Piero Antinori e Nicolò Incisa e il rapporto con l’enologo: «Il primo a scommettere sulle potenzialità del territorio»
BOLGHERI. Giacomo Tachis, un piemontese che ha fatto cose straordinarie, in fatto di vino, scegliendo la Toscana. La Toscana dei marchesi Antinori, i più storici produttori, a fianco dei quali ha lavorato per oltre trent’anni (a partire dagli anni ’60, poi divenendo direttore delle Cantine) e anche del marchese Mario Incisa della Rocchetta, conterraneo, colui che ha consegnato la striscia di terra bolgherese alle cronache mondiali, intuendo che fosse zona di grande vocazione vitivinicola, ove tentare un’esperienza “tutta bordolese” che poi si è dimostrata più che vincente. Un enologo, GiacomoTachis, che ha condotto con sapienza e determinazione tre dei grandi vini italiani, ma non solo, nel mercato mondiale: Tignanello, Solaia e Sassicaia.
Giacomo Tachis
Era considerato il re degli enologi. Tra le sue creazioni anche il Tignanello e il Solaia. Viveva a San Casciano Val di Pesa
Era un puro, definito “il re degli enologi” e il fautore del Rinascimento del vino italiano e sabato scorso se n’è andato, a 82 anni, dopo una lunga malattia, nella sua casa a San Casciano Val di Pesa. La sua scomparsa ha destato commozione anche nel Bolgherese, territorio a cui Tachis è stato molto legato e dove ha lavorato con i più grandi ed importanti produttori. Era nato a Poirino (Torino) e si era formato alla scuola di Enologia di Alba (Cuneo). Un amore incondizionato e sincero quello che lo ha sempre legato alla Toscana che ha poi scelto come luogo d’adozione. Con lui c’è stato un cambiamento nel fare e percepire il vino: ha creato vini assoluti non solo per le caratteristiche organiche ma anche per il mercato a cui, con le sue capacità, ha contribuito, dando un grosso impulso all’economia del settore.
“Dopo secoli di viticoltura orientata alla quantità – lo ricorda il marchese Piero Antinori – è stato il primo a capire il grande potenziale qualitativo della Toscana e dimostrarlo nei fatti. Ha contribuito a valorizzare il prodotto vino, prima considerato un prodotto “povero”, creando maggiore prosperità, ricchezza e occupazione nelle nostre terre, altrimenti destinate allo spopolamento”. Trentadue anni di lavoro fianco a fianco. “Sono stati anni di grandi cambiamenti nel nostro settore – continua Antinori – e proprio per questo molto intensi e stimolanti perché sentivamo di essere parte di uno storico rinnovamento. Senza il contributo decisivo di Giacomo Tachis tutto questo, molto probabilmente, non sarebbe potuto accadere”. Puro nella vita e nel lavoro, soprattutto in fatto di vini, ha sempre rigettato l’utilizzo di formule chimiche in cantina, una tendenza tutta moderna, e raccomandava di stare “attenti alla genetica perché la natura si ribella”.
“Un grande guardiano della qualità del vino – lo ricorda il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta – a lui mi legava un profondo rapporto di amicizia oltre che professionale. Visto che in questi giorni anche l’Accademia della Crusca si è espressa nel limitare l’utilizzo dei termini inglesi rispetto a quelli italiani, rammento che lui non ha mai voluto essere etichettato come “wine maker”, un esempio. “Oltre ai vini ha saputo valorizzare dei territori, seguendone la tendenza naturale, senza stravolgimenti, non solo in Toscana ma anche in Sicilia e Sardegna. Tachis ha sposato appieno lo spirito di mio padre, è arrivato dopo vent’anni in cui già producevamo vino, nel ’68, ma solo per una consumazione in ambito familiare. Poi la decisione di commercializzarlo e affidarci, per questo nuovo progetto, agli Antinori, presso la cui azienda Tachis già lavorava. Con lui abbiamo avuto la garanzia professionale che il vino poteva essere trasportato e distribuito nel mondo pur mantenendo le caratteristiche fondanti”. Giacomo Tachis è rimasto alla Tenuta San Guido fino al 2007, nel 2010 poi, per problemi di salute, il ritiro definitivo dalle scene. “Nei lunghi anni in cui abbiamo collaborato – conclude Incisa – non ci sono mai state annate negative”. Chissà come avrebbe voluto essere ricordato? “Non so se lui se ne è mai reso conto appieno – conclude Antinori – ma certamente, nella sua modestia, avrebbe forse preferito essere ricordato come lui, scherzosamente amava definirsi: un “mescolavino”. Era un ottimista perché credeva nel vino e ne era innamorato così come della sua storia millenaria”.
( Fonte Il Tirreno )