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Argentina, un futuro di vino

Dal 2000 introiti derivati dalle esportazioni alle stelle

 

 

Il settore vitivinicolo argentino ha salutato con grande entusiasmo l’approvazione della legge che fa del vino la bevanda nazionale del Paese. La legge, votata all’unanimità dal Senato, ratifica un decreto del 2010 voluto dalla Presidente Cristina Fernández de Kirchner e si colloca come punto focale del Piano Strategico Vitivinicola 2020 (PEVI), voluto dall’esecutivo per rilanciare il settore a livello nazionale e internazionale. «È un riconoscimento storico e avremmo cura del vino come patrimonio degli argentini» ha sottolineato il titolare dell’Istituto Nazionale di Vitivinicoltura, Guillermo García. Dello stesso tenore i commenti della Corporazione Vitivinicola Argentina, (COVIAR) che attraverso il suo presidente, Lorenzo Capece, ha indicato che la nuova legge «permetterà di diffondere in maniera uniforme le caratteristiche culturali legate alla produzione, elaborazione e consumo del vino».

 

Tra le implicazioni pratiche della normativa, l’obbligo di utilizzo della dicitura ‘Vino Argentino Bibita Nazionale’ in tutte le varietà prodotte. A partire dalla sua promulgazione, il Governo elaborerà un piano d’azione per diffondere le caratteristiche culturali concernenti tutta la catena del vino argentino e della sua tradizione, ma anche una promozione dell’immagine e del relativo logo in ogni evento ufficiale sia all’interno del Paese che all’estero. Verrà, inoltre, promosso lo sviluppo delle economie regionali a partire da azioni connesse ad attività di servizio vincolate col settore vitivinicolo. L’associazione Cantine Argentina, in un comunicato stampa, ha messo l’accento sul fatto che la legge rappresenta «il riconoscimento di una attività centenaria nel paese, che ha un importante contenuto economico, sociale e culturale»

 

L’Argentina è il quinto produttore di vino al mondo dopo Italia, Francia, Spagna e Stati Uniti e il consumo pro capite all’anno supera abbondantemente i 25 litri. La tradizione vitivinicola del paese è lunga e risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando le grandi ondate migratorie provenienti dall’Europa portarono nel paese migliaia di contadini, soprattutto italiani, che portarono con se tutto il loro know how. Fino a non molto tempo fa la diffusione capillare dei loro vitigni Bonarda e Barbera ha costituito la base per la produzione di vini corposi che in generale prediligevano la quantità. Negli ultimi decenni c’è stato un’importante cambio di mentalità dettato dalla volontà di sfruttare quelle conoscenze per cominciare a produrre vini di qualità e cancellare il cliché che vede nell’Argentina la patria di vini mediocri e a buon mercato.

 

Per lungo tempo il Paese non si è interessato al mercato internazionale ed ha sfruttando l’imponente consumo interno. Con la crisi economica del 2001, però, il mercato interno ha subito una forte contrazione, portando al ridimensionamento o alla chiusura di molte aziende. L’unica soluzione divenne allora quella di rivolgersi al mercato estero, ma la scarsa qualità non permetteva di competere con gli altri esportatori che potevano offrire un prodotto a prezzi competitivi come il Cile, l’Australia, o il Sudafrica, che da anni proponevano sul mercato mondiale i propri vini. I vini argentini non erano all’altezza, e per colmare quel gap, i produttori, hanno investito in consulenze qualificate dall’estero Francia e Italia su tutti. Oggi appare chiaro l’enorme potenziale di questo territorio, e la sua capacità di produrre vini di valore assoluto, in grado di competere con i più quotati concorrenti del panorama vinicolo internazionale.

 

In Argentina la diffusione dei vigneti si concentra principalmente nella provincia di Mendoza, dove viene prodotta la gran parte del vino del paese. Altre aree di produzione sono le provincie di Salta, La Rioja, San Juan, Neuquen e Rio Negro. La grande diversità del territorio offre grandi differenze anche nei prodotti finiti; i due vitigni che si possono considerare caratteristici sono il Malbec, rosso importato dalla Francia nell’ultimo decennio del 1800, e il Torrontés, bianco coltivato principalmente nelle alture della provincia di Salta. Altre varietà abbastanza diffuse, seppur in maniera minore, sono il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Tannat, lo Chardonnay e il Bonarda. La progressione dell’industria argentina del vino può essere compresa più a fondo se si pensa che gli introiti derivati dalle esportazioni, fino al 2000, non andavano oltre i 50 milioni di dollari mentre oggi superano i 700 milioni l’anno. Gli acquirenti sono, in primo luogo, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, seguiti dai paesi del Nord Europa, a testimonianza della buona fetta di mercato occupata. Come i vicini Cile e Uruguay, e assieme a Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, l’Argentina appartiene al gruppo dei cosiddetti produttori ‘del Nuovo Mondo’.

 

Dal punto di vista delle esportazioni quindi, l’unica differenza immediata che offrirà la nuova legge che fa del vino la bevanda nazionale, sarà quella del relativo logo su ogni bottiglia. I produttori stranieri radicati in Argentina, infatti, già da diversi anni sono inquadrati nel sistema produttivo interno del Paese. Ancor meno cambierà per quanto riguarda le importazioni, in una nazione in cui il 90 % del vino prodotto è destinato al mercato interno. Secondo Matias Velasquez, enologo argentino con importanti esperienze anche in Europa “la nuova legge approvata dall’esecutivo non sposta di molto gli equilibri”. Per Velasquez «si tratta principalmente di un atto celebrativo del governo” che “nella migliore delle ipotesi aiuterà a pubblicizzare il vino argentino nel mondo». Quello che è evidente, ad ogni modo, è la crescita del movimento vitivinicolo del Paese, testimoniato dai numerosi vigneti nati negli ultimi anni da investimenti stranieri. Un esempio di questa tendenza è rappresentato dall’esperienza di ‘Las Hormigas’, cantina nata nel 1995 a Mendoza da investimenti italiani e diventata, oggi, simbolo del salto di qualità dei vini argentini.

 

( Fonte www.lindro.it )