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Crisi dei vini rossi, ecco come rilanciarli a partire dall’Amarone

Il crollo del consumi è internazionale e coinvolge anche i francesi. Il Consorzio della Valpolicella guida la rivoluzione. Il vice presidente e Master of Wine, Andrea Lonardi: “Meno appassimenti, più territorio. Passare da un vino muscoloso a uno di prestigio e più identitario”

 

 

Si beve meno e soprattutto si bevono meno rossi. Già da qualche anno. Il dato ormai è noto: se si paragonano le tendenze del 2023 con quelle del 2019, emerge un calo dei consumi di vino dell’8%, con un crollo dei rossi pari a -15%, un duro colpo per la tipologia, bandiera del made in Italy, che vanta brand come l’Amarone della Valpilcella, il Brunello di Montlacino, il Barolo e tanti altri. Anche all’estero i nostri vini rossi, come emerge dai dati, vengono consumati meno: si è passati dai 7,8 milioni di ettolitri esportati dall’Italia a livello globale nel 2010 ai 5,9 del 2023.  Gli stessi rossi francesi hanno subito una frenata del 15% nelle esportazioni. Ma c’è un modo per recuperare?

Se l’è chiesto il Consorzio della Valpolicella – presieduto da Christian Marchesini e dal vice Andrea Lonardi, Master of Wine – che in questi giorni celebra il suo Amarone con l’evento Opera Prima. Ma prima di dare una risposta, diamo uno sguardo ai numeri.

 

Il problema: la crisi dei rossi è internazionale

Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv, nel 2023 l’Amarone ha subìto una battuta d’arresto nei volumi esportati (-12%), a circa75 mila ettolitri, dato comunque in linea (+1%) con il 2019 e sensibilmente in crescita negli ultimi 10 anni (+17%). Il calo tendenziale dell’export nell’ultimo anno è dovuto da una parte a riduzioni reali dei consumi (in particolare Scandinavia e Canada, in parte Germania, che ha comunque registrato un forte aumento delle vendite nel canale retail), mentre negli Stati Uniti, al trend generale dei vini rossi, si è affiancato l’effetto congiunturale del destocking di prodotto accumulato alla fase distributiva, che ha coinvolto tutto il vino italiano e non solo, rallentando in maniera significativa le richieste di vino dall’estero. Stabili, infine, le vendite sul canale retail italiano.

Un quadro che mostra cali importanti per i principali vitigni dei 5 continenti e i principali competitor, con l’export dei rossi francesi nell’ultimo biennio che si è contratto del 15% e quello spagnolo di oltre il 20%.  Lo scorso anno i consumi globali della tipologia hanno fatto segnare un -7% rispetto al 2021, con forti ridimensionamenti negli ultimi 12 mesi nei principali mercati di sbocco, a partire da Usa (-9%), Canada (17%) fino ai Paesi Scandinavi, alla Cina e alla stessa Italia (-5%).

 

 

 

“Per la prima volta dopo decenni di boom, il mercato del vino registra una sorta di restrizione del recinto in cui opera – ha detto il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini -, ma ci sono le eccezioni importanti nei segmenti premium della nostra offerta. Negli Usa, per esempio, a fronte di vendite generali di vino rosso italiano a -9% nel canale più profittevole, quello dell’on-premise (ristorazione, locali, hotel), l’unica fascia di prezzo che è riuscita a strappare aumenti è quella all’ingrosso sopra i 25 dollari a bottiglia (+2%). Da qui devono ripartire i prodotti italiani, dimenticando il concetto di rosso da “mass market” e coltivando forti valori di identità e coerenza territoriale e stilistica”.

 

 

 

La soluzione: meno appassimento e struttura, più piacevolezza e coinvolgimento

L’Amarone non è sfuggito alla crisi, anzi. Il perché lo spiega il vicepresidente del Consorzio, il Master of Wine Andrea Lonardi: “L’Amarone è stato in passato un vino che ha soddisfatto una domanda di mercato. I produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati (del nord Europa e del nord America), a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole, adatto per essere consumato lontano dai pasti. Questo ha consentito un grande successo volumetrico”.

 

 

Marchesini e Lonardi, presidente e vice del Consorzio della Valpolicella

 

“Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento del mercato richiedeva – continua Lonardi – Oggi quel segmento non cresce più e regala molte più ombre che sicurezze per il futuro. È un segmento che si è popolato di altri vini che competono solo in termini di prezzo. Subire un attacco di questo tipo significa avere consapevolezza che quel vino era un modello facilmente imitabile: infatti il metodo era superiore al territorio”. Oggi siamo in una fase di grande cambiamenti: dei consumi, climatico, di stile. Va da sé che i vecchi modelli non funzionano più.

 

 

“I vini commercialmente più solidi sono infatti i fine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, vini che hanno valori e un wording comunicativo specifico tali da renderli identitari. Sono vini che sono in grado di creare continuamente valore sulla supply chain – fa notare Lonardi – Creano valore perché nel primo e nel secondo decennio dopo essere stati immessi sul mercato migliorano qualitativamente in bottiglia al punto da autoalimentare il concetto di scarsity (non imposta ma subìta). Per accedere a questo segmento occorre pensare ad un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambiamenti: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi”. In questo senso, lo stesso Amarone avrà bisogno di un restyling. Cambiamenti potrebbero riguardare il disciplinare: come spiega il Master of Wine molti produttori vorrebbero avere vigneti esclusivamente dedicati alla produzione di Amarone ed altri alla produzione di solo Valpolicella (cosa ad oggi non possibile). Ma anche aspetti più tecnici come ad esempio il tema della messa a riposo delle uve, “in cui in modo sostenibile sarà necessario capire come appassire meno queste uve”, dice Lonardi. A questo si aggiunge l’affinamento (qui dovranno essere riconsiderati tempi di affinamento, legni – tipologia di legno e taglia dei contenitori). “Tutto questo permette di affermare che dal punto di vista tecnico esista ancora moltissimo da esplorare – aggiunge il vicepresidente del Consorzio – Orizzonti che lasciano presagire un grande potenziale per produrre un vino che sia fresco, più sapido, più rispettoso dei vitigni e più valorizzante degli elementi del territorio (suolo e suolo). Per far questo serve una visione chiara sul futuro e una conseguente strategia”.

 

“Passeremo da un vino con modello di leadership di comando (un vino muscoloso, strutturato, ricco concentrato che impone fortemente il suo stile sul consumatore) ad un vino con un modello di leadership di prestigio (un vino più intellettuale che non si impone con forza ma con un racconto molto più prestigioso e qualificato – un vino in sui emergono i caratteri identitari e distintivi) – spiega Lonardi – Il concetto di cambio di stile di leadership di un vino sarà un tema importantissimo non solo per capire il prodotto in sé ma anche la sua strategia e processo di comunicazione. Le nuove generazioni fuggono dal comando e dall’imposizione: ricercano la cosiddetta accountability= il coinvolgimento mentale e culturale. Questo lo dobbiamo immaginare anche comunicato ai giornalisti, gli opinion leader ed i consumatori”.

 

Insomma, conclude Lonardi, stiamo vivendo “un cambiamento che richiede una crescita culturale. Questa missione è guidata dal desiderio di avere un impatto e generare l’unico vero risultato a cui un produttore di vino in questo territorio deve aspirare: la legacy. Un’eredità che deve toccare: il territorio, la qualità del prodotto (vino) ed il percepito del brand”.

Una presa di coscienza importante quella del Consorzio della Valpolicella, il primo step per superare la crisi. “Il Consorzio ha voluto interrogarsi sul futuro di una denominazione giovane, protagonista di una crescita vertiginosa negli ultimi vent’anni. “Abbiamo scelto un approccio più critico che celebrativo per festeggiare la 20esima edizione dell’evento dedicato all’Amarone – ha detto il presidente, Christian Marchesini -. Come Consorzio crediamo però che il modo migliore per continuare a crescere sia quello di analizzare con serietà e puntualità le sfide che i cambiamenti climatici, le nuove dinamiche di consumo e gli sviluppi sui mercati pongono alla denominazione – conclude –. Dobbiamo, vogliamo e possiamo fare un Amarone sempre più competitivo, più contemporaneo”.

( Fonte Repubblica.it )

Roberto Gatti

Giudice degustatore ai Concorsi Enologici Mondiali più prestigiosi tra i quali: » Il Concours Mondial de Bruxelles che ad oggi ha raggiunto un numero di campioni esaminati di circa n. 9.080, dove partecipo da 13 edizioni ( da 9 in qualità di Presidente ); >>Commissario al Berliner Wine Trophy di Berlino >>Presidente di Giuria al Concorso Excellence Awards di Bucarest >>Giudice accreditato al Shanghai International Wine Challenge ed ai maggiori concorsi italiani.

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