un anticipo di mille sterline ho potuto iniziare a scrivere il mio primo libro «Wine», nel 1966, si trattava allora di un lavoro prettamente giornalistico, ovvero chiedere le opinioni degli esperti e riportale”.
Pitte chiede qual’è stata d’allora l’evoluzione nel mondo del vino.
“Al giorno d’oggi il vino viene prodotto da gente più istruita, una volta c’era mancanza d’informazione e i produttori erano gelosi in merito alle « tecniche » da loro utilizzate – risponde Johnson- “C’erano grossi problemi enologici nel nuovo mondo vitivinicolo, problemi legati soprattutto al clima troppo caldo, problemi poi risolti con la tecnica della refrigerazione, introdotta per la prima volta in Algeria e da lì esportata dapprima in Australia e quindi negli altri paesi.
Ci sono comunque anche degli aspetti negativi, il primo di tutto riguarda il Marketing che spesso è in contrasto con la naturalità del vino. Il vino ci è dato dalla natura, dev’essere quindi il più naturale possibile. Tutto arriva dalla Terra”.
La domanda seguente riguarda l’opinione di Johnson in merito all’aumento di consumo di vino nei nuovi paesi : Cina , Russia etc. ed al contempo al declino nei paesi tradizionalmente consumatori con l’aumento del proibizionismo.
“E’ incredibile per un inglese pensare che un paese come la Francia sia contro il vino. Nel passato la qualità del vino consumato era mediocre e la sua quantità elevata”. Cita a tal proposito alcuni esempi di consumi in determinati strati sociali (un muratore beveva sei/otto litri di vino al giorno e in alcuni paesi ancor’oggi il consumo è ancor più elevato). “La maggior parte dei consumatori francesi è convinta che la denominazione in etichetta identifichi la tipicità, ma in realtà non è sempre così”.
La domanda seguente riguarda la situazione attuale in Inghilterra.
“Noi abbiamo imparato a bere il vino di recente, cinquant’anni fa. La gente pensava infatti che il vino fosse un prodotto destinato alle classi sociali più elevate. Al giorno d’oggi in alcuni paesi la qualità del vino è -erroneamente- ancora legata unicamente al suo prezzo”.
“Cosa ne pensi dell’evoluzione della critica del vino. Delle degustazioni alla cieca, dei vini da terroir e di quelli varietali?” chiede Pitte
“Non ho mai approcciato il vino dal punto di vista critico, ma piuttosto da quello dell’apprezzamento. Parker ed i punteggi sono arrivati dopo. Tutti comunque hanno delle riserve sul punteggio dato ai vini. Io non so dare punteggi, e quando assaggio debbo essere dell’umore giusto. Ci aspettiamo che il vino sia sempre migliore, ed in genere è così. Il rischio invece è che tutti i vini siano sempre più simili. Più il vino è « moderno » e meno rappresenta il Terroir. Il vino deve parlare da se. Comunque l’igiene in cantina è un fattore importantissimo per la sua qualità”:
“Quali sono le Tue aspettative per il futuro? E le evoluzioni da temere?” è la domanda seguente.
“Questa è l’era dell’ampelografo” risponde johnson “La retroetichetta, che indica i vitigni, è stata introdotta negli anni ‘50 negli USA, questo ha portato l’attenzione dei consumatori sui vitigni. Molti vitigni sono stati riscoperti negli ultimi anni ed ognuno assume le caratteristiche proprie del luogo di coltivazione. Il tempo ha portato alla selezione di uve sempre migliori”.
Seguono una serie di domande da parte del pubblico, da notare che gli interventi sono stati effettuati unicamente da stranieri, tra l’altro gli italiani in sala erano veramente pochi.
Viene posto il problema della diffusissima “selezione clonale” anzichè di quella massale.
La risposta di Johnson è che l’unico modo possibile secondo lui è la selezione massale, poiché è l’unica che assicuri una biodiversità. Cita poi una frase di un produttore sudafricano “La selezione clonale sarà la morte del vino sudafricano”.
Un ascoltatore afferma “Il tuo libro “The World Atlas of Wine” è stato il primo GPS nel mondo del vino”.
“Il mio primo libro -risponde Johnson- pubblicato 48 anni fa, si chiamava Wine”. Spiega quindi come ha creato l’Atlante, concludendo che “tutto nel mondo del vino si basa sulla geografia”.
Alla domanda su qual è il ruolo della sperimentazione per migliorare la qualità dei vini Johnson risponde di essere molto favorevole.
Segue quindi una domanda sul concetti “Terroir” e sull’influenza della mano dell’uomo nella sua variabilità.
Johnson inizia dal paradosso Bordeaux, dove è sufficiente che cambi il proprietario di un determinato Cru per cambiarne la sua posizione nella scala qualitativa. “L’importante è permettere al suolo di esprimere se stesso”, afferma. Ricordando poi che i monaci a Clos de Veugeot sostenevano che è “l’assemblaggio a fare grande il vino”. (Tesi tra l’altro sostenuta da molti produttori di Champagne. NdR)
A questo punto interviene Mauss “Penso che sia molto meglio sentire in un vino il terroir piuttosto che la mano del produttore”.
Si chiude infine con una serie di domande, e risposte sintetiche, unicamente per mancanza di tempo, queste riguardano l’importanza della famiglia (di Johnson) per la sua cultura del vino, e Johnson risponde che nella sua gioventù il vino era ben presente; mette in evidenza il fatto che al giorno d’oggi i grandi vini sono perlopiù appannaggio dei ricchi piuttosto che degli appassionati e dei conoscitori; si parla quindi del ritorno all’eleganza da parte dei vini bordolesi dopo il periodo del “vino marmellata” e quindi dei “Vins de Garage”, prodotti volutamente disponibili in piccoli quantitativi che hanno avuto come conseguenza l’innalzarsi del loro costo.
Gli ultimi dibattiti, dopodiché il tempo scade, riguardano i cambiamenti climatici con la conseguente nascita di nuove zone di produzione in paesi più freddi ed il fatto che al giorno d’oggi sta diventando estremamente problematico pensare di poter vivere scrivendo unicamente di vino.
In conclusione non ci pentiamo assolutamente d’aver saltato per una volte il Merano Wine Festival, per partecipare al Villa d’Este Wine Symposium, ne valeva assolutamente la pena, anche solamente per poter partecipare a questo seminario.
( Fonte Lorenzo Colombo-Vinealia.org )
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