E’ tempo di bere vini più leggeri, con meno alcool e un’esplosione rinfrescante di bolle
Estate o inverno è sempre tempo di bolle, un po’ come le commedie per Nanni Moretti. La bolla, poi, è democratica: ha varie sfaccettature, dal mainstream più indefesso (“gradisce un prosecchino”) all’enostrippato che si commuove di fronte al colfondo.
Personalmente non necessito di grandi pretesti per berne, ma è ovvio che, con l’arsura, le vacanze, i vassoi di pesce crudo e gli aperitivi letali in riva al mare, le occasioni per disintegrarsi di spumanti si moltiplicano come le chiacchiere di calcio mercato.
Voi però bevete con grazia e parsimonia che se fomentiamo l’alcolismo non svolgiamo un adeguato ruolo socio-culturale.
Tra nuove personali scoperte, conferme, evergreen e un occhio alle varie tipologie ecco i miei, e spero i vostri, spumanti per l’estate.
1. FRANCIACORTA MOSNEL PAS DOSÈ
La Franciacorta racconta molto più spesso la storia di famiglie illuminate ed esemplari modelli di business che grandi vini. Produzione troppo uniforme e un territorio non particolarmente votato alla grande spumantistica, la rendono una griffe guardata di traverso tra i bevitori non occasionali.
Tra le eccezioni è impossibile non citare Mosnel, da 180 anni un baluardo di costanza e sperimentazione.
Proprio per il 180° anniversario della cantina ho avuto modo di verificare ancora una volta la longevità di questi vini con una verticale di EBB, l’etichetta di punta dell’azienda.
Qui non vi tedio con descrizioni e sentori enocentrici (anche se l’arrivo della nota di liquirizia, in ogni annata, dopo 11 minuti netti, è stato un caso di interessante dibattito con i miei vicini di degustazione), ma suggerisco di dedicarvi al loro Pas Dosè.
Sobrio, ma complesso, vivace ed elegante, tra i migliori Franciacorta in circolazione. Insieme al compare rosato, il vino per le vacanze sul lago.
2 CHAMPAGNE CRU D’ORIGIN VANDIÈRES FLAVIEN NOWACK
È il più sensazionale dei nuovi Champagne che ho assaggiato da mesi a questa parte. Interrogando l’importatore Fabrizio Pagliardi sul come l’avesse scovato mi sono beccato la risposta giusta (“Ecchettecredevi che so sedici anni che vado tre volte l’anno in champagne a pettinà le bambole“) e la bottiglia perfetta. Peccato che ne siamo state prodotte 311…
Siamo a Vandières, in Francia, nella Marna, zona dove godo sempre immensamente. Da una costola familiare di Champagne Novack, suo figlio Flavien produce una manciata di etichette clamorose. L’amore è sbocciato con questa Cru d’origin Vandiers: 50% Chardonnay, 50% Pinot meunier. Eleganza inumana, beva compulsiva.
Visto che dell’azienda non esistono neanche notizie in rete permettetemi qualche dato tecnico: terreno calcareo su marna ricca di carbonato di calcio, fermentazione spontanea con lieviti indigeni, spumantizzazione con mosto e lieviti del mosto, dosaggio di 2,5 grammi di zucchero litro fatto con una base di mosto del cru d’origine.
Annata 2012 sboccatura 22/2/2016.
Ci mangiate, ci digiunate, ci fate l’aperitivo o il sesso. Sul mio personale cartellino (cit.) è il nuovo sponsor dello Champagne naturale.
3. CHAMPAGNE EXTRA BRUT BLANC DE BLANCS DE SAINT GALL
Altra recente scoperta fatta grazie all’invito a una degustazione del distributore Heres. Passiamo dal microscopico Nowack a un universo che comprende 2150 vignerons, 1260 ettari e una varietà enorme di territori.
Numerose le etichette, tra cui un prodotto base (il Brut Tradition) che si mette dietro gran parte degli Champagne di ingresso delle grandi maison, ma non potevo non scegliere la bottiglia dal profilo più gastronomico e dissetante.
Quattro anni sui lieviti, dosaggio molto basso e un profilo limonoso/affilato che ne impone un certo abuso.
4. VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE FOLLADOR BRUT NATURE 2015
Fate una cosa: visto che il Prosecco tipico, istituzionale, che sa sempre di Zuegg alla pera e abbonda sugli scaffali del pianeta, lo beviamo tutto l’anno e ormai è sinonimo di spumante charmat anche quando siete fuori dall’area veneto-friulana, concedetevi Follador per scoprire qualcosa di profondamente diverso.
Dimenticatevi le dolcezze degli Extra Dry e la banalità di molti Prosecco e sentite cosa può dare il territorio di Saccol e Cartizze. Uno spumante fine e sapido, territoriale e mai esibizionista, ma profondamente espressivo.
5. CUVÈE TRADITION COLONNARA
Sia mai che io stili una lista enologica senza il verdicchio, specie dopo aver passato 10 giorni a Cupramontana ad assaggiare il mondo.
Tra le bevute più didattiche c’è stata quella nella storica cantina sociale di Colonnara, nota soprattutto per il mitico Cuprese (dopo aver bevuto la 1991 tendo a essere scortese con chi non capisce l’hype dell’invecchiamento del verdicchio) e per Ubaldo Rosi, celebrato metodo classico.
Se invece volete uno charmat lungo, fresco e divertente, che si beve facile, costa poco, ma non si dimentica dopo 7 microsecondi, la Cuvèe tradition è ampiamente adeguata.
Il vino da tracannare insieme al laidissimo ciauscolo con cui mi è stato consegnato.
6. MONSUPELLO NATURE METODO CLASSICO
Nonostante la bellezza e la ricchezza di questa terra, in Oltrepò hanno fatto talmente tanti guai che il migliore spumante della zona non ci tiene esattamente a strillare la provenienza in etichetta. Anche perché la storia aziendale parla da sé.
Campione nel campionato qualità/felicità, il Monsupello è un metodo classico di razza che non ti lascia mai a piedi. Il profilo olfattivo non è sempre stra-rigoroso, ma a tavola fa sempre il suo, grazie alla triade freschezza, corpo e beva.
Per chi se lo stia chiedendo: l’insistenza sui vini senza dosaggio zuccherino non è una posa voluta. Solo, molto spesso, li ritengo i migliori interpreti di alcune tipologie. E poi è estate, basta zuccheri.
7. PROSECCO COLFONDO CA’ DEI ZAGO
Il Colfondo o metodo ancestrale o surlie, insomma, brutalmente, lo spumante torbido perché non viene effettuata la sboccatura dei lieviti (che vi ciucciate insieme al vino), dicono che ormai vada di moda. Secondo me è ancora patrimonio di una nicchia, anche se a Milano comincia a tirare e mi pare sia uno degli approdi più vicini per gli amanti della birra artigianale.
Li apprezzo, non ci muoio dietro, ma se ti conquistano stenderne una bottiglia è facile vista la facilità di beva.
Ho citato spesso, anche da queste parti Bele Casel, per me il confondo di riferimento. Per non ripetermi dico Ca’ dei Zago, vino da bevuta conviviale, sana e senza troppi fronzoli.
Attenzione, ora li cominciano a fare anche con l’amato Verdicchio. E il “Mai sentito” di La Staffa è tanta roba.
8. LAMBRUSCO STIOLO ROSSO 2015
Non me la sento proprio di escludere un Lambrusco, però non mi sento un fine scopritore della tipologia e non posso parlare a vita di Paltrinieri, Graziano e Donati. Quindi vi beccate il suggerimento di Michele Malavasi, un amico che beve, scopre, studia vini senza mai un minimo accenno di arroganza.
Siamo a Stiolo frazione di San Martino in Rio, dove l’afosa pianura emiliana si rincorre tra le province di Modena e Reggio Emilia, con un giovanotto sulla 70ina, Gabriele Ronzoni. Nel 1987 compra Casalpriore un vecchio casolare del 600, 5 ettari di seminativi e 2 ettari di vigna convertiti in bio molti anni prima del “vino libero” di Oscar Farinetti, patron di Eataly .
La produzione nasce ufficialmente e commercialmente circa 6 anni fa con un Lambrusco charmat, affidabile e onesto, ma non eccezionale.
L’anno dopo anno Ronzoni sperimenta la propria idea di lambrusco rifermentato, prova e riprova l’uvaggio “vincente” finché con il 2015 trova la quadratura del cerchio: l’astro nascente del lambrusco modenese viene vinificato nella vicina cantina di Gianluca Bergianti.
Olfatto netto, pulito e di notevole intensità per la tipologia, si apre su un mazzo di fiori rossi lanciati dalla sposa alle amiche, frutta boschiva e una grattugiata di grafite Staedler.
7 euro a bottiglia e tanta felicità.
( Fonte Dissapore )