Nel dopoguerra tostatura a casa, ora sparite torrefazioni locali
ROMA – Il caffè espresso, uno dei simboli del Made in Italy, “è una bevanda complessa, con circa 800 aromi che si sviluppano nella torrefazione, il doppio del patrimonio aromatico del vino. Ma gli italiani oggi lo conoscono meno dei nostri nonni che la torrefazione la facevano a casa seguendo le ricette nel libro di Pellegrino Artusi”. Lo ha detto Raimondo Ricci della torrefazione romana Sant’Eustachio intervenuto, insieme a molti esperti, al seminario promosso dall’Ambasciata del Brasile su “Caffè: storia, coltivazione e preparazione” in occasione della mostra “La mano senza fine” di Candido Portinari.
“Il tostatore – ha aggiunto Ricci – é uno chef della cottura del caffè. In Italia tostiamo molto scuro, per 20 minuti circa a 200 gradi, caramelliamo gli zuccheri per ottenere la crema dell’espresso e per esaltare la parte acida e le rotondità. Mentre il resto del mondo che beve a filtro fa tostature soft. E’ una tecnica di cottura che permette l’ingresso in un mondo sensoriale della degustazione, ogni turista del gusto dovrebbe far visita a una torrefazione. Ma andrebbe anche riscoperto il mestiere del torrefattore: in Italia ci sono pochi big, i portabandiera del made in Italy come Illy, Lavazza, Kimbo, Segafredo, e circa 750 torrefazioni che vendono a livello locale. Ora, anche nelle pubblicità, il caffè è un modo di vivere, ognuno a suo modo tra capsule e moka, quasi uno status symbol ma sempre meno italiani hanno confidenza diretta con questi preziosi chicchi”.
Eppure, ha ricordato Antonio Patriota, Ambasciatore del Brasile in Italia, grazie a una emigrazione di massa degli italiani nello Stato paulista, circa 1,5 milioni quelli che con le proprie famiglie andarono a lavorare nelle piantagioni, la manodopera in fazenda passò dalla schiavitù al lavoro libero.
“Oggi il futuro sostenibile – per Massimo Battaglia dell’Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo – è legato agli specialty coffee, produzioni tipiche legate a un territorio e alle buone pratiche agricole che stanno anche recuperando, come avvenuto per il vino, vecchie varietà a basse rese ma alta qualità in tazzina”.
( Fonte ANSA).
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