Home Curiosità Con il vino bellunese l’agricoltura di montagna torna a “respirare”

Con il vino bellunese l’agricoltura di montagna torna a “respirare”

BELLUNO – Sarà anche la crisi, ma i giovani bellunesi si riscoprono pastori ma soprattutto agricoltori e vignaioli. C’è chi ha cominciato a produrre Prosecco, e la notizia ha fatto il giro d’Italia.

 

 

Ma c’è anche chi ha recuperato i vigneti autoctoni, quelli abbandonati dopo l’emigrazione del secolo scorso, e si vendono bottiglie con il marchio Igp delle Dolomiti. Si tratta per lo più di vigne coltivate in minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna e in grado di generare vini interessanti, spesso rari, visto che la produzione è di poche migliaia di bottiglie.

C’è stato un periodo in cui il Feltrino era circondato dai vigneti, tanto che alla fine dell’800 buona parte della produzione locale era venduta nell’impero austroungarico. Poi, nel 2009, il Prosecco Doc è stato allargato anche alla provincia di Belluno. Clima mite e prezzi stracciati hanno fatto il resto, rendendo così appetibile, a produttori provenienti da fuori provincia, l’area da Limana a Lentiai e da Arsiè fino a San Gregorio nelle Alpi. «Nelle zone vocate del Trevigiano, come Valdobbiadene, – spiega il direttore provinciale della Confederazione italiana agricoltori, Mauro Alpagotti – il prezzo degli appezzamenti arriva a 500 mila euro all’ettaro, nel Bellunese siamo intorno ai 30-35 mila euro l’ettaro».

 

Ma chi pensava di aver fiutato l’affare, ha dovuto ricredersi. «In provincia di Belluno c’è il problema del frazionamento fondiario – aggiunge Alpagotti -. Bisogna mettere d’accordo una miriade di proprietari. E poi hanno capito che fare Prosecco qui non è così automatico. Personalmente, da tecnico, ho delle perplessità sulla qualità delle uve, i terreni della Valbelluna si adattano meglio ad altri vitigni: Chardonnay, Müller-Thurgau e Pinot Nero. Nel Feltrino ci sono anche le antiche varietà autoctone come la Bianchetta di uva bianca, e poi la Pavana e il Merlot di uva nera».

 

«Generalmente c’è una certa soddisfazione rispetto ai dati quantitativi e qualitativi e vedo che la coltivazione della vite continua ad andare avanti. È un’attività tutta da inventare – conclude il direttore provinciale della Cia -, si fanno delle prove per capire quale vigneto si adatta di più alla nostra zona. Da questo esperimento ne resteranno uno o due»

 

( Fonte www.gazzettino.it )