Il modello di business della cantina abruzzese che vende il 94 % della sua produzione all’estero è di mettere assieme viticoltori con piccoli appezzamenti in diverse regioni che però coltivano sotto la guida di uno staff di enologi
«Sono stato recentemente a La Antigua, una piccola località in cima a una montagna del Guatemala, ci sono quattro ristoranti italiani e ora hanno tutti i miei vini in lista»: Valentino Sciotti, presidente e amministratore delegato di Farnese Vini, ha fatto subito leva sull’export per crescere e oggi il gruppo di Ortona, Abruzzo, realizza il 94% del fatturato all’estero: «Ma l’obiettivo – precisa – è di arrivare presto al 96%». Si è sempre aperto il primo varco attraverso i ristoranti, grandi ambasciatori di cibo e vino made in Italy, ed è arrivato a piantare la bandiera in 80 paesi. Ma non si ferma. «La nuova frontiera è l’Asia -racconta – un enorme mercato che garantisce non solo grandi volumi, ma anche ottimi prezzi e altrettanto buoni margini». Con oltre 50 milioni di euro di fatturato e una crescita a due cifre anno dopo anno Farnese vini, oggi controllata dalla 21 Investimenti di Benetton, sta scalando la classifica dei principali produttori nazionali, ormai a ridosso dei primi 25 menzionati nell’ultima indagine sul settore del vino di Mediobanca. Ma con una particolarità: è la più importante del Centro-Sud Italia, in un mercato dominato da cantine storiche dalla Toscana in su.
Un’azienda giovane, nata nel 1994, che si sta facendo largo nel mondo non con i Chianti e i Barolo, ma con vitigni e storie di territori che neanche gli italiani conoscono bene. Dall’Abruzzo, terra di origine con la Cantina Caldora e Fantini, si è estesa pian piano in Puglia, Vigneti Salento, in Sicilia, con Cellaro e Vigneti Zabù, in Basilicata, Vigneti del Vulture, e in Campania, con la cantina Vesevo. Una crescita realizzata non attraverso l’acquisizione di cantine, ma affittando le vigne dai contadini, che continuano, sì, a coltivare le loro terre ma secondo protocolli di eccellenza e potendo contare su 13 enologi di formazione internazionale. Uno staff capace di apportare a ogni piccolo fazzoletto di terra competenze che i piccoli produttori da soli non si sarebbero potuti permettere. «Contiamo su 470 proprietari che conoscono e tutelano e interpretano il patrimonio originario e i vitigni autoctoni del territorio – spiega Sciotti – in questo senso ci definiamo una boutique wineyard, pur realizzando grandi numeri».
Una boutique wineyard è una cantina di nicchia dove si trovano solo poche, ricercate etichette. E’ quello appunto che avviene in Farnese Vini, che però mette assieme tanti piccoli appezzamenti arrivando a collezionare 80 etichette per un totale di 18 milioni di bottiglie. Tutte diverse, tutte di territorio: Montepulciano d’Abruzzo, Nero d’Avola, Taurasi, Aglianico, Primitivo di Manduria, tanto per citare i vitigni regionali di punta. Ma quanti conoscono la Cococciola? Farnese Vini ne ha addirittura ricavato uno spumante, la Gran Cuvée Bianco Swarovski: perlage fine e persistente, sentori di agrumi verdi e fiori, sapidità e freschezza in una bottiglia frutto della partnership con la famosa casa di diamanti. II successo in Russia era dato per scontato. Inatteso, invece, il risultato globale: «Siamo entrati in un mercato, quello degli charmant ( rifermentazione in grandi recipienti n.d.r) dominato dal Prosecco con ottimi risultati», commenta Sciolti. Sempre e solo nella ristorazione, canale privilegiato del gruppo. « Mi è piaciuta la passione per il prodotto e, allo stesso tempo, lo spirito imprenditoriale dei due fondatori Valentino Sciotti e Filippo Baccalaro», commenta Alessandro Benetton, presidente del gruppo di private equity 21 Investimenti che due anni fa ha rilevato la quota di maggioranza da soci non più attivi, mentre Sciotti mantiene il 27,38% delle quote e Baccalaro il 20,25%. Piedi piantati tra i filari, testa nel mondo. E’ cosi che nasce la Grand Cuvée Rosé Brut, da Aglianico del Vulture: un vitigno maschio, tannico, ma allo stesso tempo fresco e acido. «Viti da terreni sopra i 700 metri di altitudine che stentavano a maturare, allora abbiamo deciso di tentare la via dello spumante», racconta Sciotti. Il risultato? Bollicine esuberanti – dicono le recensioni – generose di ciliegia, frutti di bosco e agrumi. Sopra Valentino Sciotti, presidente e amministratore delegato di Farnese Vini, e anche azionista con il 27,3%, mentre la quota di controllo fa capo alla 21Investimenti
( fonte repubblica.it )
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