PADOVA 12 Mar – Capire che la propria terra è viva, accompagnarla in tutte le fasi dell’anno, rispettarla e invece che dominarla accettare di esserne il custode temporaneo. E’ la vocazione raccolta da una nuova generazione di agricoltori che, nel caso dei vini, operano senza l’uso della chimica di sintesi in vigna e senza addizioni e stabilizzazioni forzate in cantina.
Alfonso Soranzo, con i suoi 4 ettari di terra a Zovon di Vo’, sui Colli Euganei, a due passi da Padova, è uno dei piccoli produttori che compongono il panorama dei cosiddetti “vini veri” o “vini naturali”. “Il rispetto delle annate – spiega Alfonso – e soprattutto il rispetto per il vino in fermentazione impongono di non usare lieviti selezionati, nutrimenti per favorire i processi, tannini, correttori di acidità e tantissime altre cose ammesse dall’enologia convenzionale. Quando un agricoltore abbandona tutto questo e il suo unico punto di forza è la sua uva allora il vino è diverso ogni anno, ha una certa originalità che lo lega al territorio in cui è stato prodotto e che lo rende riconoscibile proprio in base alla provenienza”.
Non si tratta solo di rigide regole di produzione però. Alla base c’è una vera e propria filosofia di vita che accompagna in ugual misura l’esistenza e il lavoro agricolo. Nel caso di Alfonso fondamentale è stata la biodinamica, teorizzata un secolo fa da Rudolf Steiner. Un approccio contrario al materialismo e lo sfruttamento estremo che caratterizza ancora la produzione di ciò che mangiamo e beviamo.
L’avanguardia di un agricoltore moderno si basa anche sul recupero di cose dimenticate. “Diversi anni fa l’istituto sperimentale di Conegliano per la viticoltura condotto da Severina Cancellier – racconta Alfonso – ha iniziato un progetto di recupero di varietà di viti provincia per provincia all’interno del Veneto. Qui nei Colli Euganei, anni prima, un altro illustre appassionato di vini, Giuseppe Tocchetti, aveva trovato delle vigne che non si conoscevano. Chiedeva ai vecchi di allora cosa fossero e loro gli rispondevano con nomi strani: Cavarara, Pattaresca, Corbinona…tutte cose che erano state dimenticate e che lui ha selezionato. Vent’anni fa l’istituto sperimentale ha avviato degli studi per capire se effettivamente si trattasse di vitigni a sé stanti o se fossero associabili ad altri perché in Italia, fino a prima della filossera (insetto della vite comparso in Europa nella seconda metà dell’Ottocento che provoca in breve tempo gravi danni alle radici e la morte della pianta attaccata) c’erano centinaia e centinaia di vitigni, disseminati in ogni provincia e poi andati persi. Quando è iniziato il recupero di queste varietà mi sono appassionato e nel 2004 ho chiesto se potevo sperimentalmente averne anch’io perché non erano iscritte nell’albo dei vitigni ammessi e quindi non si potevano nemmeno piantare. Ho iniziato così con la Turchetta, la Cavarara e la Marzemina nera bastarda, successivamente ho impiantato la Pattaresca, la Corbinona e la Recantina. Attualmente le vinifico separatamente dividendo le varietà tardive da quelle medie, faccio un migliaio di bottiglie l’anno e intorno alla cosa sta cominciando a crearsi un po’ di interesse”.
Da un fazzoletto di terra sui Colli Euganei a New York, è qui che sta per andare Alfonso quando lo abbiamo incontrato. Tanto lontana infatti è riuscita ad arrivare la genuinità e l’originalità dei suoi vini, che, ultima ma non ultima, hanno anche un’altra dote di tutto rispetto: sono salubri.
( Fonte notizie.tiscali.it )
Monteforche di Alfonso Soranzo
Via Rovarolla, 2005
35030 – Zovon di Vo (PD)
Tel. 333 2376035
Fax 049 9940450
soranzo.1968@gmail.com
Ettari vitati: 4,5
Bottiglie annue prodotte: 15.000