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Addio al barolista chinato

 


 


E’ morto :Teobaldo Cappellano lo zio inventò il vino per il cioccolato


 


La giornata si è chiusa con una brutta notiza, dalle Langhe. E’ morto un grande personaggio, un wine-maker che avevo avuto la fortuna di conoscere nella sua cantina sotto il castello di Sarralunga d’Alba, quando ancora le colline di Langa non erano solcate dalle rombanti Bmw tedeschi zeppe di turisti.


Lui era “l’ultimo dei mohicani”, il talebano del Barolo, il purista del vino vero, come amava definirsi, e la sua morte lascia un grande vuoto in tutti quello che ne hanno aprezzato la sua produzione vinicola, il suo carattere, le sue idee coraggiose.


Ce l’aveva con le guide, magari le considerava troppo modaiole, e orgogliosamente le tenne fuori dalla porta della sua cantina.


Si chiamava Teobaldo Cappellano (foto sopra), e  in tutti i ristoranti dove vado chiedo sempre se con un dolce al cioccolato mi possono dare il suo Barolo Chinato: lo aveva inventato suo zio farmacista ed era il migliore. Sia il vino, sia lui.


Lo voglio ricordare nel mio blog, anche se non mi occupo più di vino da tanto tempo.


E pubblico un bel ricordo che Sergio Miravalle gli ha dedicato sulle pagine regionali della Stampa, in edicola oggi.


Mi piace molto anche la foto che pubblichiamo qui sopra, perché si vede un altro grande del vino: Bartolo Mascarello, che ci ha già lasciato da qualche anno. E credo che il terzo sia Giuseppe Rinaldi, detto Citrico, che per fortuna non molla e ha due figlie che sulle colline del Barolo lo stanno aiutando.


 


Ciao Baldo, tu che non ti sei inchinato mai.


 



 


Avrebbe voluto restare a casa sua, «perché – ha spiegato ai medici dellospedale di Alba – dalla mia finestra vedo le vigne». Dopo loperazione lo avrebbero accontentato, ma il suo sorriso, da eterno bambino, si è spento ieri. E morto così a 65 anni, Teobaldo Cappellano, gigante buono del Barolo, luomo che ha custodito come una reliquia la formula originale del Barolo chinato, elaborata nel 1895 da Giuseppe Cappellano, suo zio, che era speziale di vaglia e vignaiolo per passione. Lascia la moglie Emma e il figlio Augusto di 39 anni che lo aiutava in azienda. Due anni fa la Regione Piemonte lo segnalò a Verona e ricevette al Vinitaly il premio «Cangrande» come benemerito della viticoltura.


«Sono un barolista chinato, ma cerco di avere sempre la schiena diritta» scherzava «Baldo» con gli amici, dallalto del suo metro e novanta. Dalle sue cantine di Serralunga dAlba, che confinavano con i Tenimenti di Fontanafredda, ne uscivano poche migliaia di bottiglie lanno di quel «chinato», dalletichetta blu scuro, con scritte dorate sempre uguale: simbolo del suo modo di rispettare la tradizione. Cappellano non amava le deroghe e le fughe in avanti. Negli anni della curiosa sfida più mediatica che reale tra «innovatori» e «conservatori» del Barolo si schierò senza esitazioni con Bartolo Mascarello, il «purista». E significativo che anche il patriarca del Barolo, quando sentì la morte avvicinarsi abbia chiesto e ottenuto di tornare in paese, tra le sue vigne.


La vita di Teobaldo Cappellano si può raccontare come un romanzo. Negli anni scorsi quando riuscì a tornare nella sua Africa spiegò: «Voglio rivedere i cieli di Asmara quelli della mia gioventù». Lasciò le colline di Serralunga e i suoi 3 ettari di vigne di Nebbiolo e partì per Asmara sullaltopiano eritreo, dove era nato nel 1944. Teobaldo in Africa ci aveva vissuto per 26 anni, fino al 1970. La sua famiglia aveva seguito levolversi della prima colonia italiana. Il nonno andò in Eritrea nel 1892, il padre Augusto ci tornò nel 1936. Misero su unimpresa di import-export, specializzata in bevande e vini. «Li producevamo utilizzando i grappoli duva passita che arrivavano dallo Yemen. Ogni volta che attraccava la nave era come se ci fosse la vendemmia. Su quelle etichette finivano nomi conosciuti dagli italiani: Chianti, Barbera, Grignolino, cambiava solo la tonalità del colore. Noi però non ci sentivamo sofisticatori – spiegava Baldo – tutti sapevano che non erano i vini veri, ma ci si accontentava lo stesso, così direi per nostalgia. Il Barolo no, quello non lo abbiamo mai copiato per rispetto».


Poi arrivò la guerra tra lEritrea e lEtiopia e i Cappellano dovettero lasciare tutto e tornare in Italia. La vita riprese a Serralunga il paese dorigine della famiglia che ai Cappellano ha già dedicato anche una piazza. E intitolata a Giuseppe quello zio farmacista che trafficando nel retrobottega tra infusi e preparati galenici riuscì a stabilizzare la «concia» di erbe ed estratti per far nascere il Barolo alla china, una via di mezzo tra un Porto e un amaro. Teobaldo, ha sempre continuato a produrlo quel «chinato» anche quando sembrava essere passato di moda. Non si stupì della riscoperta e del boom attorno ai chinati e non si preoccupò delle molte imitazioni.


Sollevare un bicchiere di Barolo chinato e sorseggiarlo piano piano dopo averne colto il rosso intenso e laroma suadente, sarà il modo giusto per ricordare Baldo.