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Evoluzione del Montepulciano d’Abruzzo Emidio Pepe

Giorni fa a Verona in occasione del Vinitaly 2017 ho avuto il privilegio di partecipare a una verticale di sei annate del Montepulciano d’Abruzzo Emidio Pepe.

 

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Organizzata dalla medesima famiglia Pepe per mostrare l’evoluzione nel tempo delle vendemmie più equilibrate di sempre in azienda, la degustazione era rivolta in special modo alla stampa specializzata internazionale tra cui sono stato gentilmente intruso assieme all’amico e socio Alberto Buemi. Annate più equilibrate di sempre cioè frutto di un andamento stagionale impeccabile; espressione felice di una naturale armonia degli eventi micro-climatici in vigna, esito di una perfetta maturazione fenolica; la proporzione giusta di sole e di pioggia al momento opportuno, come nel caso della eccezionale 2010 – annata modello in termini di condizioni climatiche – appena immessa sul mercato americano, oltre appunto alle altre cinque annate in batteria, ognuna a suo modo splendente di una familiare luce propria, luce profonda del focolare domestico che scalda in segreto il petto:

 

Montepulciano d’Abruzzo 2010

Montepulciano d’Abruzzo 2007

Montepulciano d’Abruzzo 2001

Montepulciano d’Abruzzo 1993

Montepulciano d’Abruzzo 1985

Montepulciano d’Abruzzo 1979

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[Riferimento bibliografico essenziale per ulteriori approfondimenti sia delle annate che sulla avventurosa biografia di Pepe, è senz’altro il libro di Sandro Sangiorgi, Manteniamoci Giovani. Vita e vino di Emidio Pepe (Porthos Edizioni)copertinapepe_ld_110314_ritagliataIl Montepulciano d’Abruzzo e nello specifico questi Montepulciano qua di Emidio Pepe sono vini con un nerbo, un respiro, una vitalità, un’energia minerale davvero ineguagliabili. Consideriamo poi anche la pratica della decantazione e del reimbottigliamento manuale. Comunque la 1979 e la 1985 (quest’ultima annata più calda con un tannino lievemente più grinzoso) risultano oggi ancora cosí incredibilmente balsamiche, succulente, carnali, vibranti, strabordano di vita… lascio quindi immaginare le altre vendemmie più recenti come potevano essere e soprattutto come saranno negl’anni a seguire. Non è affatto un caso che il motto di casa Pepe sia proprio In Vino Vita!

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Ad ogni buon conto il tannino di tutti e sei questi Montepulciano d’Abruzzo indistintamente è un velluto sul palato che assesta quella proporzione magica di balsamicità, polpa sostanziosa, succulenza terragna e sapidità costiera esclusiva dei vini veramente buoni, schiudendo una sezione aurea d’originaria purezza, accentrandosi proprio in quel cerchio ideale tra la bocca e il cuore, un cerchio che è come la natura di Dio a detta del filosofo presocratico Empedocle: “il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte.”

 

 

 

L’idea centrale dunque alla base delle annate in degustazione era perciò quella di mostrare come il Montepulciano Pepe evolva a parità di condizioni climatiche – o quasi parità – perché è assodato che non ci si tuffa mai nello stesso fiume, inteso che il flusso incessante delle stagioni è esattamente un fiume temporale nel quale trascorrono le opere e i giorni degli esseri umani intenti alle fatiche aspre ma pure dolci del seminare e del raccogliere i frutti dal terreno.

 

Le due annate che differivano un po’ dalle altre, seguendo questa linea di equilibrio stagionale calibrata sulla 2010, erano la 2007 e la 1993 perché hanno visto avvicendarsi delle estati leggermente un po’ più calde.

 

Della 1979 e della 2010 invece, quadratura mistica dicevamo dell’esagono temporale dei sei vini in batteria, non avrei mai potuto stancarmi d’infilarci il naso dentro e continuare a centellinarle, a nutrire le narici, a purificare la gola e i polmoni con quell’acidità tesa, quella dolcezza vibrante, quel tannino così liscio ma consistente, luminoso, animato di una sostanza fisica estratta dalle radici. Immagino di dirlo a voce bassa, quasi in un soffio, sussurrandolo in intimità a uno a uno negli orecchi dei lettori che ascoltano, ma davvero la 1979 e la 2010 sono annate perfette! Le annate che hanno avuto la pioggia di luglio che Emidio Pepe ama così tanto perché concede al vino maggiore acidità tartarica e di conseguenza uno slancio verticale superiore ovvero un potenziale d’invecchiamento imponente. Slancio e potenziale in effetti contro-verificati alla prova di persistenza nel bicchiere durante l’oretta di degustazione pure se alla chiusura brusca degli assaggi avrei tanto voluto portare via con me i sei bicchieri, per continuare a mio piacimento, per tornarci eventualmente ancora su dopo in solitudine e tutta calma con il naso, gl’occhi e la bocca, riassaggiare i sei vini poi più tardi per fatti miei, la sera stessa o meglio il giorno appresso.13501837_1806947336200158_4944533915278917167_n-1

 

Sono stato a Torano a trovare i Pepe un anno fa. Cominciava appena l’estate ricordo. Dopo una passeggiata sotto i vecchi pergolati di viti a tendone – divinità vegetali, oasi d’inerbimento dentro cui smarrirsi lontano dallo strepito superfluo delle città – appena ritornato in cantina dal giro in campagna ho scambiato un brindisi di saluto e alcune battute con Emidio Pepe che davanti alla eccitazione a caldo per quelle vigne appena attraversate, mi fa:

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“La pergola è il pannello solare tra l’uva e la terra.”

Chiara e Sofia, rispettivamente nipote e figlia di Emidio Pepe, hanno inquadrato la storia domestica, l’etica giornaliera, la pratica aziendale, le semplici ma rigorose lavorazioni in campagna e in cantina, dedicando un approfondimento accorato alle condizioni climatiche d’ogni specifica annata in degustazione. Perché è pur vero che il vino è fatto, è custodito dalle donne – predominanti in casa Pepe – e dagli uomini, ma prima di tutto è figlio carnale del clima, cioè figlio di sangue dell’annata con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.

 

 

 

Dopo è stato il turno di Levi Dalton – imprescindibile il suo podcast d’interviste I’ll drink to that!, che rende l’espressione Ottimo, sono d’accordo! e si traduce anche letteralmente con Ci berrò su! – il quale ha brillantemente condotto gli assaggi in stile disinvolto e understatement, acume, sagacia, estrema preparazione tecnica ma soprattutto autoironia, una serie di doti queste che nella critica di settore dalle nostre parti è merce piuttosto rara.

 

Ho avuto modo di chiacchierare una manciata di minuti con Levi, giusto il tempo di scambiare qualche sketch simpatico sui cliché dell’Italia intravista dagl’occhietti spiritati di un newyorkese vispo e affilato come una katana di Hattori Hanzō. Ci siamo poi accordati per una breve intervista che poteva benissimo intitolarsi: “l’intervistatore intervistato” visto che per una volta tanto sarebbe stato lui ad essere sottoposto a domande, lui che ha ormai al suo attivo centinaia e centinaia d’interviste a vignaioli, critici eno-gastronomici, enologi, sommelier, importatori, distributori, enotecari e tanti altri addetti ai lavori di tutto il piccolo grande mappamondo del vino.

 

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( Fonte naturadellecose )