La procura indaga sul vino prodotto dal presidente del Consorzio di tutela. Un anonimo accusa: ha vinificato fuori dai confini indicati dalla legge. Una vendetta? Lui replica: “Tutto regolare”. E i colleghi barolisti gli confermano la fiducia
Questa è una storia di vendette Doc, di una piccola “faida” tra le vigne che rischia però di avere conseguenze su uno dei più amati vini del mondo, il Barolo. Un giallo, su cui indaga la Procura di Cuneo e che viaggia su quella sottile linea immaginaria che da decenni corre lungo le strade bianche delle Langhe, sale le colline, scavalca fossati, attraversa antichi castelli e abbraccia vigne tra le più preziose del Paese. E’ il confine che delimita i 1.984 ettari di viti di nebbiolo da Barolo e che fa impazzire gli enologi di tutto il mondo. Se una cantina è dentro quei confini, se fa parte degli 11 comuni nei quali il disciplinare di produzione della Docg (denominazione di origine controllata e garantita) consente di produrre il Barolo, allora quelle vigne valgono una fortuna. E così i vini che ne nascono. Ma basta fare un piccolo passo oltre quella linea e il valore di terreni e vini crolla. Perchè sulle bottiglie non si può più, per legge, mettere quel nome che è diventato un mito: Barolo.
I protagonisti di questo giallo langarolo che, bisogna specificare, non ha alcuna influenza sulla qualità dei vini e riguarda la violazione o meno di norme “burocratiche”, sono il presidente del Consorzio di Tutela di Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani, Orlando Pecchenino, sospettato di aver violato quelle regole della Docg che dovrebbe difendere. E un “anonimo” piccolo produttore di Monforte che lo ha denunciato ai carabinieri di Monforte. Secondo lui Pecchenino avrebbe “vinificato” il suo Barolo al di fuori dei confini stabiliti dal disciplinare varato per la prima vota nel 1966 e aggiornato nel 1980 e nel 2010 che fissa le regole da rispettare per produrre il Barolo e avere il diritto a chiamarlo tale. Coltivare, vinificare e invecchiare l’uva all’interno del perimetro “aureo” di quegli 11 comuni è una delle regole.
( Orlando Pecchenino, Presidente Consorzio )
A quella denuncia ha fatto seguito, una visita nella cantina Pecchenino dei Nas. E la procura di Cuneo ha aperto un’indagine per capire se il suo Barolo sia stato stato vinificato nella cantina di Dogliani (che è fuori dalla zona della Docg) dei Pecchenino anziché in quella di Monforte dove la famiglia ha fatto importanti investimenti negli ultimi anni, quando ha deciso di fare il salto dal ruolo di storici produttori di Dolcetto a quello anche di nobili “barolisti”. Se l’accusa fosse confermata lo scandalo potrebbe costargli una fortuna perchè sarebbero sei le preziose annate di Barolo “fuori legge” che dovrebbero essere vendute come semplice Nebbiolo. «Al momento stiamo facendo tutte le verifiche – spiega il procuratore capo di Cuneo, Francesca Nanni – se l’ipotesi da cui siamo partiti sarà verificata procederemo con l’accusa di frode in commercio».
Nonostante le indagini sul “garante” del marchio del Barolo, i colleghi barolisti non lo hanno messo in discussione. «Siamo fiduciosi dell’operato del nostro presidente, così come di quello degli organi di controllo. Attendiamo gli sviluppi» hanno fatto sapere i vice presidenti del Consorzio, Pietro Ratti e Aldo Vacca. Anche perchè, dietro le quinte, emergono i retroscena di questa vicenda. Due le ipotesi: la prima è appunto la semplice “vendetta” di un piccolo produttore monfortino che era interessanto ad alcune vigne acquistate invece dai Pecchenino. E che per rivalersi ha presentato la denuncia. La seconda sarebbe invece una ritorsione più di sistema, legata alla “battaglia” in corso tra i vignaioli piemontesi su un altro disciplinare: quello che dovrebbe allargare il nome e le Doc Nebbiolo oltre i confini delle Langhe, ad Asti e al Monferrato, se non addirittura al Piemonte intero. Una faccenda che il Consorzio guidato da Pecchenino ha bloccato e che potrebbe aver fatto “innervosire ” qualche produttore da grandi numeri e fatturati.
Orlando Pecchenino si difende: «Se ci fosse stata qualche irregolarità – dice – mi sarei subito dimesso. E lo farò se dovessero emergere responsabilità. Che però non ci sono. Ho gestito questa vicenda nella più assolutata trasparenza nei confronti dei colleghi del Consorzio. Ho perso dieci chili in poche settimane, la mia azienda rischia di subire un danno notevole. Ma come ho detto anche al pm di Cuneo quando mi ha voluto sentire, noi non abbiamo mai commesso irregolarità.
Quel vino è stato vinificato e invecchiato nella nostra cantina di Monforte. Nelle regole ci crediamo e le rispettiamo, altrimenti non avrei fatto il presidente del Consorzio. E quel vino è Barolo a tutti gli effetti. Fa specie subire un’accusa di questo genere, ma qualche nemico c’è sempre. Almeno un fatto positivo però c’è: la solidarietà che ho avuto da tutti i colleghi dimostra il salto di qualità che abbiamo saputo fare in Langa. Non mi sono sentito solo»
( Fonte Repubblica )
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